Abbiamo sprecato un anno nella lotta al cambiamento climatico

da | Dic 14, 2022 | ambiente, climate change | 0 commenti

L’ONU lo aveva già dichiarato a fine ottobre, ben prima che la Cop27 tenutasi in Egitto si chiudesse con un nulla di fatto. Relativamente alla lotta al cambiamento climatico, il 2022 che sta per concludersi è stato un anno sprecato. Nessuna delle promesse rinnovate alla Cop26 di Glasgow è stata mantenuta. Numerosi governi, un anno fa, avevano dichiarato che si sarebbero impegnati per limitare il loro impatto sull’ambiente ma nessuno ha intrapreso un percorso credibile.

Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (United Nations Environment Program – UNEP) è stato brutale nella sua analisi di fine anno. Ha dipinto un quadro poco incoraggiante ma che rispecchia la realtà e ben tratteggia la quotidianità che viviamo. Tutti parliamo di tutela ambientale ma poi, nel concreto, quanti sono quelli che possono dire di far davvero qualcosa?

L’accusa del focus group ONU è chiara: ogni progresso sul taglio delle emissioni serra è stato tristemente inadeguato. Non solo, onde evitare fraintendimenti e incomprensioni, il panel ha poi chiarito, in maniera esplicita:

«Non esiste un percorso credibile verso un riscaldamento globale di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali».

L’obiettivo che il mondo si era dato alla Cop21 di Parigi, che già non aveva convinto appieno la comunità scientifica ma era comunque visto come la Magna Charta in materia di accordi climatici, sarebbe irraggiungibile, di questo passo. Per dirla con la parola dell’UNEP, in questo momento siamo “lontanissimi” dalla soglia del grado e mezzo stabilita dai governanti all’ombra della Tour Eiffel.

Tale valore era già abbastanza generoso, tanto che avrebbe dovuto essere abbassato, idealmente, durante le successive conferenze mondiali.

Allo stato attuale, perseguendo in queste politiche scellerate perché completamente sorde al grido di allarme ambientale, rischiamo che il surriscaldamento globale esca di molto dall’intervallo di + 1,5°. Le stime parlano di un incremento intorno ai 2,8° entro il 2030. Le emissioni restano infatti molto alte, vicine al loro record nei Paesi in via di sviluppo, e in molte zone del Pianeta sono in aumento. Di fatto, stiamo sbagliando tutto e andiamo incontro a una potenziale catastrofe.

Fin dal nome scelto per il rapporto UNEP, The Closing Window, ovvero la finestra che sta per chiudersi, si è voluto sottolineare l’urgenza di accelerare sui provvedimenti ambientali. La deadline del 2030 è sempre più vicina e la montagna da scalare sempre più alta. La verità è che potrebbe già essere diventata insormontabile.

Non è impossibile contenere il surriscaldamento entro il grado e mezzo in 7 anni, è semplicemente molto difficile riuscire a farlo. Dovremmo impedire alle auto più inquinanti di circolare dall’oggi al domani e spegnere industrie strategiche per alcuni Paesi nel giro di una notte.

L’intervallo che era stato deciso a Parigi sottintendeva che si doveva iniziare subito a diminuire l’inquinamento che produciamo giornalmente. Nessuno però lo ha fatto. Anzi, numerosi Paesi, ad esempio la Cina, hanno scelto di recuperare il rallentamento forzato dell’economia dovuto alla pandemia rilanciandosi sulle ali del fossile.

Contemporaneamente, i Paesi in via di sviluppo esigono di poter inquinare fino a quando le loro economie saranno stabilizzate. Non vogliono che sia loro preclusa la possibilità che l’Occidente ha avuto di arricchirsi tramite lo sfruttamento massiccio di energie non rinnovabili che ha seguito le rivoluzioni industriali.

In linea di principio, questo ragionamento non fa una piega. Perciò si era stabilito, sempre a Parigi, che i Paesi più ricchi avrebbero – letteralmente – dovuto pagare quelli più poveri affinché costruissero modelli economici basati su energie pulite. Di nuovo però, i capitali promessi sono stati ceduti solo in minima parte.

L’Unione Europea ha insistito molto affinchè si prendessero decisioni in merito, durante l’incontro egiziano, e ha strappato promesse agli USA e agli Stati insulari dell’Oceania, i quali hanno confermato l’intenzione di voler contribuire a un fondo comune che serva a disincentivare l’espansione di un’industria basata sul fossile nei Paesi in via di sviluppo. La Cina è invece rimasta sorda di fronte a questo richiamo.

Al solito, se non tutti percorriamo la stessa strada e gli impegni presi non vengono poi mantenuti nel concreto, non dobbiamo stupirci di essere ancora lontani dagli obiettivi di contenimento del surriscaldamento globale.

«La finestra di tempo per agire e limitare il riscaldamento globale a 1,5° si sta chiudendo rapidamente. Dobbiamo colmare il divario con quanto è necessario fare sui gas serra prima che la catastrofe climatica si avvicini a tutti noi»

ha affermato Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, presentando il rapporto UNEP.

C’è da chiedersi se la finestra che si sta chiudendo sia ancora aperta a sufficienza perché la transizione energetica ecologica possa passarvi attraverso o se il pertugio sia già troppo stretto. Se però si dovesse perdere la speranza, si smetterebbe di produrre anche quei piccoli sforzi che privati e governi davvero interessati a fare la differenza – o almeno a provarci – stanno compiendo. Allora sì che saremmo davvero condannati.

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