Con il cambiamento climatico in atto molti aspetti della nostra vita si modificheranno. Non parliamo di mode e tendenze che fanno il loro corso, ma di differenze sostanziali nelle attività quotidiane, nel modo in cui percepiamo e guardiamo il modo, persino nel modo in cui le prossime generazioni studieranno a scuola il nostro e il loro tempo.
E forse per capirne il reale impatto bisogna partire da piccoli esempi pratici e lasciare da parte le conseguenze più grandi, proprio perché siamo sempre più propensi a guardare le cose vicine a noi e a trascurare ciò che non ci accade direttamente.
Quindi facciamo questo esercizio e cambiamo prospettiva. Consideriamo per esempio lo sport, una metafora che delinea bene questo discorso.
Ricordate i titoli di questo inverno sui giornali? Le poche precipitazioni che hanno caratterizzato l’inverno appena trascorso hanno inficiato anche sui molti impianti sciistici che, a causa della scarsità di neve, sono rimasti chiusi oppure hanno fatto ricorso alla neve artificiale. Su Alpi e Appennini, a causa dei mutamenti climatici, nevica sempre meno e, per compensare questa carenza ed evitare il tracollo del turismo invernale, l’Italia ha puntato molto sull’innevamento artificiale. Come emerge dal report di Legambiente Nevediversa, l’Italia, con il 90% delle piste innevate artificialmente, è il primo Paese europeo a dipendere da questo espediente.
È chiaro come una soluzione del genere non possa essere considerata sostenibile, sia in termini economici che ambientali (i nuovi impianti sciistici nascono proprio in prossimità di bacini idrici, dei quali ci si serve per creare neve artificiale). Ed è altrettanto chiaro che questa situazione sia figlia di un aggravamento repentino delle condizioni del nostro Pianeta. Neve finta sulle Alpi in pieno inverno: sembra quasi un paradosso e invece è semplice realtà dei fatti.
Già nel 2018 – un lasso di tempo di 5 anni, quando si parla di cambiamento climatico, è essenziale per azioni e cambiamenti – il movimento ambientalista The Climate Coalition ha pubblicato il report Game Changer che esaminava le ripercussioni che il clima avrà sui principali sport britannici, come il calcio, il cricket e il golf. In Gran Bretagna, il calcio risente fortemente degli eventi estremi legati al cambiamento climatico, visto che un terzo dei club dilettanti perde circa due o tre mesi della stagione di gioco proprio per questo motivo. E situazioni simili accadono anche per golf e cricket. Ma non solo: le variazioni del clima compromettono anche la salute del manto erboso dei campi sportivi, in caso di siccità o di estrema umidità.
L’impatto del cambiamento climatico è forte anche sul surf. Affascinante sport acquatico, arriva dalla Polinesia – ce ne parla per la prima volta l’esploratore britannico James Cook, che osservava i polinesiani lasciarsi trasportare dalle onde dell’oceano su tavole di legno – e ci fa pensare subito al sogno californiano.
Nelle cronache italiane, il surf compare marginalmente, anche se con il tempo ha raggiunto anche le nostre coste ed è praticato da sempre più persone: le problematiche di cui parleremo tra poco non riguardano solo oltreoceano, ma potrebbero compromettere la pratica di questo sport anche nei nostri mari.
La ragione per cui il surf è in pericolo a causa del cambiamento climatico non è particolarmente difficile da intuire ed è la motivazione consequenziale a cui pensiamo sempre quando parliamo di riscaldamento globale.
Il riscaldamento globale è connesso allo scioglimento dei ghiacci, nonché all’innalzamento dei livelli del mare: formuletta che abbiamo imparato negli ultimi anni e che allo stesso tempo ci siamo abituati a ignorare. Ritorniamo quindi al concetto che guardare alle piccole cose può aiutarci a comprenderne più a fondo il senso generale.
Prima di tutto occorre capire come si formano le onde: queste nascono grazie ai venti che, soffiando sopra gli oceani, cedono una parte della propria energia all’acqua. Il movimento ondoso, che può trascinare colonne d’acqua anche molto profonde, prosegue per diverse centinaia di chilometri. Man mano che le onde si avvicinano alla costa, e il fondale si fa più basso, aumenta l’attrito e si riduce la colonna d’acqua, mentre l’energia ancora presente increspa l’onda che infine si rompe. La peculiarità dell’onda dipende molto dal tipo di fondale: più è ripido, più veloce è la riduzione della colonna d’acqua, più alta sarà quindi l’onda.
Cosa succede quindi se si innalza il livello del mare? Il cambiamento climatico modificherà senza dubbio la geografia del surf. Un terzo di 105 aree da surf californiane prese in esame da un’analisi avviata nel 2017 scomparirà a causa dell’innalzamento del mare, visto che le onde potrebbero rompersi troppo vicino alla costa oppure non formarsi proprio.
Se consideriamo che le onde dipendono dalla profondità e dalla composizione del fondale, per l’esistenza dei futuri surf break (i punti dove si crea l’onda) sarà determinante non solo l’innalzamento del livello del mare, ma anche la conformazione di coste e fondali nelle vicinanze dei fiumi, attraverso cui verranno trasportati più sedimenti a causa di piogge via via sempre più intense.
La riduzione delle spiagge, i cambiamenti della temperatura dell’acqua e delle correnti marine, l’erosione della costa e fenomeni atmosferici sempre più intensi ostacoleranno la formazione delle onde da surf, rendendole troppo basse o inaspettatamente troppo alte per essere cavalcate.
Gli effetti dell’innalzamento del mare potrebbero essere catastrofici per le popolazioni che abitano lungo la costa del Pacifico: per questo, esistono diversi progetti, come la costruzione di barriere di cemento, per impedire le inondazioni. L’applicazione di tali soluzioni cancellerebbe il surf in queste zone, proprio dove il turismo legato a questo sport è la principale fonte di introiti per le comunità della costa. Un compromesso tra interessi economici e ambientali molto difficile da trovare.
Alcune associazioni come Save the Waves stanno cercando di promuovere un approccio più sostenibile. Il compromesso potrebbe consistere nel ricostruire le dune di sabbia lungo le spiagge oppure avviare leggi per la tutela dei surf break di queste zone. Secondo alcune stime entro il 2050, l’aumento del livello del mare renderà inaccessibile una parte della costa: diverse organizzazioni, tra cui appunto Save the Waves, hanno chiesto allo Stato della California di incentivare i trasferimenti delle persone che vivono in queste zone a rischio.
Il cambiamento climatico in atto potrebbe quindi sancire la fine di questo sport o quantomeno modificarne la struttura. Un simbolo delle conseguenze del riscaldamento globale e un banco di prova per testare la nostra resilienza ai mutamenti che ci aspettano.

Nata a Roma nel 1993, si è laureata in Lettere, con specializzazione in Storia Contemporanea. Attenta al mondo che la circonda, crede fortemente nel potere della collettività: ognuno, a modo suo, può essere origine del cambiamento. Amante del cinema e della letteratura, sogna di scrivere la storia del secolo (o almeno di riuscire a pensarla).
0 commenti