
La guerra è una faccenda troppo seria per lasciarla in mano ai patrioti da tastiera. Soprattutto perché, se davvero arrivasse, la retorica dell’onore si scontrerebbe duramente con la realtà. Un sondaggio del Censis, pubblicato a luglio di quest’anno, offre infatti uno spaccato inedito dell’Italia contemporanea di fronte all’ipotesi estrema di un conflitto armato: solo il 16% della popolazione si dichiara disposto a combattere, mentre una parte consistente preferirebbe soluzioni alternative — manifestazioni pacifiche, diserzione, o l’affidamento della difesa a militari stranieri.
Un dato che apre a riflessioni profonde sulla relazione tra cittadini, istituzioni e sicurezza nazionale. E che lascia immaginare che, di fronte a un peggioramento delle tensioni geopolitiche, la risposta collettiva italiana potrebbe orientarsi più verso la protezione personale che verso la partecipazione diretta a un conflitto. E allora, cosa significa oggi difendere un Paese?
Italia: Paese di pacifisti?
Se chiamati davvero a imbracciare un fucile, la stragrande maggioranza degli italiani sceglierebbe un’altra strada. Secondo i dati del sondaggio Censis, il 39% si definisce apertamente pacifista e parteciperebbe a manifestazioni contro qualsiasi forma di intervento militare. Ma non è solo questione di ideali: il 19% si dice pronto a disertare, mentre il 26% preferirebbe affidare la difesa nazionale a contingenti di soldati stranieri.
Non solo rifiuto ideologico, ma anche una visione più concreta della guerra: un conflitto non viene più percepito come un’occasione per “onorare la patria”, ma come una minaccia concreta alla sopravvivenza individuale e familiare. E infatti, alla prospettiva di uno scontro armato, la maggioranza degli italiani si preparerebbe accumulando scorte alimentari, cercando rifugi sicuri o acquistando kit di sopravvivenza. Nessuna voglia di diventare eroi, insomma, semmai quella di restare vivi.
Altri dati utili
Senza dubbio, età e genere sono fattori determinanti nel sondaggio. Il 21% degli uomini si dice disposto a combattere, contro appena il 12% delle donne. A incidere fortemente è anche la crisi demografica: un’Italia sempre più anziana fatica a immaginarsi in assetto da guerra. Il dato si intreccia con una crescente diffidenza verso alleati storici e organizzazioni sovranazionali: una parte della popolazione percepisce la Russia come minaccia, ma allo stesso tempo guarda con scetticismo al ruolo tradizionale della NATO.
Sul piano economico, solo il 25% degli italiani sarebbe disposto a sacrificare spesa pubblica su sanità e pensioni per aumentare il budget militare. Eppure, negli ultimi dieci anni, la spesa per la difesa è cresciuta costantemente, raggiungendo i 30 miliardi di euro all’anno nel 2024.
Una cifra considerevole che sembra in contrasto con la disponibilità reale dei cittadini a partecipare a un conflitto. Un disallineamento che pone interrogativi urgenti sul senso e sulla direzione di tali investimenti.
Come prepararsi al futuro?
Il rifiuto della guerra, per molti italiani, nasce dalla consapevolezza della fragilità del sistema sociale e dalla volontà di difendere ciò che resta essenziale: la vita quotidiana, la salute, la dignità.
Allora, come potrà l’Italia – si chiederanno, magari dal comfort del proprio salotto, i più inclini al confronto muscolare – affrontare un contesto globale sempre più instabile?
Forse proprio riconoscendo che la sicurezza, oggi, non si costruisce solo con l’arsenale militare, ma attraverso la capacità di tenere insieme coesione sociale, diplomazia multilaterale e resilienza civile. In un mondo dove le minacce non hanno più solo divise e confini, insistere sulla crescita lineare della spesa bellica rischia di essere una risposta vecchia a problemi nuovi.
Investire in educazione alla pace, prevenzione dei conflitti e preparazione nonviolenta delle crisi non significa ignorare la realtà geopolitica: significa affrontarla con strumenti più lungimiranti. Il pacifismo, in questo senso, non è disarmo ideologico, ma una strategia di difesa che mette al centro le persone, la dignità e il futuro. E forse è proprio questa la forma più avanzata di sicurezza.