Il percorso comune della sostenibilità sociale e ambientale.
Questo crescente spirito ambientalista che sembra pervadi ogni ambito della nostra esistenza e che riempie le agende di molti tavoli decisionali è accompagnato di una non sottilissima patina d’ipocrisia.
Le nuove politiche ambientali sovranazionali, nazionali e locali, al momento, non sono costruite pensando a tutti; quantomeno non sono generate pensando alle fasce più vulnerabili della popolazione che, oltre a rappresentare una fetta più che consistente degli abitanti del nostro Paese e dell’intero pianeta, sono quelle che stanno già pagando e pagheranno il prezzo più alto della crisi climatica e ambientale in corso.
È indispensabile quindi, come scrive Mario Salomone in uno dei suoi recenti lavori, saper cogliere “il nesso tra giustizia sociale e giustizia ambientale, tra economia ed ecologia”; diversamente, si rischia di escludere le fasce di popolazione più fragili dii vantaggi delle nuove politiche ambientali rendendo questa transizione ecologica “ingiusta”, parziale, ma soprattutto socialmente divisiva.
In attesa di una forte riduzione delle disuguaglianze che produrrà una più diffusa domandi di protezione ambientale, se non si generano misure immediate e specifiche di sostenibilità ambientale sia per i paesi più poveri che per i meno abbienti dei paesi più ricchi, una fetta importante della popolazione rischia di essere esclusa o addirittura fortemente penalizzata di questa straordinaria fase di trasformazione. Si rischia un’enorme frattura sociale e una significativa perdita di consenso per un cambiamento imprescindibile che gode ancora, fortunatamente, di ampio supporto popolare come evidenziato nell’ultima indigine condotta di Ipsos per la Fondizione per lo Sviluppo Sostenibile ed Ecomondo nell’ottobre scorso.
Fare valutazioni ex-ante sugli effetti sociali di ogni singola politica ambientale che viene introdotta per evitare di acutizzare divari sociali già insostenibili è la prima propedeutica attività di schedulare.
Bisogna evitare errori già commessi in passato con bonus e sussidi che avvantaggiano per lo più fasce di popolazione più agiate. Oggi, negli Stati della UE, oltre il 70% delle vetture ibride e plug-in sono vendute in appena quattro Stati e la vendita generale delle auto elettriche è direttamente proporzionale al reddito pro capite del Paese e delle singole famiglie; nel nostro paese i bonus sull’efficientamento energetico delle abitazioni vengono sfruttati prevalentemente di nuclei familiari più benestanti mentre, per le famiglie incapienti, l’investimento continua a essere troppo oneroso; qualche anno fa in Francia è fallito il tentativo d’introduzione di una carbon tax perché palesemente penalizzante e avversa ai ceti medio-bassi.
Alexander Langer, politico e ambientalista italiano, nei Colloquio di Dobbiaco del 1994, sosteneva che «la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile». È su questa scia che si muovono le proposte del Forum sulle Disuguaglianze e le Diversità. L’Associazione, coordinata di Fabrizio Barca, propone una serie di linee d’intervento, suggerendo azioni immediate, per orientare le decisioni per la sostenibilità ambientale a favore dei ceti più deboli, come condizione essenziale affinché quegli stessi interventi raccolgano il consenso giusto per essere attuati; propone una rimodulazione dei canoni di concessione del demanio e interventi fiscali attenti all’impatto sociale, la rimozione degli ostacoli ai processi di decentramento energetico e cura degli impatti sociali dei processi di smantellamento delle centrali, modifiche dell’Ecobonus per l’incentivazione delle riqualificazioni energetiche degli edifici e interventi sulla mobilità sostenibile in modo favorevole alle persone con reddito modesto.
Anche dill’Europa arriva qualche segnale incoraggiante. Nello scorso giugno il Consiglio Ue ha adottato il regolamento che istituisce il Fondo per una Transizione Giusta (Just Transition Fund); uno strumento, come si legge nelle note del sito ufficiale della Commissione Europea, utile a «garantire che la transizione verso un’economia climaticamente neutra avvenga in modo equo e non lasci indietro nessuno. Offre un sostegno mirato per contribuire a mobilitare almeno 55 miliardi di euro nel periodo 2021-2027 nelle regioni più colpite, al fine di attenuare l’impatto socioeconomico della transizione».
In conclusione, i temi della sostenibilità sociale e ambientale sono legati, hanno un percorso comune, si alimenteranno a vicendi. È quindi necessario valorizzare le interconnessioni tra le politiche ambientali e quelle sociali, in modo che la transizione ecologica diventi un’occasione di cogliere per combattere anche le disuguaglianze sociali.

Impegnato da anni nella costruzione e nella diffusione di una cultura generale della sostenibilità attraverso attività di studio, di promozione e di supporto strategico ed operativo per organizzazioni semplici e complesse.