La permacultura italiana sta riscuotendo sempre maggior successo: se fino a un po’ di tempo fa si trattava di un termine abbastanza di nicchia, oggi sta ricevendo maggior popolarità e apprezzamenti.
Proprio a causa dei cambiamenti climatici e di una sempre maggiore sensibilità verso le tecniche agricole, la permacultura italiana sta affondando le proprie radice sulla nostra società.
Permacultura italiana: le origini
Attorno alla permacultura, oggi, ruota un gran movimento, in Italia come a livello mondiale. Riscuote sempre più interesse e viene spesso citata, anche a sproposito. Sta diventando di moda.
Ha origini esotiche e quasi mezzo secolo[1], ma nel nostro Paese – prima del Duemila – la conosceva solo una manciata di persone. Nei primi testi in italiano che ne parlavano veniva tradotta con permacoltura (con la “o”), riconducendola totalmente all’aspetto agricolo e tralasciandone le implicazioni culturali, che sono andate sempre più sviluppandosi nel tempo.
Col nuovo millennio, tuttavia, nacque qualcosa di più organizzato. Richard Wade, permacultore americano trapiantato in Spagna, venne chiamato a tenere dei corsi – tra cui il primo PDC[2] – e negli anni successivi condusse al diploma di progettazione in permacultura alcuni studenti, che nel 2006 fondarono l’Accademia Italiana di Permacultura[3].
L’Accademia Italiana di Permacultura
Nonostante la veste giuridica di associazione, l’Accademia aveva uno scopo formativo e un ambito d’intervento ben preciso: accompagnare chi ha frequentato un PDC – attraverso un percorso d’apprendimento attivo – al diploma. Un percorso molto diverso da quello scolastico e universitario, in quanto autogestito dall’apprendista – sotto la guida di due tutor messi a disposizione dall’Accademia – e di tipo esperienziale. In permacultura, infatti, s’impara facendo, e soprattutto facendo errori. Che non devono essere considerati incidenti di percorso, da evitare e da punire, ma feedback preziosi, necessari per migliorare.
Il periodo di apprendistato dura almeno due anni e s’ispira al metodo formativo dell’action learning, secondo uno schema in quattro fasi, più volte ripetuto: si comincia osservando, si riflette su ciò che si è osservato, si progetta sulla base delle prime due fasi e infine si mette in pratica il progetto (ORPA, dalle iniziali di Osserva-Rifletti-Progetta-Agisci). Il processo è però continuo, poiché la progettazione è circolare: non può mai dirsi conclusa, ma ricomincia osservando gli effetti della realizzazione del progetto, e così via. Perciò si percorre il ciclo più volte, ampliando a ogni giro la visuale, e – mentre si progetta per risolvere un problema – si apprende in modo esperienziale.
Ad oggi, l’Accademia non propone propri corsi, ma dà visibilità sul sito a quelli dei soci, curando la formazione successiva al PDC. Organizza direttamente, invece, degli eventi chiamati “plenarie”, a metà aprile e metà ottobre di ogni anno, in un luogo d’Italia ogni volta diverso. Sono incontri in cui avvengono le presentazioni di medio percorso degli studenti in apprendimento attivo e quelle di accreditamento per il diploma di progettazione in permacultura applicata.
Sono soprattutto occasioni di incontro, confronto e festa molto partecipate, sia da esperti che da neofiti alla scoperta di un nuovo mondo. Perché l’Accademia – che ha finora diplomato ottantadue permacultori/trici e conta decine di apprendisti – rappresenta la principale organizzazione di permacultura in Italia, riconosciuta da quelle omologhe all’estero.
Tuttavia non è l’unica, come vedremo nella seconda parte.
[1] Vedi: https://managaia.eco/la-permacultura-questa-sconosciuta/
[2] Permaculture Design Certificate: il corso standard di 72 ore che introduce al mondo della permacultura.
Da oltre quarant’anni – per passione e per professione – si occupa di ambiente, sostenibilità, stili di vita eco-compatibili. Laureata in scienze naturali, permacultrice diplomata con l’Accademia Italiana di Permacultura, co-promotrice di una “Transition Town”, facilitatrice in formazione di comunità sostenibili. Si è parzialmente auto-scollocata dall’impiego come funzionaria tecnica per dedicarsi a ciò che trova più costruttivo e rigenerativo per la società e per Madre Terra.