L’India è un Paese in rampa di lancio. Accanto a numerosi problemi economici, sociali, religiosi e ambientali, c’è anche la determinazione a diventare, al più presto, una nazione pienamente sviluppata. Tra le chiavi per riuscirvi c’è la tecnologia. L’India è il terzo Stato al mondo per sviluppo dell’ecosistema di startup, preceduta soltanto di Stati Uniti e Cina. La rete di aziende lanciate da poco e focalizzate sul progresso digitale è veramente folta. Nello scorso mese di gennaio, un censimento delle imprese contava ben 61mila startup innovative presenti sul territorio nazionale.
Il governo di Narendra Modi ha in programma di raggiungere le emissioni zero entro il 2070. Il piano è ambizioso poiché oggi l’economia indiana dipende integralmente dal fossile. Ciononostante, non è un traguardo irraggiungibile, data la distanza temporale. Secondo un report di Climate Trends, per l’India sarebbe possibile arrivare al net zero in 45 anni, se l’esecutivo decidesse di puntare sulla tecnologia climatica. Per farcela, però, deve centrare i suoi obiettivi al 2030, presi di fronte alla COP26 di Glasgow.
Quello verso la decarbonizzazione non è un viaggio agevole per nessuno, principalmente per Paesi come l’India che non hanno raggiunto i livelli di sviluppo occidentali e vorrebbero farlo, anche a costo di inquinare quanto Europa e Stati Uniti dopo la Rivoluzione Industriale. A questi Paesi stiamo chiedendo di puntare sulle rinnovabili, ridurre le elevate emissioni industriali e combattere contro il cambiamento climatico sebbene gli indici di povertà siano alti e una industrializzazione a base fossile potrebbe portare loro ricchezza.
Accanto a questa realtà, che da occidentali fatichiamo a giustificare ma possiamo certamente comprendere, si colloca quella delle startup. In India la maggior parte di tali aziende innovative è impegnata nel settore delle tecnologie informatiche o in quello dei veicoli elettrici. Non manca però chi si occupa di clean-tech oppure energie rinnovabili. Non sono poche le figure che possono essere coinvolte in un concreto piano di transizione, qualora il governo Modi decidesse di investirvi in maniera massiccia, come stanno facendo altri Paesi.
«Le nostre analisi dimostrano che c’è davvero bisogno di supportare la ricerca sulle tecnologie climatiche. Le startup che si occupano di questa innovazione possono davvero guidare un cambiamento a livello di sistema nella lotta al surriscaldamento globale.»
Ha affermato Akhilesh Magal, ingegnere ambientale, divulgatore ed esperto di energia solare, nonché direttore di Climate Dot, think tank che studia la transizione tecnologica in India.
Sarebbe doveroso per i Paesi più ricchi affiancare quelli in via di sviluppo durante il cammino, non particolarmente agevole, verso la riconversione. E invece assistiamo al fenomeno inverso: abbiamo a che fare con Paesi sviluppati che intercettano fondi internazionali per il clima, anticipando chi ha maggiori difficoltà a finanziare la transizione, disponendo di minori possibilità economiche.
Nonostante questa non trascurabile difficoltà, il governo indiano sta supportando in maniera concreta le startup. Gli strumenti per assistere queste imprese dall’alto livello tecnologico sono numerosi e il più importante è lo Startup India Scheme, appositamente pensato per affiancare queste aziende nelle prime fasi della loro vita, fungendo di incubatrice e investitore.
Sfortunatamente, queste iniziative sono piuttosto localizzate nelle zone più sviluppate, come le città di Bangalore, Delhi e Bombay, nonché attorno ai maggiori campus universitari. Questo potrebbe limitare il Paese nel medio e lungo termine, poiché queste zone si satureranno causando probabilmente un’importante frenata alla crescita della rete. Perché il suo ecosistema di startup non ne risenta troppo, l’India potrebbe ispirarsi alla nostra Unione Europea.
L’Europa è uno dei luoghi dove maggiormente si sostiene la crescita della tecnologia climatica. Bruxelles non lesina certo sui fondi che dedica a EIT InnoEnergy, l’Istituto di Tecnologia Europeo. Tale organismo, inizialmente dipendente dalla Commissione Europea e ora indipendente, ha la mission di supportare e accelerare nascita e diffusione di startup che si occupino di climate tech. Una soluzione per l’India potrebbe essere quella di istituire un ente con mansioni simili.
Startup India Scheme non ha ancora la stessa capacità e neppure una simile disponibilità economica. Ciononostante, resta l’ente più adatto a rivestire un ruolo di coordinamento e agevolazione nello sviluppo di una vasta rete di startup, direzionando gli sforzi degli altri attori incaricati di supportare nascita e sopravvivenza dell’ecosistema tecnologico indiano.
Intervistato ai microfoni di Indo-Asian News Services, il direttore di Climate Trends, Aarti Khosla, ha ribadito con forza come la presenza di un elevato numero di startup ecologiche possa essere una chiave in quella transizione ecologica che per l’India si prevede lunga e complicata. Khosla ha affermato:
«Necessitiamo di una decarbonizzazione rapida e profonda. L’India conta sulle risorse domestiche per i progetti legati alle rinnovabili ma le occorre una iniezione di fondi considerevole per rendere la transizione una realtà. Durante COP26, il governo ha specificato di aver bisogno di un trilione di dollari [un milione di milioni ndr] per poter attuare il proprio progetto ambientale. Le startup innovative possono rendersi strumento operativo per accumulare i crediti necessari ad avviare questa fase».

Classe 1991, non nasce amante della scrittura. Tutto cambia però quando viene convinto a entrare nella redazione del giornalino d’istituto del liceo: comincia a occuparsi di musica e poi in seguito di sport, attualità, cultura, mondialità e tendenze nel globo, ambiente ed ecologia, globalizzazione digitale. Dall’adolescenza in poi, ha riposto la penna soltanto per sostituirla con una tastiera.