Lasciato il Veneto alle spalle (qui puoi leggere il capitolo precedente), la Via Postumia si muove fra Lombardia ed Emilia seguendo per lungo tempo la direttrice del Po.
La pianura sconfinata e l’ambiente rurale che si attraversa giorno dopo giorno, sono il leitmotiv di queste tappe del Cammino, un luogo in cui perdersi e lasciare che i pensieri e la mente volino sereni.
La ventesima tappa
La tappa è lunga, ci vogliono 30 chilometri per arrivare a Rivalta sul Mincio, ma un paesaggio straordinario è la medicina migliore contro la fatica.
Lasciate le ultime case di Monzambano alle spalle, s’inizia a camminare lungo un placido canale e dopo poco più di un chilometro lo si attraversa per continuare a seguirlo sull’altra sponda; scorre parallelo al Mincio che però, complice la vegetazione fitta, ancora non si vede.
Un paio di chilometri e si affronta l’unica salita del giorno, una salitella più che altro. Le colline che circondano il viandante formano un ambiente spettacolare grazie ai tantissimi vigneti che le impreziosiscono. Qui si coltivano vari vitigni, dal Cabernet Franc al Cabernet Sauvignon, dallo Chardonnay ad alcuni vitigni tipici del Veneto che in queste zone hanno trovato terreni accoglienti, la Garganega, la Negrara e la Molinara.
Riguadagnato lo zero altimetrico ci si immerge definitivamente nella pianura che accompagnerà il Cammino fin oltre Piacenza. Ci si muove su strade bianche che seguono i numerosi canali d’irrigazione, alcuni secchi, molti altri pieni di un’acqua che scorre veloce e che inviterebbe a un tuffo rinfrescante.
La fauna locale osserva con occhi curiosi il viandante che passa nel loro territorio: cavalli, caprette, qualche piccolo cane e anche delle lumache marroni che, con la loro lentezza nel muoversi, sono uno dei tanti simboli del Cammino.
Le frecce gialle guidano i passi attraverso piccoli agglomerati di case e lungo campi tempestati dal rosso dei papaveri e pieni di basse e lunghe serre per la coltivazione di pomodori e altri ortaggi. Dopo una decina di chilometri immersi in quest’ambiente rurale, si arriva a lambire l’abitato di Volta Mantovana e da lì a raggiungere nuovamente il Mincio. Lungo il suo corso, alle porte di Goito, s’incontra un’area picnic e fare la pausa pranzo su una panchina affacciata sulle tranquille acque di questo bellissimo fiume, ha tutto un altro sapore.
Due importanti battaglie si svolsero sulle rive del Mincio, 8 aprile e 30 maggio del 1848, ed entrambe videro gli Austriaci scappare a gambe levate ma ci fu un incontro ancora più importante da queste parti, o almeno si dice ci sia stato, quello fra il feroce Attila, re degli Unni, e Papa Leone Magno nel 452, in cui il Pontefice riuscì a dissuadere il terribile barbaro a invadere l’Italia. Ora, se sia vero che dietro Leone Magno apparvero dei santi fluttuanti o fu il fatto che le pestilenze stavano decimando l’esercito unno a scongiurare la calata su Roma non si sa, di certo c’è che Raffaello dipinse un famoso affresco in una delle Sale Vaticane che immortala magistralmente l’incontro.
L’ingresso a Goito, così come l’uscita, si avvale di un paesaggio pieno di poesia; si cammina costantemente lungo il fiume, fra pescatori immersi fino alla vita, salici piangenti e un dolce sussurrar di acque su cui i cigni nuotano sereni e indisturbati.
Pur essendo Mantova ancora lontana, siamo già nella terra dei Gonzaga. Famiglia principesca fra le più importanti in Europa e protagonista della storia italiana dal XIV al XVIII secolo, si distinse soprattutto per aver promosso, nel corso del tempo, la vita artistica e culturale di pittori e scrittori dell’epoca Rinascimentale e Barocca.
Mancano 4 chilometri alla fine della tappa e sono tutti su asfalto ma il traguardo è uno di quelli difficili da dimenticare. Il piccolo borgo di Rivalta sul Mincio, adagiato sulle rive del fiume, è di una bellezza rara e l’ostello è una bellissima accoglienza. Guardare il tramonto riflettersi sulle tranquille acque del fiume, diviso dalla palazzina da pochi metri di prato lussureggiante, è il degno finale di una tappa bellissima.
L’estetica bucolica dei lirici latini, soprattutto di Virgilio, è tutta qua, in questo panorama suggestivo, nella serenità del luogo, nel silenzio e nella pace che trasuda.
La ventunesima tappa: da Rivalta sul Mincio a Mantova
Io a Mantova non ci ero mai stato e per questo motivo mi sono costruito una tappa breve, appena 15 chilometri, in modo da avere tempo per visitare la città dei Gonzaga.
Si esce da Rivalta e si comincia a seguire una ciclabile che scorre a lato della strada e che in circa 4 chilometri porta alla prima sorpresa del giorno: il Santuario della Beata Vergine delle Grazie. La chiesa, meta da sempre di pellegrinaggio, deve il suo nome non soltanto alla frazione di Curtatone, dove sorge, ma soprattutto alle numerose grazie concesse a persone bisognose nel corso del tempo.
È uno di quei luoghi bizzarri e pieni di stranezze che sembrano essere immersi in egual misura fra fede e superstizione.
Entrando, si rimane subito colpiti dall’altezza delle meravigliose volte a crociera decorate con affreschi floreali che ricoprono l’unica navata ma quando gli occhi si abituano all’oscurità della chiesa, l’attenzione si concentra tutta su ciò che pende dal soffitto: un coccodrillo.
Non si tratta di una scultura e tantomeno di un fantoccio, ma di un coccodrillo vero, impagliato e tenuto appeso da una doppia catena. Sistemato lassù nel XV o XVI secolo aveva un forte significato simbolico poiché nell’antichità i draghi, ma più semplicemente i rettili, erano associati al demonio e quindi la sua presenza serviva a bloccare il male e ad ammonire i fedeli a non cadere in tentazioni.
Ma il coccodrillo è solo una delle stranezze di questo santuario; i lati della navata, infatti, sono interamente rivestiti da una copertura lignea composta da nicchie al cui interno si trovano dei manichini.
Realizzati in cartapesta con aggiunta di gesso e altri elementi e ricoperti da vestiti e armature rappresentano persone scampate alla morte per intervento divino fra cui anche criminali condannati al patibolo, una sorta di ex voto cui è legata una metopa che racconta la storia. Quella dell’impiccato, per esempio, recita: “Io veggo e temo ancor lo stretto laccio; ma quando penso che tu l’hai disciolto ribenedico il tuo pietoso braccio”.
Un’ultima nota su questo posto incredibile: ogni anno, il 14 e 15 agosto, ha luogo la Fiera delle Grazie, un enorme laboratorio artistico all’aperto caratterizzato dall’annuale Incontro Nazionale dei Madonnari: decine di artisti da tutto il mondo si ritrovano nel piazzale antistante il santuario per dipingere con i gessetti colorati riproduzioni di quadri famosi d’arte sacra o immagini originali dedicate alla Madonna.
Lasciata Grazie alle spalle, si cammina seguendo la provinciale e la sua fida ciclabile fino a ricongiungersi al Mincio che, ormai alle porte di Mantova, si è trasformato nel Lago superiore. Il fiume infatti allarga notevolmente il suo alveo girando attorno alla città dei Gonzaga formando tre laghi: superiore, di mezzo e inferiore.
L’ingresso in città è da brivido: si cammina lungo la riva del lago, in un paesaggio bellissimo fatto di prati, alberi che si sporgono sull’acqua e qualche salice piangente che non guasta mai.
Fermarsi a riposare qualche minuto seduto sull’erba è un ottimo modo di rimandare l’entrata in città accrescendo l’attesa, poi, una volta dentro, bisogna confrontarsi con la sua bellezza, il suo castello, le sue piazze, le sue chiese e perché no, i suoi manicaretti.
Non basterebbe un articolo per descrivere pienamente questa meravigliosa città per cui vi regalo un invito al viaggio e lascio a voi scoprire il fascino di Mantova.
Mi sento però di darvi un suggerimento: andate a vedere il tramonto sulle rive del Lago Superiore e vedrete l’orizzonte riempirsi di colori incredibili su cui si stagliano le silhouette dei pescatori con le lenze tese dall’ostinazione dell’ultimo pesce del giorno, il modo migliore di chiudere una bella giornata.
La ventiduesima tappa: da Mantova a Scorzarolo
Si lascia Mantova proprio come ci si era entrati, costeggiando il lago, quello inferiore stavolta. Il sentiero si muove in una vegetazione fitta che ogni tanto si apre per regalare al viandante degli splendidi affacci sull’acqua.
Si va avanti così per un paio di chilometri poi, giunti al piccolo borgo di Andes, meglio noto come Pietole Vecchia, si gira a destra e si dice addio al Mincio che prosegue la sua corsa per andarsi a tuffare nel Po.
Siamo in un luogo storico e a testimoniarlo c’è un monumento situato proprio alla rotonda del paese; una colonna circondata da una corona d’alloro di metallo, ci ricorda che qui, il 15 ottobre del 70 a.C., ebbe i suoi natali il più grande poeta latino, Publio Virgilio Marone noto semplicemente come Virgilio.
Fu lui a descrivere perfettamente la bellezza di questi luoghi nelle Bucoliche, nelle Georgiche e anche nel suo capolavoro, l’Eneide.
Una targa riporta questa semplice frase: “E quell’Ombra gentil per cui si noma Pietola più che villa mantovana”, parole tratte dalla Divina Commedia, Canto XVIII del Purgatorio, ricordano quanto il sommo vate Dante Alighieri stimasse il poeta latino, tanto da sceglierlo come compagno di viaggio e guida nel suo peregrinare nei tre mondi del post mortem.
Attraversato il paese di Pietole, la sua parte moderna, si continua a camminare per una decina di chilometri in aperta campagna, in un’atmosfera di grande pace e avvolti dagli odori e i rumori delle attività agricole. I soliti canali, campi a perdita d’occhio, e qualche cascina isolata fanno da palcoscenico ai passi che corrono veloci verso Scorzarolo, meta della tappa odierna che si trova a 26 chilometri dalla partenza.
Il primo paese che s’incontra lungo la via è San Cataldo, piccolo ma dotato di bar ed è un ottimo luogo dove concedersi una sosta.
Siamo circa a metà tappa e per arrivare a Boccadiganda, il paese successivo ci vogliono più o meno tre chilometri; è qui che ci si affaccia per la prima volta sulla riva del Po ed è da qui che, girando a destra, si comincia a seguire la sua ciclo-via.
Dopo appena due chilometri si giunge nell’abitato di Borgoforte, un luogo storicamente e strategicamente importante nell’antichità.
Il tutto si deve a uno dei primi ponti costruiti su questo grande e lungo fiume, sicuramente il più importante della zona. Dotato di ponti levatoi e molto alto per permettere il passaggio di barche provviste di albero di navigazione, era transitabile, secondo le regole dettate dai Gonzaga, a piedi e a cavallo con merci caricate su animali da soma o su carri trainati da buoi; che si passasse sul ponte o ci si navigasse sotto, si doveva comunque pagare un pedaggio. La sua funzione però era anche militare, impedire il passaggio ai nemici, soprattutto ai Visconti di Milano le cui mire espansionistiche si spingevano fino a Mantova.
Più volte distrutto e ricostruito, del ponte non rimane traccia, così come della Rocca di Borgoforte che era un vero e proprio presidio contro scorrerie di ogni tipo. Resiste solo il forte centrale che attualmente è usato per attività culturali.
Il fiume scorre lento alla nostra sinistra e la ciclabile lo segue fedelmente. Scordatevi la piacevole ombra del Gira Sile e della Treviso-Ostiglia, gli unici alberi sono giù, lungo la riva e se la giornata è calda, il sole picchia duro; l’asfalto non è certamente la superfice migliore su cui camminare e l’unico conforto per il viandante sono date dal paesaggio. Alcuni casoni da pesca che si allungano sull’acqua e, a destra, le geometrie agricole e gli arcobaleni creati dagli idranti sono le uniche cose in grado di dare un po’ di conforto.
Quando si arriva alle porte del piccolo paese di Scorzarolo, si abbandona finalmente la ciclabile scendendo dall’argine ed entrando nell’abitato. S’incontra subito una fontanella con due piccole panchine ai lati e mettere la testa sotto il getto dell’acqua fresca segna piacevolmente la fine della tappa.
Due parole sull’accoglienza: il Campo del Lupo è un B&B convenzionato dove dormire è una vera esperienza. Farida, la donna che lo gestisce e che mi ha abbracciato al mio arrivo come fossi il figliol prodigo, ha tantissimi animali e ci tiene a presentarli uno a uno. Capre, cavalli e muli, ma anche gatti, un cane e alcune oche formano l’allegra brigata di questo luogo del cuore, ma una menzione speciale la merita il gallo Cometa, più un animale da compagnia che da aia, vista la sua nonchalance nell’appollaiarsi sulle spalle o sulle braccia degli ospiti.
La ventitreesima tappa: da Scorzarolo a Breda Azzolini
Anche questa è una tappa lunga, molto lunga, 32 chilometri in cui si fa costantemente il conto dei passi che sembrano non arrivare mai a destinazione.
Svegliarsi con il canto del gallo è sempre una cosa bella quando si è in Cammino, se poi il gallo è Cometa lo è ancora di più.
Riguadagnata la ciclabile, si comincia a camminare e dopo un paio di chilometri, il Po fa un’ampia curva a sinistra, proprio dove s’immette l’Oglio che è il fiume odierno e che il Cammino comincia a seguire.
Questo affluente del Po, che scorre placido e sereno alla sinistra del viandante, sa regalare paesaggi sorprendenti con il cielo e gli alberi che si riflettono immobili sulle sue acque; sulla destra si distendono campi striati di verde, alberi in fila indiana e gli ormai inevitabili irrigatori pittori con i loro vividi colori.
Seguendo i movimenti sinuosi delle anse del fiume e le frecce gialle che indicano il percorso, si prosegue senza incontrare nemmeno un paese, per cui vi consiglio vivamente di portarvi una scorta aggiuntiva di acqua.
Dopo qualche chilometro la ciclabile, dopo un incrocio, si trasforma da asfaltata in sterrata e i passi si fanno più leggeri. Bisogna sempre camminare con attenzione perché in uno spazio così aperto e isolato, i ciclisti più che pedalare, volano e ti arrivano silenziosi alle spalle. Mantenere i passi su uno dei due lati della via diventa fondamentale.
I chilometri scorrono lentamente e quando si arriva a San Michele in Bosco, minuscolo paese, se ne sono già percorsi 17. È un ottimo luogo per riposare e mangiare qualcosa o semplicemente bere una bibita fresca all’ombra del gazebo del piccolo bar.
Si continua a seguire l’Oglio e dopo poco più di tre chilometri si arriva alle porte di Marcaria. Qui conviene fare una piccola deviazione ed entrare in paese per procacciarsi la cena. Breda Azzolini, punto tappa di oggi, è un agglomerato di case in mezzo al nulla e l’ostello non fornisce viveri. Acquistare pane e culatello nella piccola bottega del borgo ha un sapore speciale e non per via del prestigioso affettato ma per la sensazione di essere piacevolmente perduto nel mondo o quantomeno in un luogo che è distante dalla nostra vita ordinaria. Si legge negli occhi della titolare, che guarda un uomo sudato e con lo zaino sulle spalle entrare e lo accoglie con curiosità. Raccontare di un nuovo cammino nei luoghi che si attraversano, luoghi non ancora abituati al passaggio di pellegrini, è una bellissima cosa, quasi un dovere.
Una volta tornati sul percorso, si attraversa un ponte seguendo il fiume sul lato opposto per un chilometro circa per poi abbandonarlo al suo corso deviando a sinistra e continuando a camminare in una campagna sconfinata.
Si arriva alle porte di San Martino dall’Argine, drittone in forma di paese dotato di portici, con tutta la fatica nei piedi e sulle spalle e camminare all’ombra, anche se per poco, è un’autentica benedizione.
Sul muro di una casa, una vecchia targa segna la distanza da Cremona (42 chilometri) e da Mantova (24 chilometri) ma sono dati falsi, almeno per il viandante che non percorre la via più breve ma quella più sicura.
Mancano circa sei chilometri all’arrivo ma c’è un’ultima insidia da affrontare, il passaggio davanti alle serre. Non sono quelle grandi, dove si entra in piedi, ma quelle piccole e lunghe che si trasformano in autentici bocchettoni di calore: percepire alcuni gradi in più in una giornata già calda è tutt’altro che piacevole.
Si continua su una strada bianca che si muove fra alcuni canali e porta all’ultimo drittone che sembra non finire mai ma alla fine l’ostello di Breda Azzolini accoglie il viandante con la sua ombra e una bottiglia di acqua gelata.
La ventiquattresima tappa: da Breda Azzolini a Gussola
La tappa odierna consta di 25 chilometri ma ha al suo interno uno dei luoghi più affascinanti dell’intero percorso. Andiamo con ordine: si riprende da dove si era lasciato il giorno prima e ci si tuffa subito fra i tanti canali e le strade bianche che li seguono fedelmente.
Qua e là spuntano alcune cascine diroccate con i muri bucati e la vegetazione che cerca di coprirli, come se volesse nascondere lo scempio di un’abitazione lasciata morire, alla faccia dell’emergenza abitativa: i ruderi contemporanei sono terribili monumenti all’ineguaglianza.
Si passa per il piccolo abitato di Brugnolo che, poco dopo l’alba, sembra un paese fantasma e, dopo aver camminato per un paio di chilometri s’incontra un piccolo tabernacolo dedicato alla Madonna; sugli spigoli e lungo il tetto si diramano, come una cornice hippy, arbusti di rose profumate. Immerso com’è nella campagna silenziosa, trasmette una grande energia e anche una grande pace; sostare qui è un piccolo momento prezioso.
Un’altra manciata di chilometri e finalmente appare la cinta muraria di Sabbioneta, piccola perla del mantovano e sito patrimonio dell’Unesco.
Fondata da Vespasiano Gonzaga Colonna tra il 1554 e il 1591, ha rappresentato uno dei primi esempi di Città Ideale, cioè un insediamento il cui disegno urbanistico rispecchia geometricamente principi di razionalità e funzionalità, quasi un luogo filosofico o utopico.
Il sentiero compie un mezzo giro attorno alle mura e al fossato e poi, attraverso Ponte e Porta Imperiale entra in città. Il centro è pedonalizzato, e passeggiare è un piacere perché nel suo piccolo spazio, questo borgo ospita tantissime meraviglie, il Palazzo ducale, la Galleria degli antichi e il sottostante porticato, il Teatro all’antica o Teatro Olimpico e una sinagoga, oltre alle belle chiese fra cui quella della Beata Vergine Incoronata e quella dedicata a San Rocco. Vale veramente la pena di soffermarsi un po’ per ammirare tanta bellezza.
Lasciata Sabbioneta alle spalle si prosegue a camminare fra i campi in direzione di Casalmaggiore. Poco prima di raggiungere il borgo, una freccia gialla di legno indica che a Genova mancano ancora 357 chilometri, ma il viandante non conta mai la distanza, va avanti giorno per giorno, metro per metro, è il solo modo.
Quando mancano due chilometri scarsi all’abitato di Casalmaggiore, il campanile di una chiesa indica la seconda sorpresa del giorno, il Santuario della Madonna della Fontana.
Nata come piccola cappella sorta dove anticamente c’era una fonte che serviva da ristoro a viandanti che, una volta fermatisi a bere, pregavano la Madonna affinché proteggesse il loro cammino, fu ampliata, in virtù di tanta devozione, nel 1463. L’acqua della fonte usciva nella cripta della chiesa e veniva considerata miracolosa per via delle molte vite salvate durante la pestilenza del 1629-1630.
Due piccole particolarità: all’interno del santuario riposano le spoglie del Parmigianino che visse a lungo a Casalmaggiore dopo essere scappato da Parma e fra i numerosi affreschi che impreziosiscono la chiesa, ce n’è uno raffigurante Giovanna d’Arco, il primo dipinto in Italia.
Casalmaggiore deriva da Castra majora, un accampamento romano assai vasto situato strategicamente lungo la riva sinistra del Po.
Il paese è carino ma nulla di più, una volta attraversata la piazza centrale si è visto tutto. A questo punto non resta che risalire l’argine e affacciarsi nuovamente sul fiume.
Si cammina per tre chilometri al suo fianco sotto l’ombra di alcuni preziosi alberi poi si abbandona girando a destra; è solo un arrivederci, lo ritroveremo nei giorni a venire. Mancano ormai quattro chilometri di strada sterrata per ricongiungersi alla ciclabile ed entrare finalmente nell’abitato di Gussola.
La venticinquesima tappa: da Gussola a Solarolo Monasterolo
Tappa breve quella di oggi, solo 18 chilometri, tutti da percorrere seguendo la direttrice del Po anche se spesso a distanza. Vi consiglio di comprare la cena prima di partire perché a fine tappa non troverete da mangiare ma troverete una cucina all’ostello.
Si riprende la ciclabile dove si era lasciata il giorno prima entrando a Gussola e la si abbandona quasi subito girando a sinistra per immergersi nell’agro padano.
Tutto intorno è un fiorire di piante di camomilla spontanea ma a farla da padrone sono le macchine agricole con le loro forme bizzarre e i grossi tubi d’irrigazioni di un blu elettrico che risalta sulla terra seminata di fresco.
Si riguadagna la ciclabile e si entra nel piccolo paese di Torricella del Pizzo dove, volendo, si può integrare la colazione nel locale bar.
La ciclabile continua pigra ad attraversare la campagna e camminando può capitare di essere sorpassati da gruppi di ciclisti o, perché no, da pattinatori lanciati a gran velocità. Quando una freccia gialla indica di girare a sinistra, si abbandona nuovamente la ciclabile per cominciare a zigzagare fra i campi coltivati su comode sterrate. Se è la solitudine più assoluta ciò che cercate, beh, in queste tappe della Via Postumia la troverete; il silenzio è rotto solo dal verso di qualche airone che si sposta veloce nel cielo in cerca di cibo o dal soffiare del vento fra le piante di erba medica o di frumento.
Quando vediamo il campanile della chiesa di Solarolo Monasterolo alzarsi isolato nel cielo si ritrova la ciclabile e dopo poco si arriva a fine tappa.
Il paese è veramente piccolo, con la chiesa, l’ostello, poche case e la Cascina Stanga Maggi, detta del Curgnac, un complesso rurale antico, risalente al 1700.
Il suo ingresso è anche la sua parte più bella: il portone è inserito in una facciata di un arancione acceso, sormontata da una guglia con un avvoltoio appollaiato in cima e ha un grosso cespuglio di rose rosse a fare da sentinella.
L’ostello, ristrutturato da poco, è ospitato nella canonica ed è veramente accogliente mentre la piccola chiesa ospita una bella statua di San Rocco col vestito d’ordinanza e cane a seguito. Solarolo Monasterolo è tutto qui, ma alle 18,00, all’interno del chiostro, apre un piccolo spazio gestito dalla proloco, un baretto essenziale dove poter bere qualcosa.
La ventiseiesima tappa: da Solarolo Monasterolo a Cremona
A tappa breve segue tappa lunga, è una legge quasi insindacabile della viandanza, come se si dovesse scontare la strada risparmiata il giorno prima. Cremona dista 33 lunghi chilometri ma la bellezza della città è un autentico premio.
L’alba sulla ciclabile è un vero spettacolo: la luce radente enfatizza le geometrie delle file del fieno tagliato e pronto per essere raccolto e tutto sa di tempo sospeso o di aspettativa.
In circa 5 chilometri si raggiunge nuovamente il Po presso il borgo di Isola Pescaroli dove c’è una vecchia diga ma il baretto ancorato alla riva del fiume apre solo in tarda mattinata per cui non ci fate affidamento per una seconda colazione, per quella bisogna fare altri 10 chilometri fino al borgo di Stagno Lombardo, il prossimo paese sulla Via.
Si cammina per un po’ lungo il fiume, poi si riprende la ciclabile. Nell’aria c’è, pungente, l’odore del letame, dei campi concimati, della fatica contadina, e sui cartelli lungo la strada si leggono parole antiche come chiavica o chiavicone (paratoie per regolare il flusso di uno scolo in un corso d’acqua) e budri (che sarebbero degli stagni); qua e là appaiono cascine enormi dai nomi bizzarri, con l’aia circondata e protetta dalle grosse mura e dei silos isolati.
Arrivati a Stagno Lombardo, nella piazza si trova subito il bar quindi una sosta s’impone anche perché siamo solo a metà tappa.
Si riparte e subito fuori dal paese s’incontra una buffa meridiana, molto coreografica; ricorda vagamente uno di quei monumenti sovietici dedicati a qualche glorioso cosmonauta; sul suo piedistallo, storto e slanciato, una frase recita: “Che l’ora ti sia propizia”.
Dopo altri 5 chilometri passati a zigzagare fra i campi, si raggiunge nuovamente il fiume e si comincia a costeggiarlo percorrendo un bel sentiero alberato che regala una piacevole ombra.
Si continua così fin quasi alle porte di Cremona, si passa sotto l’autostrada, si lambisce il paese dal nome più strano del mondo, Bosco Ex Parmigiano, e alla fine in una mezzora si fa ingresso nella Città delle tre T, Turòon, Turàs e Tetas (ma per questo vi rimando a Google).
Vi dico solo che la città merita una lunga e accurata visita, motivo per cui, quando percorsi la Via Postumia, mi presi un giorno di riposo proprio qui. Clicca qui per continuare il viaggio!
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Continua il viaggio e scopri tutte le tappe:
La Via Postumia: Friuli Venezia Giulia
La Via Postumia: da Latisana a Treviso
La Via Postumia: da Treviso a Brendola
La Via Postumia: da Brendola a Monzambano
La Via Postumia: da Cremona a Voghera
La Via Postumia: da Voghera a Genova
Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!
Nasce a Roma l’11 ottobre 1965. DJ, musicista, fotografo, e appassionato di cucina. Ha pubblicato i romanzi Iddu – Dieci vite per il dio del fuoco (2014) e Bisesto (2018) per i tipi di Edizioni Spartaco. Da sempre accanito camminatore, pubblica per i tipi di Edizioni dei Cammini La mia Francigena (2016), I giorni di Postumia (2017) e la trilogia del Ricettario Pellegrino, diventando direttore editoriale ed editor della casa editrice. Nel 2020 ha dato vita al progetto artistico Rebois che unisce legno recuperato dal mare e vetro riciclato. Vive e lavora a Venezia.