Quando si parla di cambiamento climatico, molti si preoccupano dell’eredità che lasceremo alle future generazioni. Il rischio è infatti quello di creare un ecosistema più difficilmente abitabile, caratterizzato da temperature estreme, violenti fenomeni metereologici e scarsità alimentare, con le conseguenze che tutto ciò comporta.
Qualora queste previsioni fossero corrette, riguardandosi indietro tra cento, cinquecento o mille anni, come ci vedranno le generazioni future? Quale sarà la risposta alla domanda com’è stato possibile tutto questo?
La rivoluzione industriale
Per convenzione, identifichiamo la nostra era come l’Era delle Rivoluzioni Industriali. Un periodo che inizia nella seconda metà del Settecento e che si sviluppa sino ad arrivare ai giorni nostri, passando dall’elettricità al petrolio, dal nucleare al digitale. In questo momento stiamo vivendo quella che viene definita la quarta rivoluzione industriale, probabilmente ce ne sarà una quinta che vedrà protagoniste le fonti di energia rinnovabile e/o l’intelligenza artificiale.
Nell’analizzare il problema, le generazioni future prenderanno quindi in considerazione un periodo unico che va all’incirca dal 1750 a, possiamo ipotizzare, il 2100, analizzando attentamente le decadi a cavallo del 2000, ossia gli anni che hanno dato inizio ai grandi cambiamenti.
La possibilità di produrre attraverso un sistema industriale ha infatti aperto le porte a enormi cambiamenti, in particolare ha posto le basi per permettere a una fetta consistente della popolazione di avere accesso a beni e servizi che prima sembravano inarrivabili. Un periodo in cui, almeno apparentemente, il benessere collettivo è aumentato, con due importanti conseguenze: aumento della vita media delle persone e aumento della popolazione.
In particolare, l’aumento demografico gioca un ruolo importante nell’Era delle Rivoluzioni Industriali, tra il 1950 e il 2020 siamo passati da essere tre miliardi a otto miliardi di persone.
Più persone significano più necessità, più possibilità di produrre e più manodopera: l’aumento demografico è andato quindi di pari passo con l’aumento della produzione su scala globale, pressoché di qualsiasi bene.
Tutto questo meccanismo ha generato un ovvio aumento dei consumi legati alla produzione globale, negli stessi anni si riscontrano infatti i cosiddetti cambiamenti climatici, in particolar modo legati ad emissioni di CO2 tali da raggiungere livelli preoccupanti.
Perché non ci fermiamo?
Guardando indietro, le generazioni future realizzeranno che l’intento dell’uomo era quello di vivere meglio e più a lungo, ma a un certo punto ci si è resi conto che un’eccessiva industrializzazione stava distruggendo il Pianeta o, meglio, stava mettendo in pericolo la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra.
Si chiederanno quindi perché a un certo punto non ci siamo fermati.
Soldi, conflitti e disuguaglianze sono risposte plausibili a questa domanda.
Soldi
Grandi emissioni significano grandi industrie, che significano molti posti di lavoro e grande movimento economico. Bloccare le emissioni comporta, salvo soluzioni alternative, limitare la produzione globale e, di conseguenza, tagli ai posti di lavoro, diminuendo drasticamente i flussi di denaro, con il rischio di catastrofi a livello economico.
Nessun imprenditore è disposto a non guadagnare per salvare il Pianeta.
Conflitti
Una delle prime temute conseguenze dei cambiamenti climatici è l’aumento della temperatura della Terra di qualche grado, cambiamento che sarebbe disastroso a livello globale, ma non per tutti.
La realtà è infatti che, se questo scenario è terribile per alcune zone del mondo, come l’Italia che si vedrà probabilmente sommergere alcune coste, per altri qualche grado in più potrebbe anche essere un cambiamento positivo. Per la Russia ad esempio significherebbe una temperatura più mite che, in certe zone del suo immenso territorio, darebbe la possibilità di aumentare la produzione agricola e diventare maggiormente autosufficiente.
L’aumento del denaro generato dall’Era delle Rivoluzioni Industriali ha inasprito i conflitti tra le superpotenze mondiali. Per affrontare la crisi climatica servirebbero accordi globali reali e concreti, che in un momento di grande confusione geopolitica come quello che caratterizza i nostri anni sembrano utopia.
Disuguaglianze
L’aumento della produzione ha generato un aumento delle disuguaglianze, i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. In particolare alcuni Paesi del mondo con miliardi di abitanti, come India e Cina, hanno viaggiato per anni più lentamente rispetto a Europa e Stati Uniti, e stanno vivendo con decadi di ritardo la propria evoluzione.
Tuttavia, il progresso di quei Paesi coincide con gli anni dei cambiamenti climatici, sarebbe quindi necessario anche il loro contributo per fare un’inversione di marcia, ma come ci si può aspettare che dei danni a livello globale causati dalla parte più ricca del mondo siano arginati e risolti sulle spalle dei paesi rimasti indietro?
Tutto chiaro, quindi meglio l’autodistruzione?
Sino a qui abbiamo descritto le premesse degli anni a venire, premesse molto complesse che sembrano non avere soluzioni, ma non va dimenticato che la posta in gioca è estremamente alta, per cui qualcosa dovrà pur succedere.
Forse saremo in grado di sviluppare e utilizzare le fonti di energia rinnovabile a un livello tale da ridurre drasticamente il nostro impatto sul Pianeta. Forse la sensibilità crescente verso le dinamiche ambientali farà sì che l’opinione pubblica giocherà un ruolo da protagonista nel bloccare l’inezia dei governi mondiali. Magari, forse gli equilibri di politica internazionale cambieranno e nuovi leader faranno scelte più consapevoli. Forse l’intelligenza artificiale si dimostrerà effettivamente più intelligente di noi. O forse ancora da un giorno all’altro ci troveremo senza elettricità, senza acqua o con un ambiente invivibile, e non avremo molta scelta.
Come ci guarderanno le generazioni future dipenderà esclusivamente da come affronteremo i prossimi anni: se saremo in grado di vincere l’enorme sfida dei cambiamenti climatici probabilmente l’Era delle Rivoluzioni Industriali verrà vista come uno dei periodi più importanti e floridi della storia dell’uomo, altrimenti è probabile che questo periodo storico verrà ricordato come uno dei più tristi e sconsiderati della nostra evoluzione, con errori individuali, governativi e globali da non ripetere.
Alessandro Chiarato, nato nella ridente città di Rovigo nel 1988, si occupa di comunicazione e marketing digitale con grande attenzione alle questioni legate all’utilizzo (o all’abuso) dei dati. Appassionato di tecnologia, guarda speranzoso alle innovazioni che arrivano da tutto il mondo in attesa di vedere una maggiore e reale attenzione verso le problematiche principali del nostro Pianeta e della nostra quotidianità, che riguardano quindi ciò che mangiamo, beviamo e respiriamo.