Nel 148 a.C. il console romano Postumio Albino diede inizio alla costruzione di una via che univa i due porti più importanti del Nord Italia dell’epoca, Aquileia e Genova.
Costruita fondamentalmente per scopi militari, ma usata inevitabilmente anche come via di commercio, attraversava tutta la Gallia Cisalpina, l’odierna Pianura Padana. Quando l’Impero Romano d’Occidente si dissolse, anche questa antica strada cominciò il suo lento declino fino a scomparire del tutto.
Qualche anno fa Andrea Vitiello, pellegrino con una grande passione per la storia, decise di creare un Cammino che ripercorresse il vecchio tracciato unendo tutti i principali castrum romani. L’idea era quella di dare vita a un percorso che facesse da raccordo ai cammini giacobei dell’Est Europa con quelli che si muovevano dalla Francia, bypassando le Alpi.
Questo sogno è stato felicemente realizzato senza utilizzo di fondi statali ma grazie solo all’impegno e alla passione di un nutrito gruppo di volontari che fanno del Cammino uno stile di vita.
Usando sentieri, piste ciclabili, sterrate e strade di campagna sono nate le tracce GPS e ha preso il via un lungo lavoro di creazione della segnaletica fatta di frecce gialle dipinte, adesivi e cartelli autoprodotti.

Stiamo parlando di un Cammino di oltre 900 chilometri che attraversa sei regioni e tocca ben nove siti patrimonio dell’Unesco. Un percorso che attraversa la storia, da quella degli antichi Romani a quella delle storiche battaglie napoleoniche alla Prima Guerra Mondiale, un passato lungo e pieno di eventi ma che si muove anche fra ecosistemi, culture, dialetti e tradizioni differenti ma inevitabilmente legati a stretto filo.
Io sono stato il primo a percorrere tutta la via, rigorosamente in solitaria, e ve la racconterò dividendola per regioni.
Via Postumia: il primo tratto nel Friuli Venezia Giulia, da Aquileia a Latisana
Il primo sito patrimonio dell’Unesco che s’incontra è anche il punto di partenza del Cammino.
Aquileia, infatti, è il più importante sito archeologico del Nord Italia. Storico porto fluviale e luogo di commerci e scambi, ebbe una grande importanza anche nella diffusione del Cristianesimo. La basilica dedicata a Santa Maria Assunta è un vero gioiello, con la pavimentazione costituita da meravigliosi mosaici, la sua austerità e il suo campanile dalla cui sommità si gode una vista suggestiva sulla laguna di Grado e le campagne circostanti.

L’area archeologica merita assolutamente una visita. Fra le altre cose è visibile un breve tratto, quello iniziale, della vecchia Via Postumia.
Il cammino però muove i primi passi dalla Via Sacra che segue, fra romantici filari di cipressi, il canale dove aveva sede il porto, un inizio veramente affascinante.
Percorrendo sterrati di campagna, piccoli argini e viottoli si arriva a Cervignano del Friuli, sede di un antico praedium romano chiamato Cervinianum. I praedium erano possedimenti terrieri assegnati generalmente a veterani delle milizie romane che servivano a presidiare i confini creando di fatto una sorta di rete difensiva contro le incursioni dei barbari.
Attraversato il paese si continua a camminare fino ad arrivare alla frazione di Strassoldo. Borgo medievale ottimamente conservato, con le sue ville, i suoi giardini, i due piccoli castelli e qualche mulino, accoglie il viandante con il suo fascino, portandolo per un attimo in una dimensione altra, quasi magica. Un tempo era un fortino difensivo posto al confine con l’Impero Austriaco e appariva come un castello mentre l’aspetto attuale è frutto dei rimaneggiamenti del Settecento.
Fare qui una sosta diventa inevitabile.

Si continua quindi a camminare su piccole strade e sterrati fino a raggiungere Aiello del Friuli, il paese delle meridiane. Sono oltre cento, infatti, gli orologi solari dipinti nel corso del tempo sui muri delle case, ognuno con un suo motto preciso e unico che racconta la storia e la cultura di questo luogo. Si cammina per le strade del paese con lo sguardo rivolto verso l’alto a caccia di queste opere, vera e propria testimonianza dell’ingegno umano nel calcolare lo scorrere del tempo.
Ogni anno, verso la fine di maggio, questa peculiarità è celebrata con una vera e propria festa, un appuntamento ricco di eventi e imperdibile per tutta la popolazione locale e non solo.

Usciti da Aiello si continua su piccole strade e dopo aver attraversato i paesi di Joannis e Privano e scavalcato l’autostrada Trieste-Torino ci si addentra nuovamente nella bassa friulana.
Palmanova ormai è vicina, la stanchezza si fa sentire, ma camminare nella campagna silenziosa, incontrare casualmente dei caprioli o attraversare campi di erba medica in fiore, fanno si che la fatica non si senta.
La città a forma di stella a nove punte, secondo sito patrimonio dell’Unesco lungo la Via Postumia, è una mirabile opera di architettura militare, un vero e proprio gioiello edificato nel 1593 dai Veneziani come presidio a due passi dal confine con l’Impero Asburgico.


Camminare per un tratto lungo l’argine dei fossati, attraversare la porta est e arrivare infine nella centrale Piazza Grande, è sicuramente il modo migliore per chiudere la prima giornata di cammino.
La seconda tappa
La seconda tappa, ben 34 chilometri fino a Palazzolo sullo Stella, si muove in un ambiente rurale degno di nota. Lontano da strade e centri abitati, ci si può immergere nella pace assoluta rotta solo saltuariamente da rumori di macchine agricole.

Uno dei luoghi più suggestivi che si incontra è sicuramente la pioppeta. Si tratta di un lungo drittone − termine che qui sulla via Postumia indica un tratto di percorso che per vari chilometri non incontra il benché minimo accenno di curva (e che ritroverete più volte in questi articoli) − costeggia un enorme impianto di coltivazione di alberi, quelli per la cellulosa, materiale utilizzato per la lavorazione della carta.
Le prospettive create da queste piantagioni, i lunghi filari di alberi perfettamente incolonnati, i fusti sottili e le chiome rigogliose hanno sempre avuto su di me un fascino particolare. Provo un’attrazione irresistibile per l’ombra che creano e quando il caldo si fa sentire, il desiderio di stendersi ai piedi di questi alberi diventa irrefrenabile, anche se difficile da appagare visto il terreno argilloso in cui affondano le radici.
Si cammina per qualche chilometro così, fra piccoli canali d’irrigazione scavalcati da ponticelli appena accennati, chiuse arrugginite dal tempo e passaggi improvvisati di animali come lepri e gatti selvatici che sono solo il contorno a tanta bellezza.
Continuando lungo la Via si arriva a Chiarisacco, piccola frazione di San Giorgio di Nogaro. Se Aiello è il paese delle meridiane, Chiarisacco è quello dei murales.

Nel corso del tempo il locale Circolo Culturale ha affidato a numerosi artisti il compito di affrescare i muri di alcune delle case del piccolo centro. È così che ci si ritrova a camminare fra volti di donne, pesci, animali, simbolismi e scene di vita religiosa. Alcuni occupano intere facciate, altri sono più piccoli ma ugualmente affascinanti e tutti insieme formano una specie di museo a cielo aperto.
Lo stupore però non finisce qui, basta, infatti, attraversare un piccolo ponte ed entrare nell’abitato di San Giorgio di Nogaro per trovare altri dipinti, opere di street artist armati di bombolette che affrontano vari temi sociali colorando i piloni di un cavalcavia.
È come se ci fossero due sale distinte del museo, una più classica e l’altra più contemporanea, un dialogo ben riuscito fra stili e generazioni.
Abbandonato il paese, si torna a camminare su piccole stradine di campagna dove il passaggio di macchine è una vera rarità. Raggiunto il piccolo paese di Carlino, luogo ideale per fare una sosta e riempire la borraccia, si abbandona l’asfalto.
La sterrata su cui si prosegue passa in mezzo a giovani vigne, attraversa un boschetto che regala un po’ di sana ombra al viandante e poi si trasforma in un altro drittone. C’è una presenza che sorveglia questo tratto del Cammino, un grosso albero nero, morto, rinsecchito. Si staglia solitario ai bordi di un campo con i suoi rami contorti e, forse complici il caldo e la fatica, nel mio immaginario diventa il solitario guardiano della Via Postumia.

Alla fine del rettilineo si attraversa il canale Comor e si accede al bosco Baredi.
Ci troviamo in una zona molto particolare del Friuli, un’area planiziale, dove le acque del mare e quelle dei fiumi si mescolano alla terra da millenni cambiando l’aspetto del territorio. Conosciuta anche come Selva di Arvonchi, è ciò che rimane di un’ampia foresta che si estendeva tra il fiume Livenza e l’Isonzo.
Sono circa 300 ettari di bosco che ospitano numerose specie arboree, fra cui il frassino maggiore, l’orniello, l’ontano nero e l’acero campestre, ma dove si trovano anche ciliegi, meli e peri selvatici. La fauna è composta da caprioli, cinghiali, scoiattoli, il toporagno della Selva di Arvonchi, specie endemica, e numerosi uccelli fra cui il falco pecchiaiolo, la poiana, il gufo, il picchio rosso e l’usignolo.
Vere perle della vegetazione sono però delle orchidee che crescono spontanee e regalano, nella stagione buona, piccole gemme di colore che impreziosiscono il verde del sottobosco.
In questo piccolo angolo di paradiso trovano posto anche alcune opere di land art fatte di legno o di bambù che rendono il camminare un’esperienza ancora più piacevole.
Da qui alla fine della tappa mancano poco più di tre chilometri, tutti su asfalto ma l’accoglienza, un agriturismo convenzionato appena fuori dall’abitato di Palazzolo dello Stella, è di quelle da ricordare e cancella, grazie anche a una doccia rigenerante, tutta la fatica di una giornata lunga.
La terza tappa
La terza tappa, 32 lunghi chilometri, porta direttamente in Veneto ma in virtù della divisione regionale, mi fermerò con la narrazione al bel borgo di Latisana.
Palazzolo sorge sull’antico castrum di Palatiolum, costruito dai romani lungo il corso dello Stella, un fiume di risorgiva. Non ci sono scavi archeologici o monumenti di particolare interesse ma c’è un moderno ponte pedonale che ricorda vagamente quelli tibetani. Lunghi tiranti di acciaio tengono saldamente ancorata alla struttura di cemento una passerella che ondeggia e si flette ad ogni passo.

Una volta attraversato e fatto poco meno di un chilometro si gira a sinistra e ci s’immerge nuovamente nella campagna friulana in direzione del piccolo paese di Precenicco.
Qui si parla più un dialetto che l’italiano, il che spiega perché sia inserito nell’ambito territoriale della tutela della lingua friulana, nello specifico quella Centro-Orientale.
Si prosegue per un paio di drittoni accompagnati dal gracidare delle rane nei canali e sotto lo sguardo vigile di alberi solitari fino ad arrivare al piccolo paese di Gorgo.
Siamo nella terra dell’asparago bianco, tipico prodotto locale molto amato dalla popolazione tanto da meritarsi una vera e propria sagra: l’Asparagorgo.
Lo so, il nome ricorda più una mitologica creatura degli abissi ma qui alla fine di aprile si radunano tantissime persone per assaggiare le prelibatezze a base di questa pianta che si differenzia dall’asparago classico per il diverso tipo di coltivazione. Tutta la pianta, infatti, cresce sottoterra rimanendo quindi immune alla funzione clorofilliana e non assumendo il tipico colore verde della versione classica. Personalmente li trovo più insipidi, soprattutto rispetto all’asparago selvatico, sottile e saporitissimo, che a mio modesto parere rimane il top della lista.

Da Gorgo si cammina lungo un bell’argine che segue l’andamento curvilineo del Tagliamento pur nascondendolo alla vista grazie alla foltissima vegetazione che ne segue le rive. Va avanti così per quattro ampie anse poi si raggiunge il borgo di Latisana e questo fiume storico si mostra in tutto la sua maestosità.
Prima del famoso Non passa lo straniero, celebre verso della canzone che faceva riferimento alla vittoriosa resistenza sull’argine del Piave, una parte dell’esercito italiano, dopo la disfatta di Caporetto lungo l’Isonzo si ritirò lungo le rive del Tagliamento per dare tempo agli altri di costruire il fronte difensivo sul Piave.
La resistenza fu tenace a dispetto delle poche armi, dell’esiguo numero delle forze e anche grazie a una piena straordinaria del fiume che mise in stallo l’avanzata dell’esercito austriaco per un po’, ma che alla fine riuscì ad attraversare le acque di questo largo fiume e a dilagare nella pianura friulana.

Attraversarlo ora su un comodo ponte è decisamente più facile, soffermarsi un attimo a guardarlo dall’alto viene spontaneo. Di fatto questo fiume segna il confine fra il Friuli e il Veneto e quindi anche la fine di questo primo articolo sulla Via Postumia.
Scopri tutte le tappe della Via Postumia
Continua il viaggio e scopri tutte le tappe:
La Via Postumia: da Latisana a Treviso
La Via Postumia: da Treviso a Brendola
La Via Postumia: da Brendola a Monzambano
La Via Postumia: da Monzambano a Cremona
La Via Postumia: da Cremona a Voghera
La Via Postumia: da Voghera a Genova
Tutte le foto che vedi in questo articolo sono di Andrea Vismara: se vuoi utilizzarle, ricordati di menzionarlo e taggare managaia.eco. Grazie!

Nasce a Roma l’11 ottobre 1965. DJ, musicista, fotografo, e appassionato di cucina. Ha pubblicato i romanzi Iddu – Dieci vite per il dio del fuoco (2014) e Bisesto (2018) per i tipi di Edizioni Spartaco. Da sempre accanito camminatore, pubblica per i tipi di Edizioni dei Cammini La mia Francigena (2016), I giorni di Postumia (2017) e la trilogia del Ricettario Pellegrino, diventando direttore editoriale ed editor della casa editrice. Nel 2020 ha dato vita al progetto artistico Rebois che unisce legno recuperato dal mare e vetro riciclato. Vive e lavora a Venezia.