La guerra in Ucraina ha compromesso l’Agenda per la sostenibilità?

da | Ott 25, 2022 | ambiente, inquinamento, politica | 0 commenti

Quando nel 2015 venne sottoscritta da 193 Paesi membri delle Nazioni Unite e approvata poi dall’Assemblea Generale dell’ONU l’Agenda 2030, “programma di azione per le persone, il Pianeta e la prosperità”, la missione era di agire in una prospettiva globale, poiché gli obiettivi delineati riguardavano e riguardano tutti i Paesi e le componenti della società. Il documento ha il fine di raggiungere una serie di risultati (per l’esattezza 169, raggruppati in 17 Goals) che coprono i tre campi dello sviluppo sostenibile (economia, società ed ecologia): senza la pretesa di risolvere tutti i problemi, il documento però diventa una solida base per la costruzione di un “mondo diverso”, che aspira a porre fine alla povertà, combattere contro le ineguaglianze, fronteggiare i cambiamenti climatici e creare società che rispettino i diritti umani.

Siamo a metà di quel percorso e, dopo due anni di pandemia e una guerra al centro del Vecchio Continente, le prospettive non sono poi così soddisfacenti.

Proprio alcuni giorni fa, un report di Asvis – per guardare tutto da più vicino – ha stabilito per esempio che, nell’ultimo biennio, il nostro Paese ha fallito 13 dei 17 Goals, riuscendo a prendere la sufficienza solo in tema di Energia pulita e Crescita economica e lavoro dignitoso. Va sottolineato che questo report è stato compilato con dati antecedenti alla guerra in Ucraina, fondamentale spartiacque in base al quale leggere molte delle decisioni prese in tema di sostenibilità.

E se, sicuramente, a livello globale non è stato rispettato il Goal 16 sulla pace (non solo nel conflitto russo-ucraino), vediamo più nello specifico gli altri punti deboli.

Le conseguenze dirette in Ucraina

Quando nel 1991 conquista la sua indipendenza politica, l’Ucraina si trova davanti una grande sfida da superare: un modello economico direttamente ereditato dall’Urss e basato su settori ad alto dispendio di energia e risorse, fortemente inquinanti e con tecnologie arretrate nei settori minerario e metallurgico. Le emissioni di CO2 sono ben oltre quelle dei diretti vicini e le risorse idriche del Paese sono sotto pressione per inquinamento industriale e agricolo.

La Rivoluzione del 2014 ha portato il Paese ad accrescere i suoi sforzi in tema di sostenibilità ambientale, con l’attuazione di diverse misure per il ripristino e la conservazione del capitale naturale, cercando di coniugare le tematiche ambientali al discorso economico e accelerare il passaggio a un’economia verde e a basse emissioni. Gli sforzi dell’Ucraina sono stati riconosciuti e sostenuti a livello internazionale, anche da enti come l’OCSE.

A febbraio, l’aggressione russa ha tarpato le ali a questo processo evolutivo in campo economico e ambientale e ha generato un’enorme crisi umanitaria, con le migliaia di persone morte o sfollate, le città distrutte e un’attività produttiva ridotta a zero.

La guerra non ha risparmiato l’ambiente e le risorse naturali del Paese: i bombardamenti hanno violentemente colpito città e infrastrutture, ma anche foreste, ecosistemi terrestri e marini, devastato impianti industriali e causato un’enorme quantità di detriti e rifiuti. Una serie di danni gravi e diffusi, con conseguenze immediate e a lungo termine e non solo sui territori e la popolazione ucraini.

Le sostanze tossiche liberate da incendi e crolli di raffinerie e impianti chimici hanno inquinato aria, suolo e acque. I danni alle infrastrutture idriche stanno impedendo un corretto accesso all’acqua potabile. Le operazioni militari hanno portato a un aumento drastico di rifiuti: veicoli e attrezzature militari, frammenti di proiettili, veicoli civili, detriti edilizi, rifiuti cittadini e sanitari non raccolti, rifiuti tossici che richiederebbero una gestione speciale.

Le aree protette ucraine sono state duramente danneggiate, le foreste distrutte da incendi causati dai bombardamenti, i detriti dispersi contaminano acque e suolo.

I danni all’ambiente sono evidenti, ma difficili da stimare. Sicuramente più chiari e manifesti che altrove. Un Paese che, fortemente indirizzato verso una transizione verde, si è bloccato a seguito dell’aggressione russa.

Le conseguenze della guerra sui vicini europei

L’agenda globale per la sostenibilità è l’altra grande vittima della guerra. Di fronte a problemi di sicurezza e stabilità da risolvere nel breve periodo e nel modo più efficiente possibile, il fattore “sviluppo sostenibile” passa in secondo piano e diventa un obiettivo temporaneamente sacrificabile.

Ci sono alcune chiavi di lettura sotto cui leggere questo conflitto e le sue conseguenze dirette. In primis, la questione energetica. La guerra, infatti, ha messo chiaramente in evidenza la forte subalternità dell’Unione Europea alla Russia, in tema di approvvigionamento energetico per quanto riguarda gas e petrolio. Si è quindi reso ancora più importante il discorso che fece il Presidente francese Macron a inizio anno sull’autonomia strategica – dalla difesa alla questione energetica – dell’Unione Europea e sulla necessità dunque di slegarsi da Putin.

Il documento REPowerEU, che mira a liberarsi totalmente dalla dipendenza russa, si pone alcuni fondamentali target: la diversificazione delle forniture di gas internazionale, il risparmio energetico e la transizione verso l’energia pulita. L’azione congiunta di questo piano e del Fit for 55 (che punta alla riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030) dovrebbe permettere all’Unione Europea di rimuovere almeno 155miliardi di mc di gas entro 8 anni (stesso volume oggi acquisito dalla Russia).

Alla luce di questa imponente crisi energetica, il ripiegare verso porti sicuri sarebbe la scelta più ovvia: ci si aspettava infatti un aumento esponenziale del consumo di carbone e gas a fronte del (fisiologico) aumento della richiesta del 3% di inizio anno. Per quanto riguarda l’elettricità, tuttavia, va sottolineato che nella prima metà del 2022 la crescita della domanda è stata interamente coperta dalle rinnovabili, frenando così l’aumento dell’uso di combustibili fossili. Lo evidenzia il recente report del think tank energetico Ember, che mostra come eolico e solare abbiano prodotto risultati tangibili in termini di costi e clima, evitando una crescita del 4% dei combustibili fossili. Va comunque sottolineato che i risultati prodotti sono su scala globale e che non tutti i Paesi hanno scelto le energie pulite. Inoltre i dati considerano solo il primo semestre del 2022 e quindi non tengono conto della crisi climatica di questa estate che ha causato un aumento della domanda e dunque della produzione di carbone e gas. Nonostante il primo semestre, il 2022 a causa di siccità e crisi climatica potrebbe essere comunque l’anno record per emissioni di CO2.
Dunque: l’energia pulita può sopperire alla domanda anche in situazioni di crisi energetica come questa? Assolutamente sì. La transizione energetica non è solo essenziale, ma anche applicabile. Va però sottolineato che siamo solo ancora in una fase iniziale e che è necessario consolidare questo processo di transizione.

Altre conseguenze non trascurabili della guerra riguardano la filiera industriale (anche in questo caso la forte dipendenza europea dalle materie prime prodotte dalla Russia) e la sicurezza alimentare. Nello specifico, in Europa il danno maggiore è nell’aumento dei prezzi, causato da inflazione e speculazione, più che dalla reale mancanza di cibo. Discorso molto diverso, invece, per i Paesi in via di sviluppo, in cui le difficoltà logistiche per l’importazione di cibo e fertilizzanti colpiscono direttamente le popolazioni.

Proprio in relazione a questo punto, a rischio è anche la protezione dell’ambiente e della biodiversità: per garantire sicurezza alimentare, ad esempio, sono state approvate norme per rendere coltivabili terreni finora incolti, giustificando anche l’uso di pesticidi e fertilizzanti in aree protette. Sono territori che spesso hanno un basso potenziale di rendimento, ma sono invece fondamentali per la biodiversità e per la protezione del clima e delle acque. 

I già citati danni sui territori dell’Ucraina si sommano quindi nel conteggio finale di conseguenze sfavorevoli per l’agenda ambientale e climatica. Ciò che è certo che oltre ai detriti di guerra e ai danni al suolo, alle acque e agli ambienti naturali, le enormi quantità di CO2 rilasciate da incendi e bombardamenti incentivano il riscaldamento globale e ci allontanano da molti dei target prefissati.

L’allarme di Guterres

Durante la PreCop27 di Kinshasa, in Congo – ovvero la conferenza preparatoria della Cop27 a Sharm el-Sheikh, che si terrà dal 6 al 18 novembre – António Guterres ha commentato:

«Le emissioni di gas serra sono a un livello mai visto e stanno crescendo. Nel frattempo, la guerra in Ucraina sta mettendo l’azione climatica nel dimenticatoio, mentre il nostro Pianeta sta bruciando. […] La Cop27 sarà critica, ma abbiamo molta strada da fare. Gli impegni collettivi dei governi del G20 sono di gran lunga troppo piccoli e troppo in ritardo. È il momento per un compromesso rivoluzionario, un balzo enorme fra le economie sviluppate ed emergenti».

La Cop 27 sarà quindi fondamentale per tirare le fila del discorso e capire in che direzione stiamo andando e accelerare il più possibile il percorso di transizione energetica ed evoluzione sostenibile promesse nell’Agenda 2030. Le priorità attuali avranno vinto su quelle per il lungo periodo oppure svilupperemo strategie volte a coniugare questi due aspetti?

Tag:

Post correlati

Animali strani: ecco cosa rende unico il cacatua delle palme

Animali strani: ecco cosa rende unico il cacatua delle palme

Il cacatua delle palme è un uccello tropicale sorprendente, con un aspetto imponente e un’intelligenza fuori dal comune. È l’unico pappagallo conosciuto a suonare strumenti per corteggiare, rendendolo uno degli esempi più affascinanti di creatività animale.

Perché in Portogallo è vietato urinare nell’Oceano?

Perché in Portogallo è vietato urinare nell’Oceano?

In Portogallo è vietato urinare nell’Oceano: una misura insolita, tuttavia necessaria per la tutela ambientale degli ambienti marini. I rifiuti fisiologici umani danneggiano infatti la biodiversità, stimolano l’eutrofizzazione e danneggiano irrimediabilmente la barriera corallina.

Privacy Policy Cookie Policy Termini e Condizioni