Tra le tante anime che caratterizzano il variegato universo ambientalista, non si può dire che la corrente del bioregionalismo non sia una delle più affascinanti. Teorizzata a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, questa filosofia ambientale mira a superare le divisioni a livello politico, per individuare invece zone del Pianeta che, per configurazione geografica e morfologica, condividono medesime caratteristiche ecologiche e di biodiversità. In questo modo, si potrebbe garantire una tutela più mirata all’ambiente, rispettandone le specificità territoriali e, ancora, garantendo una maggiore sostenibilità nel rapporto uomo e natura.
Ma quali sono i principi del bioregionalismo e, soprattutto, possono essere applicati in un contesto tanto complesso come quello attuale?
I concetti chiave del bioregionalismo

Teorizzato alla fine degli anni ’60 da figure come Peter Berg, uno scrittore ambientalista, e da Raymond Dasmann, un biologo statunitense, il bioregionalismo rappresenta una corrente ambientalista che suscita grande fascino. Lo si può infatti definire come un’approccio a 360 gradi – ad esempio, dal punto di vista ambientale, politico e ideologico – che valorizza il territorio non più come semplice divisione politica, bensì per la sua morfologia e le sue peculiarità in termini di biodiversità.
La bioregione rappresenta il concetto alla base di questo approccio. Derivata dal latino bios – ovvero, vita – e da regere, cioè governare, la bioregione è definita dai suoi teorizzatori come “un luogo geografico e uno stato mentale“. In altre parole, si tratta di un agglomerato ambientale e umano, che non è distinto da confini politici, bensì dalle medesime caratteristiche ambientali del territorio. Una bioregione, infatti:
- unisce territori dalle medesime necessità ambientali;
- stimola la sostenibilità e la conservazione delle risorse naturali;
- incentiva l’autosufficienza locale;
- comporta uno sviluppo umano con l’ambiente sempre come cardine, affinché gli ecosistemi non vengano sfruttati eccessivamente.
Il bioregionalismo è stato spesso considerato l’opposto della globalizzazione: mentre quest’ultima favorisce l’interconnessione di popoli anche geograficamente molto distanti, per favorire la produzione e il consumo, il bioregionalismo investe sull’ambiente, sulle economie locali e sullo sviluppo circolare.
I cicli naturali alla guida dell’uomo
Uno degli aspetti chiavi del bioregionalismo, così come già accennato, è la centralità dell’ambiente e degli ecosistemi rispetto all’uomo, che non domina la natura, ma se ne avvale in qualità di ospite. Per questa ragione, nella teorizzazione di questa teoria ambientalista, è stata concessa molta enfasi alla prevalenza dei cicli naturali su quelli umani, perché è la natura stessa che deve guidare e stabilire le attività umane. Di conseguenza, nelle bioregioni:
- si punta su coltivazioni esclusivamente autoctone;
- si applicano tecniche agricole nel pieno rispetto dell’ambiente, applicando il più possibile i dettami delle colture biologiche, la riduzione dell’impronta idrica e l’eliminazione di pesticidi e fertilizzanti di sintesi;
- si produce energia preferibilmente da fonti rinnovabili, eliminando il più possibile la dipendenza da combustibili fossili.
Nell’approccio bioregionalista, nei fatti, l’uomo non sfrutta né consuma la risorse naturali. Bensì contribuisce alla natura stessa, in un rapporto di pieno equilibrio, focalizzando le proprie attività nel garantirne uno sviluppo rigoglioso.
Come si identifica una bioregione
Spiegate le questioni teoriche legate al bioregionalismo, sorgerà di certo la curiosità su come possa essere identificata una bioregione. Come già visto, questa corrente mira a superare i confini politici, per favorire invece l’omogeneità morfologica, territoriale e ambientale, unendo territori dalle esigenze analoghe.
A oggi, non esiste una chiara classificazione per identificare una bioregione, anche perché vi possono essere bioregioni piccole – ad esempio, delle dimensioni di una provincia italiana – così come enormi, tali da coprire intere porzioni di continenti. In linea generale, vengono presi in considerazione:
- catene montuose e corsi d’acqua, che potrebbero fungere da spartiacque fra distretti ambientali differenti;
- la vegetazione tipica di una zona, unendo aree contigue dalla vegetazione analoga;
- lo sviluppo della fauna locale, che in genere tende ad abitare specifiche porzioni di territorio;
- le esigenze di sviluppo e crescita umane, in relazione alle risorse ambientali disponibili.
Quali sono i vantaggi del bioregionalismo

Per quanto affascinante, la teoria del bioregionalismo non ha mai trovato una completa applicazione, anche per gli evidenti limiti politici di un simile approccio. Tuttavia, alcuni concetti chiave sono stati ereditati da altre correnti ambientaliste, dimostrandone alcuni vantaggi:
- una riduzione dell’impronta ecologica umana, soprattutto nella produzione di cibo. Uno studio basato su quelle comunità che si avvalgono unicamente di risorse naturali locali per la produzione di alimenti, e di una filiera corta o super-corta, ha evidenziato una riduzione di oltre il 50% nelle emissioni climalteranti. Inoltre questo approccio, uno dei cardini del bioregionalismo, ha evidenziato una forte riduzione della dipendenza da combustibili fossili, soprattutto legati alla produzione di energia e ai trasporti;
- una migliore conservazione della biodiversità, con una presenza più eterogenea di specie vegetali e animali nei luoghi in cui vengono applicate tecniche bioregionali. Una ricerca condotta su comunità di medie dimensioni, che applicano i principi del bioregionalismo come la conservazione delle varietà autoctone, ha evidenziato lo sviluppo di habitat naturali il meno possibile alterati dall’uomo;
- una gestione sostenibile delle risorse idriche, con sprechi ridotti al minimo e consumi che si riducono del 40% rispetto agli utilizzi classici, in particolare grazie alla raccolta dell’acqua piovana e al recupero delle acque reflue.
Non è però tutto: gli approcci bioregionali portano a una riduzione nella produzione di rifiuti, proprio poiché vengono incentivate le economie circolari, così come a una maggiore resilienza degli habitat locali ai cambiamenti climatici.
I limiti del bioregionalismo
Nel corso degli anni, così come già accennato, il bioregionalismo non ha mai trovato un’enorme diffusione, nonostante il suo innegabile fascino. Questo perché la teorizzazione delle bioregioni si scontra con alcuni limiti tipici di un mondo globalizzato, come quello attuale. Tra le problematiche più evidenti, si evidenziano:
- un approccio forse utopico, per la volontà di abbinare le esigenze naturali e di sviluppo umano a questioni squisitamente di tipo politico. Ad esempio, difficilmente gli Stati mondiali saranno disposti a cedere sovranità e terreni per la creazione di bioregioni;
- il rischio di isolazionismo economico, proprio per il focus totale sulla produzione autoctona, che potrebbe portare alcune regioni a non avere accesso a risorse e tecnologie, anche molto vantaggiose per l’ambiente, non disponibili localmente.
Per quanto nella sua definizione originaria il bioregionalismo è davvero di complessa applicazione, alcuni dei suoi approcci possono essere di certo sfruttati per uno sviluppo più sostenibile e rispettoso per la natura, per un futuro umano pronto ad affrontare i cambiamenti climatici e a ripristinare la biodiversità naturale.

Giornalista pubblicista dal 2012, collabora con diverse testate in qualità di Digital Content Specialist, concentrandosi soprattutto su due delle sue grandi passioni: l’ambiente e la tecnologia. In particolare, negli anni si è occupato di fonti rinnovabili, risparmio energetico, tecnologie per batterie e sistemi d’accumulo e mobilità sostenibile, non disdegnando alcune incursioni nell’universo della tutela della biodiversità, del giardinaggio e dei rimedi naturali.