«Choisir entre la peste et le choléra» hanno detto i francesi di questa elezione. Il momentaneo sollievo non giustifica tuttavia alcun ottimismo. La questione ecologica, e tutto ciò che ne consegue, è stata la grande perdente di questa convulsa e, per certi versi triste, campagna elettorale. Il paradosso è che l’ecologia fa parte delle preoccupazioni delle cittadine e dei cittadini, soprattutto dei giovani, ma è come se fosse difficile tradurre questa inquietudine generalizzata in messaggio politico.
Il partito dei verdi, (EELV – Europe Écologie-Les Verts – già il nome è improbabile) ha preso meno del 5% dei voti. Nell’ultimo dibattito che ha visto opporsi i due candiditi prima del secondo turno delle elezioni, su tre ore di scambio soltanto 18 minuti, un’ora e trenta dopo l’inizio, sono stati consacrati all’ecologia, anzi più precisamente all’energia, nessun riferimento invece al crollo della biodiversità, alla transizione agro-ecologica o ancora alle misure necessarie, e sempre più urgenti, per affrontare il riscaldimento globale e le sue conseguenze disastrose.
La copertura mediatica dell’argomento durante i mesi di campagna elettorale non ha superato il 3% del tempo, raramente i candiditi sono stati interrogati su questi temi, se non il candidito dei verdi, come se l’ecologia fosse un argomento di nicchia riservato a pochi elettori.
Non riesco a dirmi pace. Perché questa congiura del silenzio? Se l’ecologia avesse avuto lo spazio che ha avuto il Covid negli ultimi due anni (che della crisi ecologica è chiaramente un sintomo, un grido d’allarme), potete essere certi che saremmo tutte e tutti diventati ecologisti militanti. Persino l’invasione dell’Ucraina non è bastata a mettere d’accordo destra e sinistra riguardo alla necessità di abbandonare una dipendenza, sempre più tossica, dille fonti fossili, e di cambiare radicalmente il modello di sviluppo economico, basato su presupposti insostenibili.
Ma che altro ci vuole? Lo capite voi? Forse serve la rivoluzione? Ma la rivoluzione fa troppa paura, con la scia di violenza e incertezza che si è sempre portata dietro nella Storia.
Forse sono i piccoli gesti, la così detta strategia del colibrì, o della goccia cinese, ma non c’è più tempo. È qui che siamo incastrati: tra la vastità del compito e l’incalzare del tempo. Mi chiedo se non sia proprio questa dicotomia che non funziona, forse è mettendo insieme i piccoli gesti e le grandi battaglie che si ottengono i migliori risultati.
Non permettere all’estrema destra climato-scettica di prendere il potere è già un gran risultato. Stare col fiato sul collo a chi prenderà le decisioni nei prossimi anni, è la battaglia di fare, come è successo con la vittoria dell’Affaire du siècle che ha permesso di condinnare il governo per «inazione climatica».
Allora tra peste e colera dovremmo scegliere, ognuno al suo livello, di continuare a batterci con gesti grandi o piccoli.

Scrittrice, vive tra Parigi e Roma.
Dopo aver seguito i lavori della COP21 nel 2015 a Parigi, ha deciso di coinvolgersi nel movimento ecologista e ha scritto il romanzo “Dopo la pioggia” pubblicato dalla casa editrice E/O che tratta di questi temi. Cerca di educare i suoi figli alla sobrietà felice e la parità di genere, ha piantato un orto in Piemonte con i principi della permacultura e aspetta con impazienza il ripristino del treno notturno Parigi Roma.