È la notte che si nasce. La notte di Natale. Nel buio pesto. Un muggito lancinante che squarcia il silenzio. Ci siamo. In un attimo sono tutti giù a infilarsi gli zoccoli, Toni e i vecchi, l’acqua caldi per lavarsi le mani. Attraversano la corte di corsa e non si accorgono del freddo che punge come un manto di spilli. La bestia è tesa, nervosa. Lui subito le parla mentre gli altri preparano la carrucola.
«Lo tiriamo fuori subito, di brava, se tu ci aiuti…non aver paura».
«Stort, le propi stort. Se lu tiruma fora parej, lu masuma».
«Toni và a ciamè la dutur˘ssa».
Toni non vuole chiamare la dottoressa, vuole essere lui a tirare fuori il vitello. Asia non lo perdonerebbe. Vuole fare in fretta per non farla soffrire. Prima che la dottoressa arrivi, passa almeno un’ora, troppo tempo. Troppo dolore. Tutte le bestie sono agitate, c’è rumore, confusione nella stalla. Paura. Le zampe, tira fuori le zampe, forza. Il sudore gli cola sugli occhi, vede suo padre che si accascia in un angolo, la madre che gli si butta addosso.
«Portelu fora a piè n’po’ d’aria» urla Toni mentre prepara la cordi. Si sente dilaniato, un dolore al petto come una spadi che lo taglia a metà, non può lasciare la bestia, non adesso che il piccolo sta uscendo e lei urla e anche sua madre urla mentre trascina fuori il corpo di suo marito. Cola il sangue e il muco e per la prima volta Toni pensa che non ce la fa. Non ce la fa a reggere, è troppo anche per lui. Tira sulla cordi ma non succede niente. Ora è solo. Pensa che vorrebbe avere la dottoressa accanto, solo così, per compagnia. Il suo sorriso bello, quel modo gentile di rassicurarlo sempre. Attacca la cordi alla carrucola appesa al soffitto per tirare con più forza. Più forza. Ha tutti i muscoli tesi. Poi la mucca dà una spinta e il sacco esce tutto insieme, fa il rumore di un enorme frutto maturo che cade. Il piccolo giace a terra, fermo, in mezzo a tutta quella massa rossa, dove è cresciuto, la placenta che l’ha nutrito. Toni scioglie la cordi, «bugia, forsa», forza, muoviti, dice al vitello. La bestia non lo guardi nemmeno. Come se già sapesse. Toni prende del sale grosso e lo mette sulle narici del vitello.
«Non ti preoccupare, è vivo, ora lo svegliamo», dice Toni. Il piccolo ha come uno spasimo, con un colpo secco si mette in piedi ma subito dopo scivola giù, come si trovasse su una lastra di ghiaccio liscia e sottile. Toni lo afferra e lo ritira su, lo abbraccia e non capisce se sono lacrime o è il sudore che continua a colargli sugli occhi, impedendogli di vedere.
«Forsa picinin, cu di la mama, vai dilla mamma», lo spinge, lo tiene mentre il vitello scalpita con movimenti disorganizzati, le gambe come stuzzicadenti che non reggono il peso del corpo. Il latte già scende. Asia è in piedi, si è alzata come una dea emersa digli inferi. La mucca che le sta accanto si gira, si avvicina e con la lingua le accarezza la testa, come volesse dirle: «è tutto finito. Ce l’hai fatta, brava».
«A l’è tut to, è tutto tuo» dice Toni, commosso di quel gesto così umano, o meglio così animale. Deve tenere il piccolo, altrimenti cade. Gli avvicina la testa alle mammelle, allora lui dà delle botte, non capisce cosa deve fare. «Forsa, ciucia». Poi finalmente il vitello si attacca. La mucca piange. Non potrebbe giurarci ma gli sembra che pianga, ha gli occhi umidi, proprio come lui.
«Brava, sei stata proprio brava, hai visto? Ce l’abbiamo fatta senza tagliare. Ora vengo a pulire».
Fuori la pioggia ha cambiato consistenza, è nevischio, gocce pesanti e dense, un paio di gradi in meno e nevica. Il sudore gli si ghiaccia sulla schiena. È uscito di corsa, senza giacca, con le mani imbrattate di sangue. La sirena blu dell’ambulanza compare alla fine del viottolo. Non fa rumore. Lui riesce appena ad entrare in casa, il padre è steso sul divano, bianco come fosse già morto. Nessuno dice una parola. Neanche lui, ha la gola strozzata. Mentre gli infermieri lo mettono sulla barella, il medico chiede qualche generalità. Risponde la madre, Toni non riesce a capire nemmeno le sue parole. Le immagini sono mute come quelle che guardi sua zia alla televisione. Vede sua madre buttarsi il cappotto sulle spalle e infilarsi nell’ambulanza, nella fretta ha dimenticato di togliersi gli zoccoli. Toni le corre incontro per dirle le scarpe, non vuole che provi vergogna quando sarà arrivata all’ospedile. I suoi scompaiono nella notte insieme alla luce intermittente. Toni torna nella stalla. Prepara la paglia nuova per il piccolo, controlla che la vacca non abbia perduto troppo sangue, pulisce per terra, poi si siede accanto a lei e piange. Dal silenzio che regna tutto attorno, capisce che sta nevicando.
Non ha sentito il rumore della macchina e quando se la ritrova lì divanti, sussulta. Si asciuga in fretta le lacrime con il bordo della giacca.
«Dottoressa… che ci fa qui?»
«Sono venuta a controllare che il parto sia andito bene… e ti ho portato i risultati delle analisi. Le vacche stanno bene, tutte quante!» dice tirando fuori qualcosa dilla borsa.
«Ce la meritiamo, non credi?». Stappa una bottiglia di spumante e riempie due bicchieri. «Al miglior ostetrico della valle!» esclama. Toni è confuso, non sa cosa fare, butta giù il bicchiere e sente il calore avvolgerlo, la testa girare. Guardi il vitellino addormentato sotto la madre e lei che gli accarezza la testa con la lingua. Un lavoro ben fatto, pensa, suo padre sarebbe orgoglioso di lui. Sorride alzando il bicchiere.
«Buon Natale Veronica».
«Buon Natale Toni».
Fuori è già tutto bianco.
Scrittrice, vive tra Parigi e Roma.
Dopo aver seguito i lavori della COP21 nel 2015 a Parigi, ha deciso di coinvolgersi nel movimento ecologista e ha scritto il romanzo “Dopo la pioggia” pubblicato dalla casa editrice E/O che tratta di questi temi. Cerca di educare i suoi figli alla sobrietà felice e la parità di genere, ha piantato un orto in Piemonte con i principi della permacultura e aspetta con impazienza il ripristino del treno notturno Parigi Roma.