
Nel Mar Cinese Orientale, a circa 15 chilometri dalla costa di Nagasaki, sorge un’isola che sembra uscita da un film post-apocalittico: Hashima, conosciuta anche come Gunkanjima o Isola Nave da Guerra. Questo lembo di terra di soli 480 metri di lunghezza e 160 di larghezza è ricoperto da edifici in rovina che raccontano una storia di boom industriale, abbandono e riflessione sul nostro rapporto con l’ambiente.
Fino agli anni ’70, l’isola era uno dei simboli della modernizzazione del Giappone, grazie alla miniera di carbone gestita dalla Mitsubishi. Oggi, invece, rappresenta un monito sui limiti dello sfruttamento delle risorse naturali e dell’urbanizzazione selvaggia.
In questo articolo scopriremo cosa ha reso unica Hashima, perché è stata abbandonata e quali progetti di tutela e riconversione sostenibile la riguardano.
Sommario
Dove si trova esattamente l’isola di Hashima e come raggiungerla
Hashima si trova nel sud del Giappone, nel Mar Cinese Orientale, a circa 15 chilometri dalla città portuale di Nagasaki. L’isola è accessibile solo via mare, principalmente attraverso escursioni organizzate che partono da Nagasaki. I tour in barca permettono di avvicinarsi alle imponenti mura che circondano l’isola e di partecipare a visite guidate autorizzate che ne illustrano la storia. L’accesso è limitato a determinati periodi dell’anno e dipende dalle condizioni meteorologiche, che nella zona possono essere estreme, soprattutto durante la stagione dei tifoni.
Hashima: l’isola che sembra una fortezza
L’isola di Hashima deve il soprannome “Isola Nave da Guerra” alla sua silhouette, simile a una corazzata. L’intero perimetro è circondato da mura di cemento per proteggere le costruzioni dalle violente tempeste e dai tifoni del Pacifico.
Sulla sua superficie sorgeva una delle più alte concentrazioni di edifici in cemento armato del mondo, con condomini, scuole e persino un ospedale, costruiti per ospitare fino a 5.000 persone in uno spazio estremamente ristretto.
La vita sull’isola era scandita dal lavoro in miniera, attività che ha sostenuto la crescita industriale giapponese per decenni. L’ambiente urbano era saturo di costruzioni, ma privo di spazi verdi, un aspetto che oggi viene spesso citato come esempio estremo di urbanizzazione forzata.
La miniera, scavata fino a 1.000 metri sotto il livello del mare, rappresentava uno dei poli più importanti per l’estrazione di carbone sottomarino. Questa infrastruttura ha trasformato Hashima in un simbolo della rivoluzione industriale asiatica, ma ha anche generato un habitat urbano insostenibile.
Condizioni estreme di vita sull’isola
Vivere su Hashima significava affrontare condizioni molto dure. Gli abitanti erano stipati in appartamenti angusti all’interno di edifici alti e fatiscenti, con pochi spazi comuni e nessuna vera area verde. Le giornate erano scandite dai turni massacranti in miniera e da un isolamento quasi totale dal resto del Giappone, aggravato dalle frequenti tempeste e dall’oceano impetuoso che circondava l’isola.
Nonostante l’isola offrisse servizi essenziali come una scuola, un ospedale e un cinema, le condizioni di sovraffollamento e l’assenza di spazi aperti rendevano la vita quotidiana difficile e psicologicamente provante. Questo ambiente urbano estremo è oggi considerato uno degli esempi più significativi di come l’industrializzazione intensiva possa sacrificare la qualità della vita.
Declino e abbandono: la fine di Hashima
Negli anni ’70, la domanda globale di carbone è calata drasticamente a favore del petrolio. Nel 1974, Mitsubishi decise di chiudere la miniera e abbandonare l’isola. Nel giro di pochi mesi, Hashima divenne una città fantasma, lasciando dietro di sé un agglomerato di edifici deserti e fatiscenti.
La natura ha iniziato lentamente a reclamare il territorio, ma le costruzioni in cemento e le superfici asfaltate hanno ostacolato il ritorno della vegetazione. Oggi l’isola rimane un luogo congelato nel tempo, dove gli effetti della dismissione industriale e del mancato recupero ambientale sono evidenti.
Hashima è diventata anche un simbolo controverso, legato al ricordo delle dure condizioni di lavoro e alle testimonianze di prigionieri di guerra coreani e cinesi costretti a lavorare nella miniera durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’isola raccontata al cinema e nella cultura pop
Quasi inevitabilmente Hashima ha avuto un impatto significativo anche sulla cultura pop e sul cinema internazionale. L’isola è stata una delle location del film Skyfall della saga di James Bond, ispirando l’ambientazione dell’isola del villain. Inoltre, la sua atmosfera spettrale ha influenzato diversi videogiochi e anime giapponesi, che hanno ripreso l’immaginario urbano decadente e claustrofobico di Hashima.
L’isola è spesso citata come simbolo di archeologia industriale e di memoria storica, attirando appassionati di fotografia, registi e artisti. Questo utilizzo culturale ha contribuito a mantenere viva l’attenzione su Hashima e sul suo complesso passato.
Hashima e il turismo nell’isola
Oggi l’isola di Hashima è una delle attrazioni più inquietanti e suggestive del Giappone. Dal 2009 sono state riaperte alcune aree per visite guidate, con percorsi sicuri che permettono ai turisti di osservare le rovine e comprendere la storia dell’isola.
Le autorità locali hanno dovuto affrontare il dilemma tra la valorizzazione turistica e la necessità di preservare l’ambiente e le strutture in modo responsabile. Le condizioni di deterioramento degli edifici, infatti, richiedono continui interventi di manutenzione per garantire la sicurezza dei visitatori.
Inoltre, l’aumento del turismo ha sollevato interrogativi sulla gestione sostenibile di questo luogo. Alcuni gruppi ambientalisti sottolineano come l’impatto delle visite possa accelerare il degrado delle strutture e disturbare l’ecosistema marino circostante.
Verso una riconversione sostenibile
L’isola di Hashima è stata inserita nel 2015 nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, come parte dei “Siti della rivoluzione industriale Meiji in Giappone meridionale”. Questo riconoscimento ha acceso il dibattito su come trasformare l’isola in un esempio virtuoso di recupero.
Tra le proposte di riconversione, la creazione di un museo a cielo aperto, percorsi di visita a basso impatto e attività educative sulla storia industriale e sulle conseguenze ambientali dello sfruttamento intensivo. Hashima può così diventare un laboratorio di riflessione sul rapporto tra progresso e sostenibilità, un modo per mettere in luce la necessità di trovare un equilibrio tra sviluppo economico e tutela del territorio.