
C’è chi la vede, chi la fotografa, chi la misura con strumenti pseudoscientifici dal design discutibile. C’è anche chi la sente, in una sorta di sinestesia spirituale. E poi c’è chi, giustamente, si chiede se questa benedetta aura esista davvero o se sia solo l’ennesima invenzione dell’essere umano per rendere la propria esistenza più interessante. La teoria dell’aura è una di quelle affascinanti contaminazioni tra esoterismo, medicina alternativa e spiritualità che, pur mancando di solide basi scientifiche, continua a godere di una popolarità invidiabile. Sarà il desiderio di sentirsi un po’ speciali, un po’ illuminati. O forse l’idea che, alla fine, siamo fatti anche di luce e non solo di carne, ossa e notifiche push.
Cos’è, in teoria, questa aura
Secondo la tradizione esoterica, l’aura è un campo energetico che avvolge ogni essere vivente, una sorta di alone luminoso che rifletterebbe lo stato fisico, emotivo e spirituale dell’individuo. I più entusiasti arrivano a descriverla come composta da sette strati, ognuno collegato a un diverso piano dell’essere, e capace di cambiare colore a seconda dell’umore, della salute e della disposizione d’animo. Un concetto tanto affascinante quanto sfuggente. Chi sostiene di poterla percepire parla di vibrazioni, frequenze sottili, cambiamenti cromatici legati a stati interiori. Chi la nega, invece, parla di illusioni ottiche, autosuggestione e lucrosi business basati sull’autostima fluorescente.
L’aura nei secoli: da Bisanzio a Instagram
L’idea che il corpo umano emetta una forma di luce non è affatto nuova. Iconografie religiose di ogni epoca raffigurano santi, profeti e illuminati con aureole dorate, simboli visivi di una spiritualità superiore. Il concetto orientale del prana, quello cinese del qi e il magnetismo animale di Mesmer hanno tutti qualcosa in comune con l’aura: l’idea che oltre alla materia ci sia una forza invisibile e vitale. In epoca moderna, con l’avvento della fotografia Kirlian negli anni Trenta, si è tentato di dare un volto visivo al fenomeno: immagini dai bordi luminescenti, interpretate come prova della presenza energetica. Peccato che la scienza abbia spiegato tutto con umidità, cariche elettriche residue e buona vecchia autosuggestione. Ma nel dubbio, oggi puoi farti scattare una foto dell’aura in un centro olistico e scoprire che sei, che so, blu cobalto con sfumature ansiose.
Che succede all’aura quando moriamo
Ed eccoci al nodo cruciale: se l’aura esiste davvero, cosa accade quando il corpo si spegne? I sostenitori più convinti rispondono senza esitazione: l’aura si dissolve, si spegne come un campo elettromagnetico interrotto. Per alcuni, è la prova che l’anima abbandona il corpo; per altri, è il segnale finale della vita. Alcuni racconti mistici e aneddoti da stanze di ospedale parlano di bagliori improvvisi, sensazioni visive inspiegabili nel momento della morte, come se la luce che circondava l’essere umano si spegnesse con un ultimo guizzo. Naturalmente, non esiste alcuna evidenza scientifica a sostegno di tutto ciò, ma la suggestione è potente. E in fondo, anche la scienza ha i suoi limiti: nessuno è ancora tornato indietro con un report peer-reviewed dallo stato post-mortem.
Scienza, metafora o comfort psicologico?
Il problema dell’aura, come di molte teorie che oscillano tra fisica quantistica fraintesa e spiritualità da centro benessere, è che non è falsificabile. Non si può dimostrare né convalidare in modo rigoroso. Ma ciò non significa che sia inutile o da ridicolizzare. In molti casi, l’aura è una metafora potente, una forma narrativa con cui l’essere umano cerca di descrivere la propria complessità interiore. Dire che qualcuno ha un’aura pesante, luminosa, sporca, è un modo per codificare impressioni sottili, altrimenti difficili da esprimere. Forse non emettiamo davvero luce, ma è innegabile che alcune presenze umane irradiano qualcosa. Sarà energia? Sarà carisma? Sarà bisogno d’affetto mascherato da spiritualità?
In fondo, ci piace brillare
Che l’aura esista o meno, resta il fatto che l’idea di essere circondati da luce personale ci rassicura. È un modo per dire che non siamo solo corpo, che c’è un’estensione immateriale del nostro essere che comunica con gli altri, con l’ambiente, forse persino con l’universo. In un mondo che misura tutto in chilobyte e dati biometrici, rivendicare uno spazio invisibile e luminoso è un atto quasi sovversivo. E se davvero con la morte questa luce si spegne, allora tanto vale farla brillare finché si è vivi. Con o senza filtro Kirlian.