Il tema della transizione energetica è uno dei più sentiti in questo momento storico. Dopo un’estate che passerà alla storia come la più calda di sempre – finora – e della quale si ricorderanno gli incendi che hanno devastato i Paesi mediterranei, nonché la cancellazione di eventi pubblici in città come Londra e New York a causa del caldo, la battaglia per il clima del Pianeta riguarda tutti. Ciò non significa che chiunque la stia combattendo al meglio. Non di rado, incappiamo in quelli che sono stati definiti paradossi dell’ambientalismo: conseguenze ed episodi che finiscono per peggiorare la situazione, invece di migliorarla.
È stretta attualità il caso dei militanti di Ultima Generazione. I telegiornali ci hanno mostrato immagini di questi ragazzi che si siedono in mezzo alle strade ad alta percorrenza (a Roma lo hanno fatto sul Grande Raccordo Anulare) bloccando il traffico e motivando l’atto con la necessità di sensibilizzare la cittadinanza perché si attivi senza più rimandare. È inevitabile ammirare il coraggio di questi giovani, e apprezzare la bontà delle loro intenzioni, ma lo è altrettanto il domandarsi se tali gesti non servano piuttosto la causa contraria.
Un automobilista che tarda a causa di un manipolo di ambientalisti seduto sulla sua strada sarà più sensibile al surriscaldamento globale o, al contrario, si allontanerà dal tema perché collegherà la battaglia a chi gli ha fatto perdere tempo? Le marmitte dei mezzi incolonnati in autostrada, a causa della catena umana, non sprigioneranno ancora più diossina di quanta ne libererebbero circolando? Proteste di questo tipo possono essere armi a doppio taglio e corrono il rischio di diventare veri e propri paradossi dell’ambientalismo.
La compensazione delle emissioni aeree
Volare in aereo è – di gran lunga – l’attività che produce la maggior quantità di emissioni di carbonio nell’atmosfera. L’impatto climatico delle compagnie aeree è rilevante e, diversamente da quanto avvenga in pressoché ogni altra attività portata avanti dall’uomo, non esiste un’opzione verde. Muovendo da questa considerazione, si è cercato un modo per rendere più appetibili i voli in tempi di elevata sensibilità ambientale. Per farlo, si è incappati in uno dei più evidenti paradossi dell’ambientalismo: la compensazione delle emissioni aeree.
Il principio è condivisibile: dal momento che chi vola è benestante, poiché i voli restano un bene di lusso, potrebbe pagare per ridurre le emissioni prodotte dai velivoli in maniera proporzionale alla frequenza con cui se ne serve. In tal modo si può accrescere la quota di energie rinnovabili prodotta sul Pianeta o finanziare la piantumazione di alberi capaci di catturare carbonio. Queste compensazioni ottengono però davvero lo scopo di controbilanciare l’impronta inquinante delle compagnie aeree?
Compensazioni come indulgenze: un paradosso dell’ambientalismo
Una risposta a questa domanda l’ha data Andrew Murphy, responsabile per l’aviazione di Transport and Environment, un think tank ambientalista dedicato alla riduzione dell’impatto climatico nei trasporti, alla testata specializzata Qualenergia. Secondo Murphy:
«Alcuni definiscono le compensazioni come moderne indulgenze papali, sulla falsa riga della pratica medievale di pagare la Chiesa per ottenere certificati che assolvessero le persone dai propri peccati, garantendo loro il Paradiso».
Ciò è sufficiente per comprendere il suo pensiero. Le motivazioni dello scetticismo di Murphy sul meccanismo delle compensazioni sono due: una pratica e una teorica. Quella pratica riguarda il principio di addizionalità e sottende al fatto che non si possa mai davvero essere certi del fatto che l’azione pagata abbia un effetto addizionale sulle misure che sarebbero comunque state intraprese. La fila di pannelli fotovoltaici che il passeggero aereo contribuisce a finanziare sarebbe forse stata installata comunque, mentre un incendio l’estate successiva potrebbe bruciare l’albero acquistato prima ancor che cresca.
La questione teorica risale alla conferenza di Parigi. Attorno al tavolo della Cop21 si consentì incredibilmente a ogni firmatario di scrivere i propri livelli di riduzione nell’emissione di gas clima-alteranti. Ogni Paese è dunque autorizzato a porre obiettivi deboli e considerare il superamento di soglie molto basse una efficace compensazione. Così facendo si avrà la percezione di fare qualcosa di concreto per il Pianeta ma, in realtà, lo sforzo sarà impercettibile per l’ecosistema.
Mobilità e ambientalismo
In una posizione scomoda e, per certi versi, paragonabile a quella dell’aeronautica, troviamo il settore dei trasporti su terra. Esso è responsabile del 16% circa delle emissioni globali di gas serra su scala annua. La soluzione a questo problema, per molti – Unione Europea compresa – è quella della riconversione del parco circolante a combustibili fossili in una flotta elettrica, più pulita e meno inquinante.
Le analisi del ciclo di vita (o LCA, dall’inglese life cycle assessment) sono chiare su questo punto: come ha evidenziato in una nota inchiesta il “New York Times”, una Chevrolet Bolt, auto elettrica di ultima generazione, produce 189 grammi di CO2 per ogni miglio percorso; mentre una Toyota Camry a benzina, dello stesso anno (2020) si assesta sui 385 g/m, dunque più del doppio. Non si tratta però di guardare soltanto ai consumi in circolazione, bensì anche a quelli dopo il termine della fase di utilizzo del veicolo.
L’auto elettrica e i suoi paradossi
Non dobbiamo pensare che l’auto elettrica – allo stato attuale della tecnologia, s’intende – non presenti alcun problema di tipo ambientale e rappresenti la panacea dei nostri mali. Essa infatti pone tre grandi questioni, a oggi piuttosto lontane dall’essere risolte:
- consumo di elettricità;
- consumo di acqua;
- approvvigionamento e recupero delle materie prime.
L’elettricità che alimenta questi veicoli proviene molto spesso da combustibili fossili (in Italia, si stima che soltanto il 44% dell’energia per auto sia figlia di una fonte rinnovabile) dall’elevato impatto ambientale. Entro il 2030, la UE desidera che il 75% di elettricità per auto sia ottenuta da sorgenti pulite. Nel nostro Paese, ci siamo da subito allineati con queste direttive. Il consumo non è troppo elevato lungo la penisola: le stime ci dicono che il fabbisogno energetico del comparto non supererà il 5% del totale anche nel momento in cui avremo 10 milioni di auto elettriche in strada.
Ciò non toglie che occorrerà molta energia elettrica in più per sostenere un mondo che si muoverà sfruttando questo tipo di propulsione. Quello del consumo idrico è un altro problema che va affrontato. Il Pianeta soffre di sete e, con ogni probabilità, la situazione si aggraverà nei prossimi anni. L’acqua è necessaria in varie fasi della produzione di una vettura elettrica e ciò potrebbe creare problemi di gestione e approvvigionamento nei Paesi più caldi, proprio quelli ove sono concentrati la maggior parte degli impianti produttivi dell’automotive, per via del costo del lavoro considerevolmente più basso rispetto ai salari occidentali.
Materie prime: fornitura e smaltimento
Nessuna di queste due questioni, ad ogni modo, può essere paragonata a quello che è il problema dei problemi di questo settore oggi, tanto che lo possiamo considerare un altro membro del club dei paradossi dell’ambientalismo: la fornitura delle materie prime.
I materiali più utilizzati oggigiorno per produrre le batterie delle auto elettriche sono litio e cobalto. Essi vengono estratti principalmente in Africa, con il Congo in prima fila grazie alle sue miniere che estraggono ogni anno il 70% circa del cobalto dissotterrato sull’intero pianeta. Questi elementi sono altamente tossici e quasi mai nelle miniere africane, dove lo sfruttamento è all’ordine del giorno, i minatori indossano protezioni adeguate. Tali metalli sono tra le principali voci di ricchezza per Paesi poveri come quelli centrafricani e i governi spingono molto sulla loro estrazione ed esportazione. Lo sfruttamento del sottosuolo in queste nazioni è selvaggio.
Non c’è soltanto il problema della produzione delle batterie, bensì esiste anche quello – forse ancor più serio – del loro smaltimento. La ricerca sul riciclo di queste componenti procede spedita ma, al momento, non siamo in grado di riutilizzarle. EnelX ha lanciato un importante progetto, denominato Pioneer, che include la trasformazione di batterie di auto elettriche in accumulatori per alimentare il primo scalo aereo d’Italia, Fiumicino. Troppe centraline elettriche finiscono in discarica. Nella migliore delle ipotesi, le terre rare per batterie vengono rimosse e riutilizzate. Non sempre però si hanno a disposizione strumenti e competenze per farlo.
Il problema del packaging usa e getta
Prima di chiudere questo approfondimento è indispensabile citare il packaging plastico usa e getta con il quale vengono ricoperti i prodotti di largo consumo. Sebbene si stiano cominciando a diffondere confezioni biodegradabili e compostabili, riciclabili e riutilizzabili, ancora troppo spesso viene fatto uso di plastiche estremamente nocive per l’ambiente.
Nei nostri centri commerciali vediamo frequentemente prodotti come banane sbucciate o mele affettate e avvolte in vaschette di plastica alimentare sigillate con cellophane; salumi e formaggi pronti per essere serviti su taglieri avvolti in polietilene tereftalato o sacchetti in polimero monouso dalla scarsa tenuta che verranno inesorabilmente cestinati dopo un solo utilizzo. Anche questi sono paradossi durante l’epoca dell’ambientalismo.
Eppure il problema è talmente facile da risolvere che non dovrebbe neppure esistere: la frutta e numerosi altri prodotti si possono vendere sfusi, privi di ogni imballaggio. Esso rappresenta soltanto uno spreco eccessivo. I prodotti che non possono essere maneggiati senza essere confezionati dovrebbero essere racchiusi in packaging riciclabile o biodegradabile, libero da plastica come oggi la tecnologia ci consente di fare. È paradossale che in questa epoca storica si usi ancora, così tanto, questo polimero inquinante.
Classe 1991, non nasce amante della scrittura. Tutto cambia però quando viene convinto a entrare nella redazione del giornalino d’istituto del liceo: comincia a occuparsi di musica e poi in seguito di sport, attualità, cultura, mondialità e tendenze nel globo, ambiente ed ecologia, globalizzazione digitale. Dall’adolescenza in poi, ha riposto la penna soltanto per sostituirla con una tastiera.