Berreste mai una birra prodotta con acque reflue?
Se la risposta è no, rientrate perfettamente nelle statistiche europee. Progetti di riciclo delle acque reflue che negli Stati Uniti stanno avendo successo, in Europa ancora trovano una certa resistenza. Eppure potrebbero diventare soluzioni utili in tempi di siccità e cambiamenti climatici.
Epic OneWater Brew è una birra realizzata con acque reflue riciclate, che provengono da Fifteen Fifty, condominio di lusso di 40 piani, situato a San Francisco, in California. La birra è prodotta da Epic Cleantec, un’azienda specializzata nei sistemi di riciclo dell’acqua degli edifici.
Da acque reflue a birra: il progetto di Epic Cleantec
Il progetto di Epic Cleantec parte da una premessa: a livello globale, gli edifici utilizzano solo il 14% di tutta l’acqua potabile disponibile. La percentuale restante finisce direttamente negli scarichi, senza essere recuperata. Proprio per dimostrare che il riciclo dell’acqua non è fantascienza, l’azienda crea Epic OneWater Brew, una birra prodotta con acque reflue depurate.
Le acque reflue in questione arrivano dalle lavanderie e dalle docce di un condominio di lusso di 40 piani di San Francisco. Fifteen Fifty si serve di un sistema di riutilizzo delle acque reflue che ricicla fino a 7.500 litri di acqua al giorno, 2,75 milioni di litri all’anno. Una volta raccolte, queste vengono trattate e gestite nel rispetto di particolari standard, poi riutilizzate per lo scarico dei servizi igienici.
L’azienda statunitense però si è spinta oltre, trasportando circa 9.072 tonnellate di questa acqua ai partner produttori di birra della Devil’s Canyon Brewing Co, per la produzione di una birra di tipo Kölsch.
Inscatolate ed etichettate, le birre fatte con acqua riciclata sono pronte da ottobre 2022.
L’acqua riciclata è potabile?
Molti consumatori, come spiega Epic Cleantec, nutrono diversi dubbi che l’acqua riciclata sia effettivamente potabile. L’azienda spiega che quest’acqua non solo è sicura, ma probabilmente anche più pulita di quella solitamente destinata al consumo.
Trattata per rimuovere i contaminanti, l’acqua di recupero è comunemente utilizzabile per lo sciacquone dei servizi igienici, l’irrigazione, le torri di raffreddamento e il bucato. Questa però raggiunge un livello di purezza talmente elevato che spesso supera gli standard di qualità dell’acqua potabile.
La domanda da porsi quindi non è tanto se saremmo disposti a bere una birra prodotta con acque reflue. Dovremmo chiederci, piuttosto, perché sprechiamo ancora così tanta acqua, se esistono tecnologie in grado di rendere queste acque così pulite da poter produrre una birra.
Il riciclo dell’acqua in Europa
L’idea del riciclo dell’acqua convince gli statunitensi – con San Francisco capofila nei progetti di riciclo idrico – ma molto meno gli europei, dove l’ick factor, il fattore disgusto, è ancora ben radicato. Basti pensare che molte persone ancora preferiscono acquistare acqua in bottiglia anziché consumare l’acqua del rubinetto.
Eppure, in tempi di siccità e cambiamenti climatici, il tema del riciclo idrico assume un certo grado di rilevanza. Anche se, come spiega Giulio Boccaletti, neodirettore scientifico del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici, la questione è ben lontana dall’essere un problema di sicurezza nazionale. «Da noi il ciclo e il riuso dell’acqua è frenato da un problema culturale, aggravato dal complottismo di questi anni. Ma c’è anche da dire che possiamo ancora permetterci il lusso di farci questi problemi.»
Tra i Paesi europei, comincia a considerare questa visione la Spagna (uno dei Paesi del Mediterraneo maggiormente colpiti da siccità e temperature elevate).
L’Italia, al contrario, non solo non ci pensa minimamente a bere acqua riciclata, ma non la recupera nemmeno per gli utilizzi a cui comunemente è destinata questa risorsa, visto che finisce direttamente a mare.
«L’acqua rigenerata dai depuratori italiani ammonta a 9 miliardi di metri cubi l’anno, quasi tutti vengono scaricati nei fiumi. Non si usa nemmeno per il lavaggio delle strade, per irrigare i giardini, per raffreddare i macchinari industriali o in agricoltura» evidenzia Erasmo D’Angelis, che, assieme a Mauro Grassi di Water Economy in Italy, ha redatto un rapporto completo sull’uso delle risorse idriche in Italia.
«Anche la nuova normativa UE autorizza gli usi irrigui, industriali e urbani per il lavaggio delle strade… e su quello bisogna lavorare. – continua D’Angelis – Da noi non c’è proprio bisogno di far usare le acque reflue depurate ai birrai, che hanno talmente tanta buona acqua a disposizione per i loro processi…»
Desalinizzazione vs riciclo
Una soluzione che però non esclude invece Boccaletti, il quale mette a confronto il riciclo delle acque con un’altra pratica di cui si sente parlare sempre di più, soprattutto nell’ultimo periodo: la desalinizzazione delle acque di mare.
«Dovremo presto fare i conti con questa eventualità. Anche perché è molto più economico potabilizzare le acque reflue che desalinizzare quelle marine. Potabilizzare l’acqua di mare costa da uno a due euro al metro cubo. Poi c’è la spesa per trasferire quel metro cubo (una tonnellata di acqua) dal mare fin dove serve. Potabilizzare le acque reflue costa meno di un euro e lo si fa in prossimità dei centri urbani, dove ci sono i depuratori, quindi con molti possibili usi per l’acqua riciclata.»
La differenza tra i due processi risiede nella composizione chimica: la molecola del sale è più piccola delle molecole organiche presenti nelle acque reflue. «Per eliminare il cloruro di sodio occorrono filtri dalle maglie molto più fitte e l’acqua deve essere sottoposta a pressioni molto più alte, quindi si consuma molta più energia elettriche che per depurare l’acqua degli scarichi.»

Nata a Roma nel 1993, si è laureata in Lettere, con specializzazione in Storia Contemporanea. Attenta al mondo che la circonda, crede fortemente nel potere della collettività: ognuno, a modo suo, può essere origine del cambiamento. Amante del cinema e della letteratura, sogna di scrivere la storia del secolo (o almeno di riuscire a pensarla).
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