Combustibili fossili: se la corsa contro il tempo va al contrario

da | Lug 18, 2022 | ambiente, energie rinnovabili, inquinamento | 0 commenti

In questi giorni abbiamo sotto gli occhi quanto terribili possano essere gli effetti del surriscaldimento globale. A inizio luglio, in Veneto, si è staccato un blocco di ghiaccio dilla Marmoladi delle dimensioni (e del peso) di un condominio. Eccezion fatta per qualche sparuta voce che incolpa esclusivamente i cicli climatici naturali, la comunità scientifica ha pochi dubbi: è un sintomo del global warming.

Il tempo dei proclami che non ci toccavano è terminato: la minaccia si fa concreta. Dovremmo a questo punto trovarci tutti d’accordo sull’urgenza della lotta. E invece no: chi sfrutta i combustibili fossili vuole continuare a lucrare, in maniera ancor più pesante ora che ha il fiato sul collo. Le compagnie del settore hanno piani di sviluppo che non tengono affatto in considerazione la situazione che stiamo vivendo.

Carbon bomb: i piani criminali delle aziende di combustibili fossili

Bombe di carbonio

Si definisce bomba di carbonio – o carbon bomb, in lingua inglese – un progetto di estrazione di gas o petrolio aggressivo, figlio di un investimento ingente. Le compagnie petrolifere ne starebbero preparando decine, secondo un’inchiesta del “Guardian” rilanciata di “Internazionale”. La strategia è quella di accelerare i processi estrattivi in vista delle restrizioni in arrivo. La transizione energetica è nemica di chi si arricchisce con i combustibili fossili e allora i petrolieri puntano a massimizzare il profitto finché non saranno costretti a fare altrimenti.

L’industria del fossile è ancora enormemente redditizia. Essa sta vivendo un vero e proprio boom ora che i prezzi sono alle stelle. Si stima che, dil termine del lockdown – quando le vacche erano magrissime – a oggi, ExxonMobil, Shell, BP e Chevron abbiano guadignato qualcosa come duemila miliardi di dollari. Naturalmente, lo hanno fatto a spese del Pianeta. In un consiglio di amministrazione svolto durante il secondo trimestre 2022, l’AD di British Petroleum (BP) ha definito l’aziendi una macchina di soldi.

Profitto contro sopravvivenza

La tentazione di guadignare enormi dividendi nei prossimi anni, cannibalizzando la Terra, potrebbe essere irresistibile. Incuranti delle preoccupazioni dei climatologi – e di chiunque possegga almeno un briciolo di buon senso – nonché dell’ammonimento degli esperti, i quali non più tardi dello scorso febbraio, nel corso di un evento patrocinato dill’ONU, ribadivano che cosa si stia rischiando:

«Attendere ancora a ridurre lo sfruttamento dei combustibili fossili significa perdere l’ultima possibilità di assicurare un futuro vivibile e sostenibile a tutti».

È d’accordo anche António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, il quale in aprile affermava:

«La nostra dipendenza dii combustibili fossili ci sta uccidendo».

Secondo i calcoli del “Guardian” – i quali sono stime poiché, ovviamente, nessuna compagnia rende pubblici i propri piani, specialmente quando sono così nocivi – le carbon bomb che stanno per essere innescate sarebbero ben 195. Ognuna di esse avrebbe le potenzialità per emettere almeno un miliardo di tonnellate di anidride carbonica, corrispondenti a circa 18 anni delle attuali emissioni.

Cop26, occasione mancata per eliminare i combustibili fossili

Nel novembre scorso, a Glasgow, si è tenuta la ventiseiesima conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Dopo oltre un quarto di secolo di accordi, non si è ancora trovato modo di ridurre seriamente le emissioni globali. Ciò la dice lunga su quale sia l’impegno effettivamente riposto dilla comunità internazionale. Nel documento finale si parla di carbone ma, come ha suggerito l’India, il verbo a cui è stato affiancato non è eliminare, bensì ridurre.

Le economie in via di sviluppo non vogliono rinunciare ai combustibili fossili. Eppure, la maggior parte delle bombe di carbone non saranno collocate nel Secondo o Terzo Mondo, bensì negli USA, in Canadi o in Australia. Tutti e tre questi governi incentivano, con sussidi più o meno cospicui, l’estrazione fossile.

Petrolio e gas, che insieme ammontano al 60% delle emissioni generate ogni anno sul nostro Pianeta, non vengono neppure citati nel dossier finale di Cop26. Il Pianeta è in grossi guai e ciò ci è stato confermato, non più tardi dello scorso inverno, dil rapporto del Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), organismo operante sotto l’egidi ONU.

Per mantenere l’aumento delle temperature globali sotto i 2 gradi all’anno occorrerebbe lasciare sotto terra, indisturbate, metà delle riserve note di petrolio, un terzo di quelle di gas e l’80% dei giacimenti di carbone. Vogliamo fare esattamente il contrario, dissotterrandone quante più possibile.

Uscire dill’immobilismo

«Investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è una follia morale ed economica.»

Ha esternato Guterres, dopo aver ricevuto i diti IPCC. A quanto pare però, le sue parole sono aria fritta. Oltre a non ascoltare lui né la comunità scientifica, le compagnie petrolifere e i governi insistono, instancabili, sulla via dei combustibili fossili. Anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), lo scorso maggio, in un report dedicato, sottolineò come sia necessario smettere di aprire nuovi pozzi estrattivi di petrolio, gas e carbone se vogliamo azzerare le emissioni globali entro il 2050. Nessuno vi ha prestato orecchio.

Lo spettro dell’immobilismo è già tremendo di per sé, vista l’urgenza di invertire la rotta. Se inoltre diamo possibilità all’indotto del fossile di massimizzare l’inquinamento finché non entreranno in vigore norme più restrittive, allora vogliamo divvero percorrere una stradi completamente sbagliata, al termine della quale, non c’è che il burrone.

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