
Si è chiusa sabato sera, 22 novembre, la COP30 di Belém. L’incontro aveva l’aspettativa di rimettere ordine in un processo negoziale che, negli ultimi anni, aveva accumulato incertezze e rinvii. Non solo un appuntamento tecnico, quindi, ma il tentativo di riportare al centro dell’attenzione il nodo delle politiche climatiche e di misurare quanto i Paesi fossero disposti a spingersi oltre le dichiarazioni di principio.
È in questo quadro che si inserisce la Global Mutirão Decision, il documento finale che ribadisce l’obiettivo degli 1,5°C e apre spazi di cooperazione come il Global Implementation Accelerator, una struttura ancora priva di una definizione operativa ma pensata per accompagnare gli Stati nella costruzione e nel monitoraggio delle loro strategie climatiche. Un esito che, pur mantenendo insieme il processo multilaterale, mostra quanto sia complesso trasformare gli orientamenti politici in strumenti capaci di incidere sul ritmo effettivo della transizione.
Sommario
- La Global Mutirão Decision al termine della COP30 di Belém
- L’assenza dei combustibili fossili dal testo finale
- Deforestazione: un tema rimasto marginale
- Adattamento: l’unico avanzamento concreto
- Finanza climatica: ambizione alta e percorsi incerti
- Diritti e dimensione sociale della transizione
- Protagonisti e dinamiche politiche
- Verso la COP31
La Global Mutirão Decision al termine della COP30 di Belém
Il documento principale approvato a Belém riprende gli impegni esistenti dell’Accordo di Parigi, ma non introduce strumenti che possano renderli più concreti. Si tratta di una decisione che mantiene un orientamento politico chiaro, pur lasciando irrisolto il nodo della sua attuazione, soprattutto sul fronte della finanza pubblica e della verifica degli impegni nazionali. Iniziative come il Global Implementation Accelerator o la Missione Belém per 1,5°C delineano un quadro di cooperazione più ampio, anche se la mancanza di una struttura operativa definita rende incerta la portata di questi strumenti. Il risultato è un testo che orienta ma non guida, lasciando alla prossima fase negoziale il compito di riempire gli spazi ancora vuoti.
L’assenza dei combustibili fossili dal testo finale
Il confronto sul ruolo dei combustibili fossili ha rappresentato uno dei passaggi più complessi, tanto da influenzare in modo evidente la forma del testo finale. Le posizioni dell’Unione Europea, favorevole a un riferimento esplicito all’uscita dalle fonti fossili, si sono scontrate con quelle dei Paesi produttori e del blocco LMDC, che hanno respinto qualunque formulazione in tal senso. Il risultato è un documento che richiama decisioni precedenti ma evita di affrontare direttamente uno dei temi più rilevanti per la traiettoria globale delle emissioni. La discussione ha mostrato quanto sia difficile individuare un linguaggio condiviso e quanto gli equilibri energetici pesino ancora sul processo multilaterale.
Deforestazione: un tema rimasto marginale
L’aspettativa di un avanzamento significativo sulla tutela dell’Amazzonia non ha trovato riscontro nel testo finale, dove la deforestazione resta confinata a richiami generali già inseriti in accordi passati. La presidenza brasiliana ha annunciato l’avvio di due percorsi paralleli dedicati alla transizione energetica e alla protezione delle foreste, ma il loro ruolo nel quadro negoziale è ancora da definire. La scelta di non includere impegni operativi specifici ha evidenziato un limite del negoziato, soprattutto considerando l’importanza strategica delle foreste tropicali per la stabilità climatica. L’economia politica delle risorse naturali continua a incidere sulle decisioni, rallentando la possibilità di interventi più strutturati.
Adattamento: l’unico avanzamento concreto
Nel quadro di una conferenza segnata da posizioni distanti, il tema dell’adattamento è uno dei pochi in cui emerge un progresso riconoscibile. L’approvazione di 59 indicatori globali consente finalmente di avviare un percorso sistematico di valutazione, che verrà aggiornato con cadenza biennale per garantire una maggiore coerenza tra Paesi. Rimane però aperta la questione delle risorse, poiché il nuovo obiettivo finanziario slitta al 2035 e si inserisce in un quadro di strumenti che comprende anche prestiti. Questo elemento incide in modo rilevante sulla capacità dei Paesi più vulnerabili di accedere ai fondi, rendendo meno immediata la traduzione degli impegni in interventi concreti.
Finanza climatica: ambizione alta e percorsi incerti
La COP30 di Belém ribadisce l’esigenza di mobilitare almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035, una cifra che richiede il contributo congiunto di governi, istituzioni finanziarie e settore privato. Ai Paesi sviluppati viene chiesto di aumentare in maniera significativa la quota destinata all’adattamento e di rafforzare il sostegno al Fondo per Perdite e Danni. Mancano però indicazioni precise sulle modalità di raccolta e distribuzione dei fondi, aspetto che influenza la prevedibilità del sistema e rende più difficile definire strategie di investimento coerenti con gli obiettivi climatici. La direzione generale appare chiara, mentre la velocità e la struttura del percorso restano un elemento di confronto aperto.
Diritti e dimensione sociale della transizione
Uno dei risultati più rilevanti riguarda l’inclusione nei testi ufficiali dei diritti dei popoli indigeni e, per la prima volta, delle comunità afrodiscendenti. Questo ampliamento segna un cambiamento nella governance climatica, che riconosce in modo più esplicito l’interrelazione tra politiche ambientali e giustizia sociale. Il Belém Action Mechanism nasce proprio con l’obiettivo di accompagnare i Paesi più fragili verso una transizione equa, anche se la sua configurazione operativa richiederà ulteriori passaggi nei prossimi mesi. L’attenzione alla dimensione sociale appare sempre più centrale, non solo per ragioni etiche ma anche per la sostenibilità delle politiche di lungo periodo.
Protagonisti e dinamiche politiche
Il ruolo del Brasile come Paese ospitante è stato determinante nel tentativo di mediare tra interessi spesso divergenti, mentre l’Unione Europea ha mantenuto una posizione più orientata alla definizione di impegni chiari su finanza, adattamento e transizione energetica. I Paesi emergenti e i produttori di combustibili fossili hanno esercitato una pressione decisiva sul linguaggio delle decisioni, riducendo la possibilità di introdurre formulazioni più avanzate. La società civile ha portato una presenza significativa, con iniziative e richieste molto visibili, anche se la sua influenza diretta sulle decisioni è rimasta contenuta. La complessità delle dinamiche politiche conferma quanto sia difficile avanzare in un contesto multilaterale frammentato.
Verso la COP31
La prossima conferenza, che si terrà in Turchia con una co-presidenza australiana, arriva in un momento in cui il processo multilaterale richiede maggiore coerenza e strumenti più solidi. Il confronto tra i Paesi mette in luce la necessità di regole operative più chiare e di un coordinamento che consenta di trasformare gli obiettivi politici in percorsi più prevedibili. L’esperienza di Belém suggerisce che il lavoro verso la COP31 dovrà concentrarsi sulla costruzione di un quadro stabile, capace di ridurre le divergenze e di rafforzare la credibilità delle decisioni internazionali. Le aspettative sono alte e la conferenza del prossimo anno sarà un banco di prova per valutare la capacità del processo di evolvere.