Pensavi fosse Green, invece era Greenwashing

da | Gen 30, 2023 | ambiente, greenwashing | 0 commenti

Greenwashing è un termine che deriva da whitewashing, la “passata di bianco” che veniva data sui muri insanguinati per nascondere delitti e segreti.

Di conseguenza il greenwashing rappresenta la “passata di verde” che viene data a determinate attività, processi e strategia, soprattutto in ambito aziendale.

Quando si parla di greenwashing?

Termine che sentiamo sempre più frequentemente, il greenwashing è una strategia comunicativa e di marketing che mira a presentare più sostenibile di quanto lo sia realmente l’attività di aziende, brand ed enti.

Il greenwashing risponde alla crescente sensibilità dei consumatori che percepiscono il problema dei cambiamenti climatici e del decadimento ambientale e cercano soluzioni accessibili per contrastarli e rendersi parte della soluzione. Il risultato diretto di tecniche di greenwashing attecchisce su quei consumatori attenti, ma non particolarmente informati, che tendono ad affidarsi a pubblicità e una comunicazione convincente, più che a reali informazioni tracciate e recuperabili solo dopo un’attenta ricerca. Il consumatore quindi compra l’immagine verde di quel determinato brand e si affida a questi marchi falsamente green, non conoscendo il loro reale impatto.

Whitewashing

Il termine greenwashingderiva direttamente da un altro termine inglese whitewashing che significa letteralmente “passare la calce” ma che ha anche un significato figurato che si riferisce alle azioni con cui nascondere la verità per proteggere o migliorare la reputazione di aziende o prodotti. Greenwashing quindi diventa letteralmente “pulire di verde” ovvero appunto spalmare una patina verde sopra a tutte quelle attività che di sostenibile non hanno nulla.

Le aziende che operano in questo modo utilizzano una comunicazione particolare, che punta a omettere informazioni chiave sulla filiera produttiva o l’origine dei prodotti, a dare indicazioni vaghe o false, a enfatizzare caratteristiche non particolarmente rilevanti ma che servono a confondere e manipolare il consumatore, infine (cosa più grave di tutte) a mentire, riportando dati non veri.

Il termine viene utilizzato per la prima volta negli anni Ottanta da Jay Westerveld, che segnalava l’abitudine delle catene alberghiere di spingere per la riduzione del consumo giornaliero di asciugamani per tagliare i costi di gestione, nascondendosi però dietro alla causa ambientale.

Perché si tratta di una pratica pericolosa?

Innanzitutto è pericoloso per l’ambiente. L’appiattimento della questione ambientale a marchi che utilizzano il verde, quasi come se fosse una questione prettamente estetica, rischia di rendere secondario il tema della sostenibilità ambientale.

Per fare un esempio: quando scelgo di comprare, in quel negozio, quel maglione rosa in poliestere perché il brand mi dice che è attento all’ambiente e che dona una parte del ricavato alla salvaguardia dei delfini, io amante dei delfini e dei maglioni rosa, non mi preoccupo del fatto che sia in poliestere e che, molto banalmente, al primo lavaggio andrà a rilasciare microplastiche che finiranno proprio in mare.

La questione ambientale viene appiattita, perde rilevanza e l’opera di greenwashing lava anche la nostra coscienza, perché, in modo più o meno consapevole, pensiamo di aver fatto la scelta giusta.

Naturalmente per le aziende operare facendo greenwashing ed essere poi colte sul fatto non può che comportare un grave danno per l’immagine. È vero che l’essere umano ha la memoria corta, ma se riponiamo molta fiducia in qualcuno e poi quella fiducia viene disattesa, è difficile tornare a fidarsi di nuovo di quel brand. Anche se fa i maglioni rosa più belli del mondo.

Fare greenwashing e operare con un marketing più o meno volutamente ingannevole danneggia molto la credibilità di un brand. Se manca la trasparenza di dati certificabili che confermino le dichiarazioni di sostenibilità pubblicizzate, i rischi per l’azienda sono diversi: dai danni alla reputazione, alla perdita degli investimenti, dalla rimozione di prodotti dal mercato e della pubblicità fino a cause legali.

Con l’intensificarsi delle norme, come vedremo tra poco, le aziende dovrebbero agire con più consapevolezza. Da parte del consumatore, una buona abitudine potrebbe essere quella di informarsi meglio sulle possibilità a disposizione e non fidarsi del troppo verde, urlato ma non certificato. Il miglior modo di nascondere qualcosa è metterla sotto gli occhi di tutti!

Greenwashing e la necessità di una normativa più precisa

Per evitare le trappole del greenwashing, l’Europa sta avviando una serie di provvedimenti utili a delimitare i confini quando si parla di green e sostenibilità ambientale. Uno strumento normativo fondamentale è la Tassonomia UE, che ha l’obiettivo di definire in modo univoco le attività sostenibili dal punto di vista ambientale. L’obiettivo è quello di portare poi le aziende a dare prova della propria attività e dei risultati raggiunti. Per fronteggiare il greenwashing e tutte le sue sfumature, è poi necessario che ci siano chiari sistemi di standardizzazione che non lascino troppo spazio a operazioni e attività vaghe e nebulose. Consideriamo infatti che quasi il 40% delle affermazioni ambientali o dichiarazioni “verdi” sui prodotti fatte dalle aziende oggi sono prive di fondamento. Occorre assolutamente invertire la rotta e permettere ai consumatori di potersi fidare delle aziende che scelgono.

Se vuoi scoprine di più e leggere qualche esempio di greenwashing clicca qui.

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