Permacultura italiana

da | Apr 14, 2023 | agricoltura, ambiente | 0 commenti

La permacultura italiana sta riscuotendo sempre maggior successo: se fino a un po’ di tempo fa si trattava di un termine abbastanza di nicchia, oggi sta ricevendo maggior popolarità e apprezzamenti.

Proprio a causa dei cambiamenti climatici e di una sempre maggiore sensibilità verso le tecniche agricole, la permacultura italiana sta affondando le proprie radice sulla nostra società.

Permacultura italiana: le origini

Attorno alla permacultura, oggi, ruota un gran movimento, in Italia come a livello mondiale. Riscuote sempre più interesse e viene spesso citata, anche a sproposito. Sta diventando di moda.

Ha origini esotiche e quasi mezzo secolo[1], ma nel nostro Paese – prima del Duemila – la conosceva solo una manciata di persone. Nei primi testi in italiano che ne parlavano veniva tradotta con permacoltura (con la “o”), riconducendola totalmente all’aspetto agricolo e tralasciandone le implicazioni culturali, che sono andate sempre più sviluppandosi nel tempo.

Col nuovo millennio, tuttavia, nacque qualcosa di più organizzato. Richard Wade, permacultore americano trapiantato in Spagna, venne chiamato a tenere dei corsi – tra cui il primo PDC[2] – e negli anni successivi condusse al diploma di progettazione in permacultura alcuni studenti, che nel 2006 fondarono l’Accademia Italiana di Permacultura[3].

L’Accademia Italiana di Permacultura

Nonostante la veste giuridica di associazione, l’Accademia aveva uno scopo formativo e un ambito d’intervento ben preciso: accompagnare chi ha frequentato un PDC – attraverso un percorso d’apprendimento attivo – al diploma. Un percorso molto diverso da quello scolastico e universitario, in quanto autogestito dall’apprendista – sotto la guida di due tutor messi a disposizione dall’Accademia – e di tipo esperienziale. In permacultura, infatti, s’impara facendo, e soprattutto facendo errori. Che non devono essere considerati incidenti di percorso, da evitare e da punire, ma feedback preziosi, necessari per migliorare.

Il periodo di apprendistato dura almeno due anni e s’ispira al metodo formativo dell’action learning, secondo uno schema in quattro fasi, più volte ripetuto: si comincia osservando, si riflette su ciò che si è osservato, si progetta sulla base delle prime due fasi e infine si mette in pratica il progetto (ORPA, dalle iniziali di Osserva-Rifletti-Progetta-Agisci). Il processo è però continuo, poiché la progettazione è circolare: non può mai dirsi conclusa, ma ricomincia osservando gli effetti della realizzazione del progetto, e così via. Perciò si percorre il ciclo più volte, ampliando a ogni giro la visuale, e – mentre si progetta per risolvere un problema – si apprende in modo esperienziale.

Ad oggi, l’Accademia non propone propri corsi, ma dà visibilità sul sito a quelli dei soci, curando la formazione successiva al PDC. Organizza direttamente, invece, degli eventi chiamati “plenarie”, a metà aprile e metà ottobre di ogni anno, in un luogo d’Italia ogni volta diverso. Sono incontri in cui avvengono le presentazioni di medio percorso degli studenti in apprendimento attivo e quelle di accreditamento per il diploma di progettazione in permacultura applicata.

Sono soprattutto occasioni di incontro, confronto e festa molto partecipate, sia da esperti che da neofiti alla scoperta di un nuovo mondo. Perché l’Accademia – che ha finora diplomato ottantadue permacultori/trici e conta decine di apprendisti – rappresenta la principale organizzazione di permacultura in Italia, riconosciuta da quelle omologhe all’estero. 

Tuttavia non è l’unica, come vedremo nella seconda parte.


[1] Vedi: https://managaia.eco/la-permacultura-questa-sconosciuta/

[2] Permaculture Design Certificate: il corso standard di 72 ore che introduce al mondo della permacultura.

[3] www.permacultura.it

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