
In un’epoca in cui le città sembrano fatte solo per correre, produrre e performare, c’è chi sceglie di rallentare e di farsi attraversare dalla voce degli altri. È il caso di Hardcoro, un coro pop-up nato a Milano all’interno dello spazio polifunzionale Base (via Bergognone, 34, Milano). Hardcoro sovverte le regole del canto corale tradizionale, aprendo le sue porte a chiunque voglia partecipare. Niente audizioni, nessuna gerarchia tra solisti e comprimari, zero obblighi di frequenza: solo un appuntamento ricorrente per cantare insieme, a sorpresa, un brano iconico. Un esperimento sociale, ma anche un fenomeno culturale, parte di un movimento internazionale che in Nord Europa e nei Paesi anglosassoni si chiama “pub choir”. La formula è semplice quanto rivoluzionaria: l’inclusione prima della perfezione, la condivisione prima dell’esibizione.
Un coro senza frontiere, né selezioni
Hardcoro è un coro aperto, fluido e intergenerazionale. Non esistono prove d’ammissione, né competenze richieste: basta presentarsi, pagare un piccolo biglietto d’ingresso per coprire le spese e lasciarsi guidare da un maestro di canto, accompagnato da un chitarrista, in una serata che è rito collettivo prima ancora che evento musicale. Ogni mese, in luoghi simbolici della cultura milanese, come appunto Base, centinaia di persone si radunano senza sapere cosa canteranno. La canzone viene svelata solo all’inizio della serata, spezzando l’ansia da prestazione con l’imprevedibilità del gioco. Si canta in tre voci, con arrangiamenti polifonici curati e coinvolgenti, che non escludono ma amplificano il piacere dell’armonia.
Dal pop all’indie, passando per Madonna e Lou Reed
Il repertorio di Hardcoro è una mappa affettiva della cultura musicale contemporanea. Nelle serate del coro si passa con nonchalance da Britney Spears ai Guns N’ Roses, da Rihanna a David Bowie, da Lou Reed a Madonna. L’ibridazione dei generi non è solo una scelta estetica, ma una dichiarazione d’intenti: abbattere le barriere tra musica colta e popolare, tra mainstream e nicchia, tra generazioni e gusti. Ogni brano diventa terreno comune, occasione per riscoprirsi parte di un tutto sonoro in cui la voce individuale è importante solo perché si fonde in quella collettiva. Cantare insieme, in questo contesto, è più che un passatempo: è un gesto politico, un atto comunitario.
Il coro come esperienza, non come performance
Non c’è palco, né pubblico: Hardcoro smonta la logica della performance per restituire dignità al momento condiviso. Non si canta per qualcuno, si canta con qualcuno. E la bellezza non sta nella perfezione dell’esecuzione, ma nella vibrazione condivisa di trecento voci che si armonizzano, ognuna con i suoi limiti e le sue sorprese. L’evento ha un valore catartico, quasi rituale, e diventa uno spazio liminale in cui le persone possono abbandonare il ruolo di spettatori passivi per riscoprirsi protagonisti attivi del proprio tempo. La registrazione video finale, pubblicata su YouTube, è una memoria viva dell’esperienza, un modo per riviverla e condividerla senza distorcerne la natura spontanea.
Un’idea semplice, una comunità crescente
Nato poco più di due anni fa da un gruppo di amici appassionati di canto, Hardcoro è cresciuto in fretta fino a coinvolgere circa 300 partecipanti per ogni sessione. Un pubblico variegato, che spazia dai ventenni ai sessantenni, unito dal desiderio di lasciarsi alle spalle la routine quotidiana per immergersi, almeno per una sera, in un canto corale che non chiede nulla in cambio. Non c’è obbligo di presenza, né vincoli di appartenenza: chi c’è, c’è. E ogni volta è una festa diversa, con nuove voci, nuove emozioni, nuovi incastri armonici. Una comunità effimera, certo, ma reale. Perché la musica, quando è condivisa, non ha bisogno di radici per fiorire.