
La cucina italiana è davvero la più buona del mondo? Udite, udite: per ora, non è tra quelle riconosciute Patrimonio Culturale Immateriale dall’UNESCO. Sono altre quattro le tradizioni culinarie che, per ora, si sono guadagnate il titolo. E l’Italia? Si sta facendo strada, ma è ancora in corsa.
A fine marzo, il governo ha formalizzato la candidatura per il ciclo 2024-2025, sostenuta da istituzioni come la Fondazione Casa Artusi e l’Accademia Italiana di Cucina. Nel dossier di candidatura, la cucina italiana viene celebrata come una pratica quotidiana che unisce memoria, identità e cura. Un valore trasmesso di generazione in generazione, che aspetta ora il verdetto finale, previsto per dicembre 2025.
Ma per adesso, i fatti sono chiari: la nostra cucina non è ancora tra le migliori secondo i criteri UNESCO. Eppure, vuoi mettere la lasagna con le tapas? La carbonara con l’omelette? A quanto pare, vincono le seconde sulle prime a mani basse.
Scopriamo allora chi, invece, si è già guadagnato questo riconoscimento.
Le cucine che ce l’hanno fatta
Se stai già pensando che l’UNESCO non capisce nulla, fermati un momento e guarda chi ha il titolo. Solo alcune tradizioni culinarie infatti sono considerate Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità (e nessuna parla italiano).
La cucina francese (Le repas gastronomique des Français)
I nostri cugini d’oltralpe hanno messo sul tavolo la loro arte del vivere bene, fatta di piatti curati, abbinamenti impeccabili con il vino e una ritualità che, secondo l’UNESCO, merita un posto speciale. Noi continuiamo a preferire il nostro pranzo della domenica, ma a quanto pare, per diventare Patrimonio culturale, non basta.
La cucina tradizionale messicana (Michoacán)
Mais, peperoncini e mole: la cucina messicana riconosciuta dall’UNESCO è un intreccio di sapori intensi e riti millenari. Non è solo cibo, ma una celebrazione di identità e comunità. Pensata come un ponte tra tradizioni indigene e contemporanee, questa cucina è una festa che coinvolge terra, storia e cultura. E no, i nachos da fast food non contano.
Il Washoku giapponese
Eleganza, stagionalità e rispetto per la natura. Il Washoku è la risposta giapponese alla domanda: “Cos’è il cibo?”. Ogni piatto è un equilibrio di sapori e colori, con un’estetica che sfiora la perfezione. Sushi, zuppe di miso, ramen: tutto parla di un’armonia tra uomo e natura. E secondo l’UNESCO, questa filosofia culinaria vale un posto d’onore.
Il kimjang (la preparazione del kimchi) coreano
La Corea del Sud ha conquistato l’UNESCO con il kimjang, la tradizione di preparare il kimchi, il piatto fermentato a base di verdure, spezie e sale. Non è solo conservare cibo per l’inverno, ma condividere storie, tradizioni e legami. Per l’UNESCO, è la dimostrazione che il cibo può essere cultura e identità.
Perché la cucina italiana non è Patrimonio UNESCO?
La domanda è lecita: come può la cucina che ci fa sentire tutti dei piccoli chef non essere riconosciuta? La risposta sta nei criteri UNESCO. Non basta avere una lunga tradizione o piatti amati in tutto il mondo: serve dimostrare come una cucina diventi una pratica culturale condivisa, parte della vita quotidiana e della memoria collettiva.
Un esempio di successo italiano è la pizza napoletana, che è stata riconosciuta dall’UNESCO nel 2017 grazie all’arte del pizzaiolo napoletano. Non si parla solo della pizza in sé, ma di tutta la tradizione artigianale che le ruota attorno: dalla preparazione dell’impasto, al modo in cui viene cotta, fino al valore sociale delle pizzerie napoletane. Insomma, la pizza ce l’ha fatta perché non è solo un piatto, ma un simbolo culturale che rappresenta un’intera comunità.
E la cucina italiana nel suo complesso? Non è ancora riuscita a soddisfare tutti i criteri. La dieta mediterranea ad esempio costituisce un piccolo appiglio: l’Italia c’è, ma non da sola. Spagna, Grecia, Marocco, Croazia, Cipro e Portogallo condividono questo riconoscimento. Non si parla di piatti specifici, ma di un sistema alimentare basato su olio d’oliva, cereali, verdure, pesce e un moderato consumo di carne e vino. È il concetto di convivialità, rispetto per la biodiversità e legame con il territorio ad aver convinto l’UNESCO, in questo caso.
Alla cucina in sé per sé serve, a quanto pare, un racconto più forte, che riesca a unire le infinite tradizioni regionali sotto un’unica identità culturale (e in questo, purtroppo, ancora siamo un po’ indietro). La candidatura per il ciclo 2024-2025 è un primo passo, ma il riconoscimento non è scontato.
Per ora, dobbiamo accontentarci di sapere che la nostra cucina è amata ovunque, anche se l’UNESCO non le ha ancora dato la sua benedizione.
La cucina italiana diventerà mai Patrimonio Unesco?
La candidatura per il ciclo 2024-2025 è stata formalizzata e il verdetto arriverà a dicembre 2025. Per adesso, la nostra cucina sta giocando tutte le sue carte, con un dossier che punta sul valore culturale e simbolico di pasta, sughi e tradizioni regionali.
Se il verdetto sarà positivo, potremo finalmente mettere da parte le tapas e l’omelette e dire al mondo: “Ve l’avevamo detto”. Ma fino ad allora, toccherà aspettare e, magari, riflettere. Forse il valore della cucina italiana non sta solo nel riconoscimento UNESCO, ma in quel piatto di pasta che ci aspetta sempre a casa.
Cari italiani, non disperiamo (e non ci offendiamo)
Forse la cosa che accomuna un po’ tutti noi italiani è il brivido lungo la schiena quando dall’estero storpiano un qualche nostro piatto tipico (la pizza con l’ananas e la carbonara con la panna e col prosciutto cotto a dadini). Forse è proprio la difesa a spada tratta del buon cibo il nostro vero punto in comune. E presto, forse, lo capirà anche l’UNESCO.
Per ora, però, il messaggio è chiaro: mangiamo bene, sì, ma non ancora da vincere il titolo di migliore cucina del mondo: non offendiamoci e soprattutto non disperiamo. Avremo una chance nel 2025 e, chissà, questa magari sarà la volta buona. Fino ad allora, però lasciamo perdere l’indignazione e consoliamoci con una carbonara fatta come si deve.