Siamo riusciti a inquinare pure lo spazio: 1,2 milioni di detriti intorno alla Terra

Lo spazio attorno alla Terra ospita oltre 1,2 milioni di detriti spaziali, frutto di decenni di incuria e lanci incontrollati. Oltre al rischio per satelliti e astronauti, il problema minaccia le infrastrutture globali. Le soluzioni esistono, ma mancano regole e volontà.

Siamo riusciti a inquinare pure lo spazio: 1,2 milioni di detriti intorno alla Terra - immagine di copertina

    Non ci bastavano mari pieni di plastica, città soffocate dallo smog e suoli trasformati in discariche a cielo aperto. No, l’essere umano — con l’inventiva che lo contraddistingue quando si tratta di rovinare qualcosa — è riuscito ad estendere la sua azione anche oltre l’atmosfera. Oggi, lo spazio attorno alla Terra non è più un luogo immacolato e misterioso, ma una caotica pattumiera orbitante. Si parla di circa 1,2 milioni di detriti spaziali, frammenti di varia natura che vagano sopra le nostre teste a velocità siderali, pronti a minacciare satelliti, stazioni spaziali e, in ultima analisi, le nostre stesse tecnologie di comunicazione e osservazione. E non si tratta solo di qualche vecchio bullone fluttuante: siamo di fronte a un fenomeno sistemico, frutto di decenni di incuria e di una visione a breve termine tipicamente umana.

    L’ecosistema spaziale: un fragile equilibrio già compromesso

    Lo spazio circumterrestre — la fascia orbitale che circonda il nostro pianeta — ospita oggi non solo satelliti attivi e strumenti scientifici di grande valore, ma anche una vera e propria nube di detriti. Secondo l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, si contano circa 36.500 oggetti superiori ai 10 cm, oltre 1 milione di frammenti tra 1 e 10 cm e ben 130 milioni di microdetriti inferiori al centimetro. Nonostante le dimensioni ridotte, anche la più minuscola di queste particelle può distruggere un satellite o perforare la Stazione Spaziale Internazionale, poiché a velocità superiori ai 25.000 km/h ogni granello di vernice si trasforma in una pallottola. Il problema è che questi oggetti non si limitano a galleggiare pacificamente: si scontrano, si frantumano e generano nuovi frammenti, innescando un effetto domino noto come Sindrome di Kessler, teoria secondo la quale il progressivo aumento dei detriti potrebbe rendere alcune orbite completamente inutilizzabili.

    Le cause dell’inquinamento spaziale: dalla corsa allo spazio al business dei satelliti

    Il disastro attuale ha radici storiche ben precise, affondate nella corsa allo spazio degli anni ‘60, quando USA e URSS lanciavano razzi e satelliti senza preoccuparsi di ciò che avrebbero lasciato dietro. Ma se allora si poteva ipotizzare l’ingenuità o la miopia tecnologica, oggi la situazione è ancor più surreale. Negli ultimi vent’anni, il boom dei lanci commerciali ha saturato l’orbita bassa terrestre con migliaia di satelliti, molti dei quali parte di megacostellazioni come Starlink. Ogni lancio produce detriti inevitabili: stadi di razzi abbandonati, componenti espulsi, vecchi satelliti fuori controllo e persino chiavi inglesi dimenticate dagli astronauti. E non manca nemmeno l’apporto delle esplosioni accidentali o, peggio, dei test missilistici anti-satellite condotti senza troppo riguardo per l’ordine cosmico. A ben vedere, l’inquinamento spaziale non è altro che l’esportazione in orbita della stessa logica predatoria e sconsiderata con cui abbiamo trattato la Terra.

    Le conseguenze (molto terrene) di un cielo pieno di spazzatura

    Pensare che i detriti spaziali siano solo un fastidio per gli scienziati sarebbe un errore di prospettiva. Siamo già abbondantemente entrati nell’era delle conseguenze pratiche. Nel 2021, la Stazione Spaziale Internazionale ha dovuto attivare manovre d’emergenza tre volte in meno di dodici mesi per evitare collisioni potenzialmente letali. Ogni satellite operativo oggi deve fare i conti con continue correzioni di rotta, consumando carburante e riducendo la propria vita utile. Ma il vero timore è che si arrivi a perdere intere fasce orbitali strategiche, compromettendo comunicazioni globali, monitoraggio climatico e osservazioni scientifiche. Paradossalmente, mentre sulla Terra invochiamo satelliti per controllare il riscaldamento globale o gestire le emergenze, rischiamo di autodistruggere la nostra capacità di osservare e comunicare. E come spesso accade, non servirà un evento spettacolare per destare l’attenzione: basterà che qualche migliaio di detriti silenziosi, ma letali, renda inservibile l’infrastruttura su cui ormai si regge la nostra civiltà iperconnessa.

    C’è ancora tempo per pulire? Tra tecnologie e improbabili slanci di buon senso

    La comunità scientifica non ha smesso di cercare soluzioni, forse spinta da un mix di disperazione e amore per l’ironia cosmica. Si parla di laser capaci di spingere fuori orbita i detriti più piccoli, di reti e arpioni spaziali per catturare gli oggetti più grandi e persino di vele solari per farli disintegrare nell’atmosfera. Ma mentre i progetti si moltiplicano, i detriti continuano a proliferare più rapidamente delle soluzioni. Soprattutto, manca una governance internazionale seria, in grado di regolare l’uso e la pulizia dell’orbita terrestre. Un po’ come sul nostro pianeta, dove la raccolta differenziata è spesso più una dichiarazione di intenti che una prassi diffusa. Se non cambiamo approccio rapidamente, rischiamo di trasformare l’orbita terrestre bassa in una discarica permanente, ironicamente irraggiungibile persino dai rifiuti che lasciamo sulle spiagge.

    tags: spazio

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