La denuncia arriva dall’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) e risale a metà gennaio, quando ne scrisse anche l’agenzia di stampa ANSA. Purtroppo, poco è cambiato in seguito alle perturbazioni che hanno accompagnato il termine del primo mese di questo giovane 2023. In Italia, l’acqua potabile continua a essere troppo poca.

«Pioggia e neve non riescono più a sanare il deficit idrico dell’Italia»

afferma l’Osservatorio sulle Risorse Idriche interno all’ANBI. Con gli attuali apporti pluviali – per attuali intendiamo quelli misurati nell’ultimo lustro, dal 2019 a oggi, affiancati dalle stime relative ai prossimi 5 anni – il nostro sistema nazione non avrà più acqua a sufficienza per tutti. All’allarme dell’Osservatorio si è aggiunta anche Coldiretti, sottolineando come gli agrumeti siciliani rischiano di non poter più ricevere l’acqua necessaria a portar frutto, perché al Sud piove sistematicamente troppo poco.

I grandi laghi del Nord, ovvero la maggiore riserva idrica del nostro Paese, sarebbero l’inequivocabile prova del 9 di questa siccità prolungata. Nel comunicato stampa ANBI risalente allo scorso 12 gennaio, si legge:

«I laghi sono tutti sotto media e la loro percentuale di riempimento è perlopiù inferiore a quella di gennaio 2022, preludio a una straordinaria stagione siccitosa».

In pieno inverno si fa meno caso al dramma dell’acqua potabile. Chi si affaccia oggi da un ponte non vede immagini di letti fluviali prosciugati, com’è invece consuetudine nel periodo estivo, e non ha alcuna riprova immediata della preoccupante siccità, come invece avverrebbe se facesse la stessa cosa a Ferragosto. Basterebbe però un occhio allenato per realizzare come tal fiume o tal ruscello siano in effettiva sofferenza. La portata d’acqua è sensibilmente più bassa pressoché ovunque. Quel che ci viene confermato dagli strumenti della scienza è verificabile anche dal profano.

«Come qualsiasi bilancio a lungo in deficit, anche quello idrogeologico è ormai pregiudicato. Il riequilibrio non può più prescindere da importanti interventi esterni.»

Dunque, a detta dell’ANBI – la citazione ora vista è di Francesco Vincenzi, il presidente nazionale dell’associazione – non sarebbe già più possibile, per un Paese come il nostro, attendere che la situazione si risistemi da sé. Naturalmente, questa previsione si basa anche su stime. È chiaro che, qualora nei prossimi mesi e anni piovesse di più, ci si potrebbe attendere un miglioramento della situazione. I modelli numerici relativi al prossimo futuro, però, non lasciano ben sperare.

A Torino, la portata del Po è dimezzata rispetto alle medie stagionali e, su tutto il tratto piemontese, si attesta a poco più di un terzo rispetto a quella del 2021. Il maggior fiume italiano è in sofferenza anche in Emilia Romagna: nel ferrarese manca all’appello il 30% di acqua rispetto alla media del periodo, secondo quanto attestano le misurazioni effettuate a Pontelagoscuro.

Di contro, si ritrovano anche concentrazioni d’acqua superiori alla portata in alcuni fiumi alpini pedemontani. Mettiamo però il dato in prospettiva: il mese di dicembre è stato generoso di piogge in regioni come Veneto o Valle d’Aosta, e ciò si riflette in questi fenomeni.

Il fiume Adda, in Lombardia, è al minimo della sua portata da 6 anni a questa parte, a causa delle insufficienti precipitazioni nevose, più basse del 43% rispetto al consueto di gennaio. Tutte le misurazioni sono state effettuate nel corso delle prime due settimane del 2023.

«Il cibo è irriguo e la qualità del made in Italy, così come la nostra sovranità alimentare, dipendono dalla disponibilità d’acqua. Questa annata, allo stato attuale, si annuncia idealmente più difficile del già complesso 2022 soprattutto nelle regioni settentrionali, il fulcro dell’economia agroalimentare italiana»

ha aggiunto il presidente ANBI, come riporta Italia Informa, discutendo i risultati dell’Osservatorio.

Laddove i corsi dei fiumi registrano portate superiori alla media del periodo, preoccupa il fatto che ciò potrebbe significare un precoce scioglimento del manto nevoso. La neve non è infatti soltanto una fonte idrica immediata, come la pioggia, bensì anche una riserva che, mantenendosi gelata durante l’inverno, cede acqua durante la bella stagione, quando le temperature più alte ne causano lo scioglimento. Normalmente questo fenomeno si svolge a partire dalla primavera.

Anche il Centro Italia soffre di deficit idrico. Nelle Marche è già dal termine dell’anno scorso che i livelli dei fiumi hanno registrato una perdita di volume mentre le dighe stanno trattenendo meno acqua di quella che consuetamente arginano a gennaio. Il Lago Trasimeno, in Umbria, è da mesi sotto la soglia critica e nel Lazio, se il Tevere e l’Aniene non accusano al momento particolari problemi di capienza, lo stesso non può dirsi per il Sacco e il Liri.

Relativamente al Sud, mentre in Puglia le riserve idriche appaiono in salute, in Sardegna e in Basilicata la condizione degli invasi è decisamente deficitaria. La Campania, invece, presenta una situazione in linea con i dati stagionali. Se su un piatto della bilancia abbiamo alcune regioni virtuose, sull’altro ne abbiamo svariate in difficoltà. Sfortunatamente, queste ultime sono in maggioranza.

«È ormai acclarata la necessità di un urgente programma di interventi articolati, coordinati e multifunzionali, capaci di trattenere le acque, soprattutto di origine piovana, per utilizzarle nei momenti di bisogno. […] Questo va affiancato a una costante ricerca nell’ottimizzazione irrigua, senza dimenticare l’efficientamento delle reti idriche né le possibilità di utilizzo delle acque reflue.»

Nel pensiero di Massimo Gargano, direttore generale di ANBI, c’è quella che potrebbe essere la ricetta per dissetare, fin da subito, questa arsa Italia.

Crediti fotografici: Josh Hild su Unsplash

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