Boysober: perché la Generazione Z mette in pausa l’amore

Con boysober si indica la tendenza Gen Z a sospendere appuntamenti, dating app e relazioni per disintossicarsi da stanchezza emotiva, pressioni sociali e dinamiche tossiche. La pausa diventa una scelta di benessere: serve a recuperare autostima, confini chiari e desideri autentici prima di tornare, forse, all’amore.

Boysober: perché la Generazione Z mette in pausa l’amore - immagine di copertina

    Qui su Managaia abbiamo già attraversato molte ossessioni della Gen Z: dal bed rotting, ovvero restare per ore a letto o sul divano dedicandosi solo ad attività passive, al grim keeping, quella curiosa tendenza a misurare la compatibilità di coppia non su ciò che si ama, ma su ciò che si detesta insieme. Adesso tocca al boysober, la scelta di sospendere appuntamenti, app di dating e relazioni per un periodo più o meno lungo. Non è un semplice “resto single2, ma una vera disintossicazione dall’idea che la propria vita debba ruotare intorno all’amore romantico. In un’epoca in cui le notifiche sembrano dirigere anche il cuore, sempre più ragazze decidono di staccare la spina emotiva per rimettere al centro sé stesse.

    Che cos’è il boysober e da dove arriva il trend

    Boysober è un neologismo nato dall’unione di “boy” e “sober”, sobria dai ragazzi. L’espressione esplode sui social quando la comica statunitense Hope Woodard racconta la sua scelta di passare un anno intero senza appuntamenti, trasformando quella pausa in un esperimento pubblico di sobrietà sentimentale. Da esperienza personale diventa subito linguaggio condiviso: ragazze che smettono di parlare con crush cronici, cancellano gli account sulle app di dating e dichiarano online di voler liberare spazio mentale occupato da chat inconcludenti, situationship e relazioni mai davvero iniziate.

    L’astinenza non riguarda il sentimento in sé, ma l’investimento costante in dinamiche romantiche che drenano energia. L’idea di fondo è semplice e radicale: se la tua giornata gira solo intorno a messaggi visualizzati e non risposti, forse è il momento di mettere in pausa il gioco.

    Quando la singletudine diventa una scelta di benessere

    Per molto tempo essere in coppia è stato un vero status symbol, qualcosa da esibire per dimostrare di valere. Nella narrazione della Gen Z questo schema si incrina: avere un partner non coincide più con il successo personale, e in certi casi avere il fidanzato appare quasi scomodo, un limite alla libertà di scelta e movimento. L’essere single smette di essere un incidente di percorso e diventa una fase voluta, pianificata, quasi rivendicata.

    Restare boysober significa non accettare appuntamenti solo per paura di restare sole al tavolo, rifiutare il ruolo della ragazza che sopporta tutto pur di non essere considerata zitella, ma rivendicare il diritto di aspettare relazioni che non chiedano sacrifici unilaterali. In questo quadro, dirsi boysober è anche un modo per ridefinire il prestigio sociale: non più valgo perché qualcuno mi ha scelta, bensì valgo perché so scegliere quando e con chi investire il mio tempo emotivo.

    Dating app, stanchezza emotiva e bisogno di detox

    boysober

    La popolarità del boysober non nasce nel vuoto, ma in un ecosistema relazionale ormai saturo. Le app di incontri hanno reso facilissimo entrare in contatto e difficilissimo costruire legami stabili. Tra ghosting, messaggi ambigui, attenzioni intermittenti, invii indesiderati di contenuti intimi e molestie normalizzate, molte giovani raccontano una vera fame d’amore mescolata a nausea. Da un lato ci si sente quasi obbligate a essere sempre disponibili, reattive, desiderabili; dall’altro cresce la consapevolezza dei rischi e della tossicità di certi scambi.

    A questo si aggiunge la pressione sociale che equilibra il valore personale con il fatto di essere amate, apprezzate, in coppia. Il risultato è una sorta di anestesia emotiva: per non soffrire, meglio non esporsi affatto. Il boysober diventa allora un modo per tirare il freno a mano, interrompere la corsa tra appuntamenti deludenti e chat infinite, e recuperare un rapporto più sobrio con il desiderio e con il rifiuto.

    Il boysober come pratica di auto-cura emotiva

    boysober

    Dietro la scelta di non uscire con nessuno per un certo periodo non c’è solo difesa, ma anche un lavoro attivo su di sé. Molte ragazze che si definiscono boysober dicono di riconoscersi in una frase ricorrente: “Quando sono in una relazione, smetto di essere me stessa”. La pausa diventa allora l’occasione per chiedersi che cosa si cerca davvero in un rapporto, quali parti di sé si sono trascurate per rincorrere l’approvazione altrui, quali sogni sono stati messi da parte per seguire il copione della coppia a tutti i costi.

    Un diario, qualche seduta di terapia, la decisione di fissare confini minimi non negoziabili, dalle relazioni a distanza non desiderate alle dinamiche di controllo, trasformano l’astinenza dal dating in un percorso di alfabetizzazione emotiva. Il partner smette di essere l’unico luogo in cui cercare identità e conforto e torna a essere, in prospettiva, una possibilità tra le altre, non l’unico centro di gravità della propria vita.

    Moda social o nuova tappa del percorso di crescita?

    boysober

    Resta la domanda se boysober sia solo un hashtag destinato a essere sostituito dal prossimo trend o se racconti un passaggio più duraturo. Il fenomeno si inserisce in una trasformazione già in corso: i modelli di coppia tradizionali vacillano, i ruoli di genere diventano meno rigidi, spesso precari. In questo scenario, ritagliarsi periodi dichiarati di pausa dalle relazioni potrebbe diventare una tappa normale del ciclo di vita, non un difetto da giustificare. Il rischio è trasformare il fenomeno in un’altra performance, con regole da rispettare e sfide da superare. Il suo potenziale reale appare un altro: offrire un tempo protetto per riorientare i propri bisogni emotivi, distinguere tra ciò che si desidera davvero e ciò che si cerca solo per riempire un vuoto. L’amore, quando tornerà, entrerà in una stanza più ordinata, dove la presenza di qualcun altro non cancella la propria.

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