Il tratto veneto della Via Postumia è lungo e articolato, attraversa tre province e numerose città importanti ma soprattutto vede l’alternarsi di paesaggi ed ecosistemi diversi dopo i tre lunghi giorni nella pianura friulana.
Nell’articolo precedente eravamo arrivati a Latisana e al fiume Tagliamento (per leggere l’articolo, clicca qui) che segna il confine fra le due regioni, ma in realtà la mia tappa era finita qualche chilometro più avanti, poco oltre il minuscolo borgo di Giussago, frazione di Portogruaro.
Andiamo con ordine.
La quarta tappa
Lasciato il fiume alle spalle, si entra nell’abitato di San Michele al Tagliamento e lo si attraversa tutto. Il Cammino si snoda su piccole strade che seguono fedelmente i canali d’irrigazione; la campagna si stende all’infinito, i terreni arati da poco incantano con le loro geometrie e ogni tanto s’incontra qualche vecchia cascina abbandonata e invasa dai rampicanti, segno di un passato agricolo che ha lasciato il passo all’industrializzazione.
Si prosegue fra campi coltivati a colza così gialli da sembrare dipinti, poi si segue un lungo canale per tre chilometri e si arriva su una strada asfaltata dove troneggia lo scheletro di un ex zuccherificio, grigio spettro dai vetri infranti in cui un tempo lavoravano centinaia di persone e che nel 1972 ha chiuso definitivamente i battenti e ora giace in uno stato di abbandono.
Si attraversa il piccolo ponte impreziosito da una vecchia chiusa coperta di ruggine e proprio per questo affascinante e si cammina di nuovo lungo il canale in senso inverso fino a raggiungere una grande discarica. Bisogna aggirarla e non è un bel momento, soprattutto per l’olfatto.
Fortunatamente a Giussago manca poco e il B&B è ad appena un chilometro di distanza. Non era nella lista delle accoglienze, l’avevo trovato io e da quel giorno è entrato a far parte ufficialmente della Via Postumia.
Fare da apripista serve anche a questo, a dare una mano e grazie a questo suggerimento, agli adesivi con la freccia incollati dove necessario e alla segnalazione di alcune criticità mi sono sentito parte del progetto.
La quinta tappa
Da Giussago a San Stino di Livenza sono 28 chilometri e si passa per uno dei borghi più interessanti dal punto di vista storico dell’intera via, Concordia Sagittaria.
Ai tempi dei romani si chiamava Iulia Concordia e fu edificata nel 42 a.C. nel luogo in cui s’incrociavano la Via Postumia e la Via Annia. L’appellativo Sagittaria fu coniato nel 1868 e si riferiva al fatto che in questo borgo venivano costruite le frecce (sagittae in latino). Da sempre contesa fra Veneto e Friuli è di fatto nella provincia di Venezia anche se gli abitanti parlano un dialetto di tipo friulano.
Numerosi scavi hanno portato alla luce un pezzo del decumano, delle terme, un sepolcreto ricco di sarcofagi che riportano iscrizioni in latino, un ponte romano e altre strutture appartenenti al castrum.
Oltre all’area archeologica, anche la cattedrale di Santo Stefano Protomartire e il battistero meritano assolutamente una visita.
Usciti dal borgo, si torna a camminare tra i campi percorrendo strade bianche dai cigli tempestati di papaveri. Qua e là spuntano altri casolari abbandonati e regna un silenzio quasi irreale. Alcuni potrebbero trovare monotono questo tipo di paesaggio ma io mi trovo perfettamente a mio agio nell’ambiente rurale, forse l’avrete capito.
Si arriva a san Stino di Livenza seguendo il corso del canale Malgher che scorre parallelo al Livenza stesso; di fatto i due corsi d’acqua segnano i confini territoriali del paese.
Sorto come castrum romano in un terreno a quell’epoca inospitale, viste le foreste a nord e le zone lagunari a sud, ha visto crescere la sua superfice nel Medioevo ma subire anche le numerose incursioni di barbari, turchi e anche di quel gran saccheggiatore di Napoleone. Sono qui, infatti, le prime tracce del passaggio dell’imperatore di Francia in Italia che incontriamo lungo il Cammino, anche se il grosso lo aveva già fatto, ma ne parleremo più avanti.
La sesta tappa
Davanti a se il viandante ha altri 28 chilometri per arrivare a Oderzo, Opitergium per i romani. Si abbandona San Stino e si torna a seguire il Canale Malgher e le sue anse. È un tratto molto bello, fra pescatori immobili che osservano le loro lenze, germani reali che passeggiano indisturbati e una scacchiera gigante. Quando si arriva in prossimità della frazione di Lorenzaga, i due corsi d’acqua sono nuovamente vicini e passare dall’uno all’altra è un gioco da ragazzi. Il giardino di fronte alla piccola Pieve di San Silvestro può essere un ottimo posto per fare una sosta prima di muoversi verso Motta di Livenza.
Ci si arriva seguendo una piccola strada che corre lungo l’argine del fiume fino ad arrivare in prossimità del centro abitato. È lì che si incontra la Passerella della Grande Guerra, un ponte di ferro costruito nel 1910 per permettere il passaggio di pedoni e biciclette fra Motta e Lorenzaga. Si percorrono i suoi 110 metri e si prosegue camminando lungo il corso di un ramo parallelo del Livenza, dove numerosi pescatori ingannano il tempo con la pesca sportiva. Poco prima di un ponte si risale l’argine e si entra in paese.
La storia di Motta è legata a doppio filo con quella di Venezia tanto da essere nominata Figlia primogenita della Serenissima, ma la storia parte dal tempo dei Romani. Qui passava la Via Postumia, quella antica, e il paese sorge proprio in mezzo a due importantissimi castrum, Opitergium e Concordia Iulia.
Se avete tempo fatevi un piccolo giro nel centro del paese poi uscite da Porta Treviso, sorvegliata dalle sculture di due leoni, per dirigervi verso la Basilica della Madonna dei miracoli.
Fu eretta nel 1513 sul luogo dove la Beata Vergine apparve a un contadino, tale Giovanni Cigana, e da allora è meta di pellegrinaggio. Sinceratevi degli orari di apertura perché vale la pena visitarla.
Lasciata alle spalle la Basilica, si torna a camminare nella natura. I contadini lavorano nelle vigne per sistemare i tralci, le spighe del frumento ancora verdi oscillano debolmente nei campi e un paio di ruderi di case coloniche osservano le poche persone che passano con finestre che sembrano orbite vuote.
Prima di arrivare nel paesino di Gorgo al Monticano, si attraversa il fiume e si continua a camminare sull’altra sponda fina ad arrivare alla frazione di Fratta.
Qui una sosta è d’obbligo perché c’è da vedere una fontana dal nome romantico, la Fontana degli Innamorati. Situata ai piedi del campanile, è composta da una vasca con sopra una testa di leone dalla cui bocca esce la testa di una serpe dalle cui fauci esce l’acqua.
Restaurata nel 2008, deve il suo nome al fatto che anticamente, sotto il campanile, s’incontravano giovani donne e giovani uomini dopo la messa domenicale e che fra una chiacchiera e l’altra, complici sguardi timidi e fugaci, nascevano nuovi amori.
A Oderzo mancano circa tre chilometri, un tiro di schioppo; con un ponte si attraversa il fiume e si entra in città.
L’ampia piazza centrale è bellissima, sembra quasi un palcoscenico e ospita la famosa meridiana che in realtà è un analemma cioè una linea a forma di otto che indica i mesi e i segni zodiacali grazie all’ombra proiettata sul selciato dal pinnacolo centrale del duomo.
Vasta è l’area archeologica con alcune parti conservate al sicuro sotto una piramide di vetro e altre esposte all’aria. Passeggiare nella storia è sempre un’esperienza notevole per cui vi consiglio di prendervi un po’ di tempo per farlo.
La settima tappa
La tappa che da Oderzo porta a Musile di Piave è lunga 32 chilometri ma attraversa uno dei luoghi più importanti nella storia dell’Italia.
Si parte percorrendo una lunga ciclabile che scorre di fianco alla provinciale poi, dopo qualche chilometro si svolta a sinistra e si segue una piccola strada che corre nella campagna attraversando vigneti con piante altissime e gli abitati di Ponte di Piave e Salgareda. Ci si avvicina sempre di più al Piave, fiume iconico, e quando si arriva nel minuscolo borgo di Romanziol siamo proprio vicini. Questo è il luogo perfetto per concedersi una sosta e mangiare qualcosa.
Da qui parte una bella sterrata che inizia a cavalcare l’argine del fiume e continua a farlo passando sotto l’autostrada e arrivando a lambire l’abitato di Noventa di Piave.
I pioppi che accompagnano le rive del Piave, a maggio lasciano cadere i loro pappi tutto intorno creando un incredibile effetto neve ma anche qualche fastidiosa difficoltà respiratoria (se siete particolarmente allergici può essere utile l’utilizzo di una mascherina). L’acqua si colora di bianco e il paesaggio diventa quasi surreale attenuando la fatica di una tappa lunga.
Dopo due chilometri si giunge infine al ponte di barche Zamuner che attraversa il fiume e traghetta il viandante a Fossalta.
Questi luoghi videro durante la Grande Guerra numerose battaglie e atti di eroismo da parte dell’esercito italiano impegnato a respingere gli attacchi di quello austriaco. Nel 1918 fu composta La leggenda del Piave, la celebre canzone che raccontava quegli eventi, a partire dalla Battaglia del Solstizio.
“Non passa lo straniero” è il verso più famoso che celebra il successo dell’Italia sull’invasore e numerose sono le stele che ricordano gli atti di eroismo e i caduti. Appena attraversato il ponte se ne trova una che ricorda la presenza e il ferimento di un giovane Ernest Hemingway volontario della Croce Rossa americana.
Il Cammino sfiora appena il paese di Fossalta e continua a seguire per un po’ il Piave sull’altra sponda, poi se ne allontana e, aggirata una zona industriale, grazie a tre drittoni entra a Musile.
Una tappa lunga merita certamente una ricompensa e mi permetto di consigliarvi di andare a cena al Bar Trattoria al Cral, un luogo spartano (ma con le tovaglie di stoffa) dove il rapporto qualità prezzo è a dir poco ottimo. Che scegliate il menù di carne o di pesce rimarrete stupefatti dall’eccellente qualità del cibo e dalla meravigliosa atmosfera del luogo.
La ottava tappa
Sono 28 i chilometri che separano Musile di Piave da Quarto d’Altino, una tappa che regalerà paesaggi mozzafiato al viandante.
Usciti dal paese si segue il vecchio alveo del fiume chiamato Piave Vecchia dove ora confluiscono anche le acque del Sile, un fiume che incontreremo nella tappa successiva e che ci porterà fino a Treviso.
Questo fatto che il famoso fiume non abbia un genere ben preciso ma possa essere declinato sia al maschile che al femminile è una cosa tanto bizzarra quanto importante, soprattutto in questo periodo storico in cui il tema del gender è ampiamente discusso.
Si cammina piacevolmente su una sterrata che si muove fra frutteti, vigne e con il fiume sempre sulla sinistra. Ogni tanto la vegetazione si apre sul lento scorrere dell’acqua e anche se incontriamo numerosi cippi che ricordano i caduti e citano il famoso “non si passa”, fortunatamente tutto è silenzio e il fragore dei colpi d’artiglieria è solo un lontano ricordo.
Quando, dopo alcuni chilometri, si giunge al minuscolo borgo di Caposile, si attraversa un altro ponte di barche e si guadagna la riva opposta. Un bel prato affacciato sul fiume dove nuotano indisturbati dei cigni è un ottimo posto dove godersi una sosta prima di affrontare la seconda parte della tappa.
S’inizia camminando su una strada sterrata affiancata da filari di alberi che a un certo punto si fanno radi e poi inesistenti ed è lì che lo spazio si apre rivelando un bellissimo panorama sulla laguna nord di Venezia; davanti a noi c’è un drittone di 9 chilometri che la segue fedelmente fino a Portegrandi.
Le barene, tipica conformazione lagunare, danno spettacolo coadiuvati da qualche albero solitario e da uccelli di passaggio in volo radente. Camminare diventa una vera e propria gioia, un’esperienza sensoriale densa e profonda cui abbandonarsi con lentezza.
Frequentata da camminatori e da ciclisti, questa lunga pista in ghiaia battuta, risistemata di recente, è uno dei punti più belli di tutta la Via Postumia e quasi dispiace abbandonarla per entrare nel borgo di Portegrandi.
Passato il porticciolo con le sue chiuse e il piccolo abitato, si seguono le anse del Sile e si arriva dopo qualche chilometro a Quarto d’Altino, fine della tappa.
Altino era un famoso municipium romano e se ne conservano resti importanti fra cui un tratto della Via Gallia che lo attraversava; al fatto che questo villaggio distasse quattro miglia si deve il nome Quarto (ad Quartum).
La nona tappa
Per arrivare a Treviso ci vogliono 22 chilometri e io me li sono fatti quasi tutti nella nebbia. Forse con il sole sarebbe stato meglio, non so, ma posso dire che il fascino del lungo Sile così ammantato di uno strato di semi invisibilità è stato un momento di puro fascino.
Dopo un breve tratto che costeggia Quarto, lo si abbandona per tagliare attraverso i campi e raggiungere Casale sul Sile che si attraversa velocemente fino a ricongiungersi con l’acqua.
L’argine è un tripudio di vegetazione di cui i salici piangenti sono le perle. Spuntano dall’acqua alcuni piccoli moli per minute imbarcazioni e gli scorci ricordano alcuni quadri del romanticismo inglese e tedesco del 1800.
Si cammina su una ciclabile chiamata GiraSile, una delle più belle del Veneto, che segue fedelmente le anse del fiume. Ne taglia una nei pressi di Lughignano e questo offre la possibilità di vedere la bella Parrocchia di San Martino il cui prato esterno è un luogo perfetto per riposarsi un po’.
Passando attraverso un boschetto si ritorna sull’argine e non lo si molla più fino a Treviso. A condividere i passi, oltre a qualche ciclista, ci sono dei bellissimi germani reali che non sembrano affatto intimoriti dal passaggio di un umano dotato di zaino e bastoncini anzi, si lasciano avvicinare.
La prima vera perla della tappa è il piccolo borgo di Casier, adagiato, silenzioso e affascinante, sulla riva del fiume. Sulla bella piazza si affaccia la chiesa di San Teonisto costruita di fianco al vecchio monastero mentre sulla riva una vecchia gru testimonia l’importanza del Sile per il trasporto fluviale di merci.
Fare una pausa pranzo in questo luogo ameno renderà qualsiasi pietanza abbiate portato con voi molto più saporita.
Continuando a seguire il corso del fiume lungo la ciclabile in poco tempo si arriva al Cimitero dei Burci, un luogo a dir poco straordinario.
I burci erano delle imbarcazioni di legno larghe e piatte che, trainate dai buoi lungo le alzaie, permettevano il trasporto via acqua. Con il crescere del traporto su ruota queste barche sono cadute in disuso e sono state abbandonate dagli armatori in un’ansa del fiume chiamata Sile Morto.
Sono ancora lì, consumate nel corso degli anni dagli agenti atmosferici e rappresentano in qualche modo una sorta di cimitero dei dinosauri. Gli scheletri degli scafi emergono dall’acqua e dalla vegetazione paludosa a ricordarci che il malcostume del non smaltimento rifiuti ha radici molto antiche.
Il silenzio, rotto soltanto dai versi degli uccelli che hanno eletto questo luogo a loro habitat naturale, rende l’attraversamento dell’area attraverso delle passerelle di legno un’esperienza unica.
Mancano ormai pochi chilometri a Treviso e si continua a seguire la ciclabile che offre bellissimi affacci sul Sile, i suoi vecchi mulini ormai abbandonati e i murales di alcuni giovani artisti.
Il GiraSile arriva proprio in centro e guadagnata l’accoglienza si può ammirare la bellezza di una città, ricca di canali, palazzi storici e chiese.
Nel prossimo articolo ripartiremo proprio da qui per la seconda parte delle tappe venete della Via Postumia.
Scopri tutte le tappe della Via Postumia
Continua il viaggio e scopri tutte le tappe:
La Via Postumia: Friuli Venezia Giulia
La Via Postumia: da Treviso a Brendola
La Via Postumia: da Brendola a Monzambano
La Via Postumia: da Monzambano a Cremona
La Via Postumia: da Cremona a Voghera
La Via Postumia: da Voghera a Genova
Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!
Nasce a Roma l’11 ottobre 1965. DJ, musicista, fotografo, e appassionato di cucina. Ha pubblicato i romanzi Iddu – Dieci vite per il dio del fuoco (2014) e Bisesto (2018) per i tipi di Edizioni Spartaco. Da sempre accanito camminatore, pubblica per i tipi di Edizioni dei Cammini La mia Francigena (2016), I giorni di Postumia (2017) e la trilogia del Ricettario Pellegrino, diventando direttore editoriale ed editor della casa editrice. Nel 2020 ha dato vita al progetto artistico Rebois che unisce legno recuperato dal mare e vetro riciclato. Vive e lavora a Venezia.