Attori del colore sbagliato: quando il casting tradisce davvero la storia (e quando no)

Il colore della pelle di un attore dovrebbe contare solo quando incide realmente sulla narrazione. Cambiarlo può essere una scelta inclusiva, ma può anche diventare cancellazione culturale: tutto dipende da cosa racconta quel colore nella storia.

Attori del colore sbagliato: quando il casting tradisce davvero la storia (e quando no) - immagine di copertina

    Sembra ormai un appuntamento fisso: ogni volta che un nuovo film o serie televisiva annuncia il suo cast, partono le reazioni sui social, spesso spropositate, al colore della pelle di uno o più attori. La questione non è nuova, ma ha assunto negli ultimi anni una rilevanza crescente, al punto da diventare un termometro ideologico: da una parte chi invoca la fedeltà all’originale, dall’altra chi celebra la rappresentazione inclusiva. Ma cosa rende davvero inaccettabile la scelta di un attore “del colore sbagliato”? E perché, in molti casi, questa accusa rivela più pregiudizi che senso critico?

    Il colore della pelle come detonatore culturale

    Il caso più recente e chiassoso è stato quello della nuova Sirenetta (2023), con Halle Bailey nei panni di Ariel. Il fatto che un personaggio originariamente disegnato come bianco fosse interpretato da un’attrice nera ha scatenato un’onda d’urto mediatica: accuse di tradimento dell’originale, hashtag tossici, meme velenosi. Eppure Ariel è un personaggio di fantasia, una creatura marina, e il suo colore della pelle non ha alcun peso narrativo. La stessa dinamica si sta ripetendo con la nuova serie di Harry Potter, dove Hermione è interpretata da un’attrice  scura di carnagione, una scelta che riflette più fedelmente di quanto si pensi le vaghe descrizioni dell’autrice stessa. Anche qui: nessuna funzione narrativa compromessa, solo un’insofferenza a vedere i canoni visivi decostruiti.

    Quando il colore è solo pelle, e nient’altro

    Un’altra polemica ha investito la nuova serie HBO Harry Potter, dove Severus Piton è interpretato da Paapa Essiedu, attore nero. Il personaggio, nei libri, non è mai stato descritto in modo del tutto dettagliato dal punto di vista etnico: pallido, certo, e pallido è più che altro un’emozione, uno stato di salute,  non un’etnia. Ma è una caratterizzazione che lascia ampio margine. Anche in questo caso, le reazioni sembrano più legate a un rifiuto ideologico che a una reale incoerenza narrativa. Quando il tratto etnico non è un elemento strutturale della storia, il casting dovrebbe essere considerato come qualsiasi altra scelta artistica: valutabile, ma non scandalosa.

    Il whitewashing piuttosto, ovvero il contrario

    L’altra faccia della medaglia è il whitewashing, e qui la questione cambia radicalmente. Quando un personaggio pensato o scritto come etnicamente marcato viene interpretato da un attore bianco, ci troviamo davanti a una cancellazione culturale. E non è solo una questione di coerenza estetica, ma di rimozione simbolica. Pensiamo ai casi di Pan (2015), Aloha, The Lone Ranger, Prince of Persia, The Last Airbender: tutte produzioni che hanno ignorato deliberatamente l’etnicità dei personaggi originali, spesso provenienti da contesti colonizzati o emarginati. In questi casi, il problema non è il colore della pelle in sé, ma il messaggio politico e culturale che questa scelta veicola: il dominio dell’immaginario bianco come norma universale.

    Heathcliff e l’invisibilità delle origini

    E poi c’è il caso di Cime tempestose, in uscita con un nuovo adattamento nel 2025, che ha scelto Jacob Elordi per interpretare Heathcliff. Apparentemente una scelta neutra, perfino rassicurante: Elordi è talentuoso, fotogenico, molto amato. Ma Heathcliff non è un personaggio qualsiasi. La sua pelle scura, la sua provenienza esotica e indefinita («gipsy»? «indiano?») sono parte integrante della sua alienazione, del suo status di outsider in una società che lo rifiuta. Sbiancarlo è, in questo caso, un gesto narrativo che svuota il senso stesso della sua tragedia. Togliergli la pelle scura significa togliere al romanzo uno dei suoi assi portanti: la crudeltà sociale del pregiudizio. Non è una questione di fedeltà estetica, ma di verità storica.

    tags: cinema

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