
La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità per le tre figure maggiormente coinvolte nel conflitto israelo-palestinese: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e il leader militare di Hamas, Mohammed Deif. La decisione arriva dopo oltre un anno l’inizio della guerra e l’uccisione di più di 44.000 morti tra i palestinesi. Israele contesta fermamente le accuse, mentre la CPI sottolinea l’importanza del rispetto delle regole internazionali.
Le accuse della Corte Penale Internazionale
La CPI accusa Netanyahu, Gallant e Deif di crimini di guerra e contro l’umanità per gli eventi successivi al 7 ottobre 2023: la portata e la gravità dei crimini contestati rendono questo caso uno dei più rilevanti nella storia recente del tribunale.
Procediamo con ordine. Le accuse formulate contro Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant si riferiscono al periodo compreso tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024, periodo nel quale sono state effettuate operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.
I due leader avrebbero pianificato un attacco sistematico contro la popolazione civile di Gaza attraverso una serie di strumenti che violano il diritto internazionale umanitario: l’uso della fame come arma di guerra, l’ostacolo all’assistenza umanitaria e una serie di attacchi intenzionali contro i civili.
Mohammed Deif, comandante delle Brigate al-Qassam, è accusato di uccisione di massa di cittadini israeliani durante l’attacco del 7 ottobre, presa di ostaggi, torture e violenze sessuali. Il leader di Hamas potrebbe però essere già stato ucciso da un raid israeliano: il suo mandato di arresto resta comunque valido fino a conferma ufficiale.
Le reazioni
Israele ha definito la decisione “antisemita” e paragonabile al caso Dreyfus, rigettando la giurisdizione della CPI. Gli Stati Uniti hanno espresso “profonda preoccupazione”, affermando che la Corte non ha autorità su questa vicenda, allo stesso tempo anche l’Argentina di Javier Milei ha difeso Israele, sostenendo il suo diritto a proteggersi da attacchi di Hamas.
L’Unione Europea ha ribadito il carattere vincolante delle decisioni della Corte. Josep Borrell, alto rappresentante per la politica estera uscente, ha dichiarato che tutti gli Stati membri devono collaborare all’esecuzione dei mandati. “Non è una decisione politica – ha detto- ma la decisione di un tribunale che deve essere rispettata e applicata. La tragedia a Gaza deve finire.”
Netanyahu verrà davvero arrestato?
La decisione della CPI rappresenta un passo storico, ma la sua applicazione resta incerta. Le possibilità che il presidente israeliano venga arrestato sono piuttosto limitate.
Israele non riconosce la giurisdizione della Corte Penale Internazionale e non ha quindi alcun obbligo legale di eseguire l’arresto sulla base del mandato emesso dall’Aia. L’unico scenario in cui Netanyahu potrebbe essere arrestato riguarda un eventuale viaggio in uno dei 124 Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, con cui è stata istituita la CPI nel 2002. Tra questi Stati, però, non figurano attori geopolitici chiave come gli Stati Uniti e la Russia, che inizialmente avevano firmato lo Statuto ma si sono successivamente ritirati.
In teoria, gli Stati che aderiscono alla CPI sono obbligati a rispettarne i mandati d’arresto. Tuttavia, la Corte non dispone di un organo di polizia proprio e non ha mezzi per imporre direttamente le sue decisioni. Questo significa che i Paesi firmatari possono, per motivi politici o strategici, decidere di non eseguire gli arresti senza incorrere in conseguenze concrete. Episodi simili si sono già verificati in passato. Ad esempio con il presidente russo Vladimir Putin, anch’egli soggetto a un mandato di arresto internazionale emesso dalla CPI nel marzo 2023 per crimini di guerra legati alla deportazione di bambini ucraini. La Russia, come Israele, non riconosce la giurisdizione della CPI, e Putin rischia l’arresto solo in Stati che invece la riconoscono.
Questi casi evidenziano i limiti pratici della CPI, che si trova spesso a scontrarsi con la realtà politica e diplomatica internazionale che rende difficile l’esecuzione dei mandati d’arresto anche nei confronti dei leader più influenti. Dal 2002 ha condannato solo tre persone e deve fare affidamento sulla cooperazione degli Stati membri per eseguire gli arresti.
Nonostante ciò, le sue decisioni hanno un valore etico significativo e ricordano che i conflitti armati sono regolati da norme internazionali.