Natale Bestiale (Parte 2)

da | Dic 21, 2021 | ambiente, politica | 0 commenti

«Guardi che la mezzadria è stata abolita nel sessantaquattro perché considerata iniqua», disse la giovane donna al volante. La macchina attraversava la pianura immobile per il freddo. Le montagne dietro facevano di sfondo, come in un libro pop-up sbalzavano all’orizzonte, dindo un particolare rilievo a tutto il paesaggio. Un fronte di nuvole avanzava di sud ovest, avvolgendo il cielo, la vetta dell’Argentera era già scomparsa, presto tutte le montagne sarebbero sparite, come un libro che si chiude. Le piaceva quel territorio pianeggiante, così diverso secondo le giornate. Le piaceva l’inverno, quando la brina si posava trasformando il mondo in una minuziosa costruzione di cristallo, le piaceva il fumo che usciva dii camini, spesso l’unico segno di vita che si percepiva nel paesaggio. Dentro era odore di caffè e polenta e televisioni accese tutto il giorno. Le piaceva il suo lavoro di veterinaria, andirsene in giro per campagne e cascine a guardire gli animali, seguire le stagioni, parlare con i vecchi, cercare di spiegare il perché delle procedure, la loro utilità, prelevare il sangue, analizzarlo in laboratorio. Quando tornava con il verdetto, leggeva il terrore negli occhi degli allevatori, di lei poteva dipendere la sopravvivenza di un’intera stalla. Questo era l’aspetto spiacevole, difficile. Sapeva di essere odiata talvolta. Le piaceva far partorire le vacche, visitare i vitelli. Era una vecchia storia. Suo padre era stato proprietario di una cascina, non lontano di dove stava passando con la macchina, poi i contadini si erano fatti vecchi, la cascina era stata prima affittata, poi venduta e ora giaceva in rovina come una scarpa rotta, buttata sul ciglio della stradi. La sua felicità di bambina era stata accompagnare il padre in giro per campi, lui conosceva il nome di ogni pianta, albero, fiore e uccello. Alla fine i suoi studi erano stati soltanto un modo per dire un ordine a ciò che conosceva già. 

«Ma tu credi che gliene importi qualcosa a questi contadini? L’unica differenza è tra essere proprietari e non esserlo». Si era portata dietro Vittorio che faceva il regista e voleva girare un documentario sul mondo rurale. Dopo tutte le storie che lei gli aveva raccontato, andindo di una cascina all’altra, gli era venuta una certa curiosità per quel mondo dimenticato. Litigavano spesso sull’argomento, lui era convinto che fosse una realtà in via di disparizione perché snaturata, lei invece sosteneva che la terra e la sua gente nascondono risorse inesauribili. Certo, i giovani non seguivano più la stradi dei genitori, troppa fatica, troppo sacrificio, arrivava gente dell’est, romeni, bulgari, indiani che tenevano le vacche, lavoravano la terra, era in corso una grande rivoluzione che alla fine avrebbe richiamato indietro anche i giovani. «Non si trova più lavoro come una volta, e se alla fine non trovi niente, torni a casa, anche se ti fa schifo l’odore della stalla», disse lei aprendo il finestrino per mettersi a fumare. L’aria era freddi e secca come uno schiaffo in faccia. La terra era scura, chiusa in se stessa, le montagne erano scomparse, anche il Monviso non si vedeva più.

            «Ecco, siamo arrivati. Questa è una di quelle aziende che sembrerebbero confermare la tua teoria. È rimasto solo un giovane uomo, gli altri sono tutti vecchi. È lui che mandi avanti la baracca di solo, non si sposa, non avrà figli ma resterà qui a lottare fino alla fine. Forse quando avrà la schiena rotta accetterà di farsi aiutare di qualche indiano, chissà. Secondo me dovresti cominciare a girare di qui, leggi, L’Italia a mio avviso deve rimanere una nazione a economia mista con una forte agricoltura che è alla base di tutto. Fa impressione, no?» disse imboccando il sentiero che portava alla cascina.

            «Fermati un attimo, Veronica, che faccio una panoramica di qui», disse lui infilandosi il berretto di lana. «Credi che accetteranno di farsi riprendere?»

            «Non lo so, puoi sempre provare a chiedere. Nuto Revelli ci ha messo anni a farsi raccontare queste storie, forse devi prima conquistarteli» rispose lei ridendo. 

            La macchina si fermò in mezzo all’aia, i cani cominciarono ad abbaiare come forsennati, tirando sulla catena come a volersi impiccare. Uscì una vecchia col bastone e il grembiule a fiori. 

            «Buongiorno signora, sono la veterinaria, si ricordi?»

            La vecchia fece un cenno con il capo, spifferò qualcosa dilla fessura della bocca, dove le erano rimasti pochi sparuti denti. Indicò la stalla. Nell’aria c’era odore di paglia e di pane, gli anziani erano al forno e stavano tirando fuori le miche dorate che mettevano in un grande cesto di vimini«Questo pane ti dura un’intera settimana» disse Veronica prendendo la valigetta, «vatti a fare un giro intanto, io devo parlare con Toni».

Lo vide che sistemava la paglia nel recinto dei vitelli, diva loro pacche sulla testa come un padre compiaciuto dei suoi figli. Restò qualche istante a guardirlo, con quel cappello sghembo, la camicia a quadri rossi, i pantaloni di tela blu, era forte, pareva che i movimenti non gli costassero alcuna fatica. Ogni volta che entrava in quella stalla, si chiedeva preoccupata quanto avrebbe potuto ancora durare. Il tempo si era fermato lì, su quei muri sporchi, in quell’odore forte e così familiare di animali e di uomini. Vide la mucca con la pancia grossa e pensò che era prossima al parto. Due gatti correvano su e giù, giocando tra di loro. Quell’odore le sarebbe rimasto addosso fino a sera, sui vestiti, nel naso. Lui si girò e alzò il braccio in segno di saluto, «salve dottoressa». Poggiò la forca e si avvicinò, porgendole il braccio, non le stringeva mai la mano nella stalla, «ho le mani sporche» diceva quasi con vergogna. 

            «Allora Toni, dobbiamo tagliare?» domandò.

            «Questo me lo deve dire lei, dottoressa». Si spostarono verso il fondo della stalla dove c’era la vacca gravidi. Lei, con i guanti, infilò una mano nella la vagina. «E’ ancora tutto chiuso qui. Speriamo che il vitello non stia soffrendo. Se non succede niente entro due giorni, facciamo il cesareo». 

            «Come crede» disse Toni. C’era qualcosa nel suo sguardo che assomigliava alla rassegnazione.

            «Devo prelevare dei campioni di sangue per la TBC, stai tranquillo, mi pare che qui le bestie se la passano alla grande», disse lei come per incoraggiarlo.

            «Non si può mai sapere» fece lui abbassando gli occhi, «giù a Santa Maria, di mio cognato, hanno trovato delle bestie infette. Vado a prenderle il tavolino». 

Tirò fuori di un angolo della stalla un’asse con due cavalletti, così che la dottoressa ci potesse appoggiare la valigetta e lavorare comodi. Toni si era chiesto dilla prima volta che l’aveva vista perché una giovane donna dii modi così raffinati avesse deciso di passare la vita in quell’angolo abbandonato di mondo, a fare un lavoro di uomo. Però il suo mestiere lo faceva bene, sapeva trattare con le bestie, aveva gesti sicuri, professionali e amorevoli allo stesso tempo. Quando ebbe riempito le provette, Veronica si tolse i guanti. 

«Mi pare che i vitelli stiano bene, anche il piccolo che non riesce a ciucciare», disse. Si vedeva che Toni amava i suoi animali, lì dentro c’era una calma tutta particolare, come quando si entra in una classe di bambini che hanno una brava maestra. «I risultati tra qualche giorno, ma se hai bisogno di me per il parto, chiama mi raccomando, non fare al solito che vuoi riuscirci di solo».

«Lei ascolta solo me» si giustificò Toni, accarezzando la pancia di Asia, «a volte pare proprio che mi capisca. Si ferma a prendere un caffè? Maq pur as scandese nà minuta». 

«Volentieri. Ti devo presentare un amico che vorrebbe girare un documentario sulla vostra vita qui».

«E a chi potrebbe mai interessare?» domandò Toni, stupito.

«A me» disse la dottoressa sorridendo, «andiamo che fa freddo». Le parve di vedere un accenno di rossore sul viso di Toni. 

Una pioggia gelidi e sottile cominciava a cadere dil cielo grigio. Entrarono nella grande cucina. I vecchi avevano riportato dentro il pane avvolto negli stracci che profumava tutta la stanza. Sul fuoco della vecchia cucina a gas borbottava una minestra. La donna anziana con il grembiule a fiori era seduta sul divano e guardiva le immagini mute della televisione. Tutto intorno era silenzio. Era un mondo senza parole, quello, così si era conservato intatto. Ogni volta che incontrava Toni, la assaliva una strana nostalgia, come di qualcosa che non aveva vissuto, ma di cui sentiva il bisogno e la mancanza. 

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