
Per secoli, la narrazione dominante ha alimentato una convinzione tanto radicata quanto infondata: le donne sarebbero più emotive degli uomini, e questa presunta fragilità le renderebbe meno adatte ai ruoli decisionali o di potere. Si tratta di un pregiudizio antico, che ha trovato riflesso nel linguaggio quotidiano, nei manuali aziendali e persino nelle politiche di gestione delle risorse umane. Ma cosa accadrebbe se fosse vero il contrario? Ovvero, al contrario, se i maschi non sanno gestire le emozioni? Cosa succede se la scienza, finalmente, restituisce dignità e complessità alla questione? Un recente studio pubblicato dalla Harvard Business School, in collaborazione con il National Bureau of Economic Research, ribalta clamorosamente il paradigma: a quanto pare, sul lavoro, sono gli uomini a lasciarsi guidare più spesso dalle emozioni. E le implicazioni di questa scoperta non sono solo accademiche.
Uomini più impulsivi, donne più razionali: cosa dice la ricerca
Lo studio, che ha coinvolto oltre 10.000 professionisti in diversi settori economici, ha analizzato il comportamento decisionale in situazioni di pressione emotiva. Emergono dati sorprendenti: in presenza di feedback negativi, come critiche o momenti di tensione interpersonale, gli uomini tendono a reagire in modo più impulsivo, adottando strategie difensive o evitanti. Le donne, al contrario, mostrano una maggiore capacità di regolare le proprie emozioni, mantenendo un approccio razionale e orientato alla risoluzione dei problemi. A livello neurologico, questi comportamenti sembrano riflettere differenze nella gestione del cortisolo, l’ormone dello stress, e nella reattività dell’amigdala, il centro cerebrale legato alla risposta emotiva. Non si tratta, quindi, di semplici tendenze culturali, ma di pattern osservabili su larga scala.
Un pregiudizio che fa male a tutti, non solo alle donne
L’idea che le donne siano troppo emotive per occupare posizioni di comando ha rappresentato per decenni una barriera invisibile ma solida nelle carriere femminili. Il danno, però, non si ferma qui. Gli uomini, incasellati in un ideale di razionalità e controllo, si trovano spesso privati degli strumenti per gestire in modo sano le proprie emozioni, contribuendo a un ambiente lavorativo più teso, conflittuale e meno produttivo. Secondo uno studio dell’American Psychological Association, le aziende che favoriscono una cultura dell’intelligenza emotiva – a prescindere dal genere – registrano un incremento significativo nella collaborazione tra team e nella soddisfazione professionale. Abbattere il mito dell’irrazionalità femminile significa, dunque, liberare entrambi i generi da un copione obsoleto e dannoso.
Le radici culturali del mito: una costruzione storica
Per comprendere appieno la portata di questo cambiamento, è necessario risalire alle origini del pregiudizio. Fin dall’antichità, la donna è stata associata al corpo, all’istinto, alla ciclicità della natura, mentre l’uomo ha incarnato il logos, la razionalità, l’astrazione. Questa dicotomia ha avuto conseguenze durature: nel pensiero aristotelico, nella filosofia cristiana, nella psicoanalisi freudiana. Il Novecento ha cercato di scardinare questi modelli, ma tracce profonde restano incise nella cultura manageriale contemporanea. Il merito dello studio di Harvard non è solo scientifico, bensì culturale: offre un’arma per disinnescare una narrazione ingiusta, aprendo la strada a una lettura più autentica della diversità emotiva, come risorsa e non come limite.
Verso un nuovo paradigma emotivo nel mondo del lavoro
Il passo successivo, ora, è trasformare i dati in prassi. La sfida che attende aziende, università e istituzioni è creare ambienti professionali dove l’intelligenza emotiva sia riconosciuta, valorizzata e formata. Questo non significa attribuire alle donne un primato morale, ma riconoscere la pluralità delle competenze emotive, superando modelli binari e gerarchici. Diversi programmi di leadership inclusiva – come quelli promossi dalla London School of Economics e da McKinsey & Company – stanno già lavorando in questa direzione, con risultati tangibili in termini di performance e innovazione. Il futuro del lavoro non può essere costruito su stereotipi: è tempo di riformulare l’equilibrio tra mente ed emozione, in chiave davvero equa e umana.
Fonte AlFemminile