Ferragni, Bova, Strazzer: benvenuti nell'epoca del boia digitale, la nuova corte suprema dei social

Martina Strazzer, Chiara Ferragni, Blake Lively e Raoul Bova sono le ultime vittime del Boia Digitale, il nuovo giudice supremo del web. Una riflessione sul potere spietato della massa social che oggi può distruggere carriere e identità in poche ore.

Ferragni, Bova, Strazzer: benvenuti nell'epoca del boia digitale, la nuova corte suprema dei social - immagine di copertina

    Nel luglio 2025 una giovane contabile di nome Sara perde il lavoro per mancato rinnovo del contratto. Fin qui, nulla di eccezionale: viviamo in un mondo dove la precarietà è la norma e le promesse aziendali evaporano con la stessa rapidità con cui vengono pubblicate su TikTok. Eppure, questo caso ha scatenato una tempesta mediatica. Perché? Perché il lavoro non era solo lavoro: era narrazione, era brand, era content.

    Martina Strazzer, fondatrice del marchio di gioielli Amabile, aveva trasformato l’assunzione di Sara — incinta al quarto mese — in una campagna di comunicazione, celebrata come gesto d’inclusione e progresso. Quando poi, per motivi ancora non chiari, non le ha rinnovato il contratto, la rete si è indignata. I follower hanno abbandonato la nave, i media hanno affilato le penne, e il plotone d’esecuzione digitale ha premuto il grilletto. È solo l’ultimo caso in cui è entrato in azione il Boia Digitale, l’entità senza volto che oggi detta legge nel tribunale permanente dei social.

    Il brand come messinscena, la punizione come destino

    Amabile non è un marchio come gli altri. Nato nel 2019 con 300 euro e un sogno, è cresciuto a dismisura grazie a TikTok, registrando nel 2024 un fatturato di 7,7 milioni di euro. Il pubblico — giovane, progressista, digitale — si è affezionato non solo ai prodotti, ma alla narrazione. Quando quella narrazione si è incrinata, rivelando dietro le quinte una normale logica d’impresa (contratto a termine, esclusione dai gruppi, mail disattivate), la delusione è stata feroce. Non per ciò che è accaduto, ma per ciò che avrebbe dovuto accadere: la favola non si è conclusa come previsto, e il pubblico si è sentito tradito. Così, senza processo, senza contraddittorio, il Boia Digitale ha emesso sentenza. Martina Strazzer ha perso migliaia di follower in pochi giorni. Nessuna dichiarazione pubblica per giorni: niente difesa, solo condanna.

    Ferragni, Bova e le altre vittime del boia

    Martina non è sola sulla forca. L’elenco delle esecuzioni recenti è corposo e trasversale. Chiara Ferragni, ex regina indiscussa del marketing di sé stessa, è crollata sotto il peso di un pandoro: lo scandalo Balocco l’ha trasformata da icona a meme vivente. Ha perso sponsor, fiducia e quell’aura di intoccabilità che la circondava da un decennio. Blake Lively, altrove, ha dovuto fronteggiare accuse di insensibilità per un’operazione commerciale mal calibrata. Raoul Bova è stato fatto a pezzi per aver detto — o non detto — qualcosa che non rispettava il codice invisibile del web. Nessuno è salvo. La macchina giudicante non conosce gerarchie: colpisce il milionario come la startupper di provincia. L’unica costante è l’oscillazione tra idealizzazione e crocifissione. O sei santo, o sei colpevole. La zona grigia è stata abolita per decreto.

    Il Boia Digitale: anatomia di un potere nuovo

    Il Boia Digitale non ha volto, ma ha voce. Migliaia di voci, milioni. È un’entità diffusa, interconnessa, alimentata da indignazione, invidia, noia e voglia di giustizia rapida. Non si basa su fatti, ma su percezioni. Non ha bisogno di prove, solo di screen. Non aspetta che la magistratura faccia il suo corso: agisce prima, colpisce più forte, lascia meno spazio al recupero. È il tribunale delle emozioni, l’unica corte che lavora 24 ore su 24. In un mondo dove la reputazione è un asset più prezioso del capitale, il Boia Digitale ha più potere dell’Agenzia delle Entrate. Basta un errore comunicativo — o qualcosa che viene percepito come tale — perché intere carriere vengano annientate. E chi osa difendersi, spesso peggiora la situazione: perché spiegare è già una colpa, giustificarsi è già una confessione.

    Il pubblico giudica per bisogno, non per ragione

    Qui non si tratta più di giustizia, ma di ritualità. Il Boia Digitale è una forma contemporanea di sacrificio collettivo. La massa, privata di strumenti politici reali, sfoga il suo bisogno di controllo su ciò che resta: le immagini, le storie, le narrazioni altrui. Ogni post è una dichiarazione politica, ogni video un referendum morale. Non si cercano più modelli, ma traditori. La figura pubblica, imprenditrice o influencer che sia, non è più fonte di ispirazione ma sospetto ambulante. Il popolo del web, armato di screenshot e sarcasmo, si arroga il diritto di decidere chi è degno di stare sul palcoscenico. È una religione laica, con le sue eresie, i suoi dogmi e le sue esecuzioni pubbliche. E come ogni religione, pretende fede cieca, non coerenza.

    Sopravvivere al boia? Solo cambiando ruolo

    C’è un’unica strategia per non finire decapitati: smettere di interpretare la parte del personaggio pubblico impeccabile. Meglio essere ambigui, sfuggenti, ironici. Meglio un difetto dichiarato che un’ipocrisia scoperta. Chi oggi vuole comunicare deve smettere di piacere a tutti: l’universalismo è la via più rapida per il patibolo. La nuova sopravvivenza passa per l’imperfezione ostentata, per la sincerità sghemba, per il cinismo ben dosato. Chi vive di immagine deve imparare a conviverci senza crederci, come fanno certi attori disillusi o certi comici malinconici. L’unico modo per ingannare il Boia Digitale è fargli credere che non sei abbastanza interessante da meritare la sua lama.

    Immagine di copertina creata con Intelligenza Artificiale

    tags: attualità

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