Una nuova sentenza UE obbliga al riconoscimento dei matrimoni same-sex

La sentenza C-713/23 impone agli Stati membri la trascrizione dei matrimoni same-sex celebrati altrove quando necessari per l’esercizio dei diritti europei, rafforzando la tutela delle coppie che si spostano nell’UE. Una decisione destinata a influenzare in profondità il panorama politico e giuridico europeo.

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    La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 25 novembre 2025 (causa C-713/23) ridisegna il quadro giuridico in cui si colloca il matrimonio egualitario in Europa, intervenendo in quel punto di intersezione delicato tra libertà di circolazione, vita familiare e sovranità degli Stati.

    Quando una coppia dello stesso sesso si sposa legalmente in uno Stato membro e decide di trasferirsi o rientrare in un altro Paese dell’Unione, il legame matrimoniale non può spezzarsi alla frontiera né dissolversi in una zona grigia amministrativa, perché da quello status dipendono diritti di soggiorno, benefici sociali e riconoscimento pubblico della relazione.

    La vicenda dei due cittadini polacchi sposati a Berlino diventa così il caso emblematico attraverso cui la Corte afferma che una famiglia, una volta costituita validamente, deve restare tale nello spazio europeo. Dentro questa evoluzione, si misurano non solo le scelte politiche dei singoli Stati, ma anche la capacità dell’Unione di garantire continuità agli status personali dei suoi cittadini.

    Contesto e quadro giuridico

    L’origine della sentenza risiede nella vicenda di una coppia polacca che, sposata a Berlino, aveva richiesto la trascrizione del proprio matrimonio in Polonia, senza successo. Il rifiuto delle autorità nazionali ha portato la questione davanti alla Corte di Giustizia UE, che ha individuato nell’assenza di riconoscimento un ostacolo concreto alla libertà di circolazione, poiché una coppia legalmente sposata in uno Stato membro deve restare tale nell’intero spazio dell’Unione. La Corte ha richiamato non solo il diritto alla mobilità, ma anche il principio del rispetto della vita privata e familiare sancito dalla Carta dei diritti fondamentali.

    La trascrizione opera come il passaggio amministrativo che permette al matrimonio, già valido nel Paese di origine, di mantenere effetti riconoscibili anche nello Stato di arrivo, così che la condizione familiare della coppia non subisca interruzioni nel percorso attraverso l’Unione. La decisione si inserisce in una traiettoria già avviata con casi come Coman (2018), attraverso i quali il diritto europeo ha progressivamente ampliato la tutela delle famiglie che attraversano i confini dell’Unione.

    Il punto di equilibrio appare chiaro: gli Stati mantengono autonomia nel definire l’istituto matrimoniale, ma non possono imporre alle coppie europee un vuoto giuridico che dissolverebbe la loro condizione familiare.

    Effetti concreti e limiti del riconoscimento

    matrimonio egualitario in Europa

    Gli effetti della sentenza si manifestano nella dimensione pratica in cui si muovono i cittadini: l’accesso ai permessi di soggiorno per il coniuge non cittadino, il ricongiungimento familiare, i diritti previdenziali e sociali connessi allo status di coniuge, le tutele fiscali e successorie applicabili quando rilevano norme europee.

    Un matrimonio riconosciuto in un Paese dell’Unione non può trasformarsi in un’unione priva di effetti nel Paese di arrivo, condizione che genererebbe una discontinuità incompatibile con il diritto UE. Gli Stati sono chiamati ad aggiornare procedure, moduli, registri e modalità di trascrizione, anche quando non prevedono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, perché l’atto amministrativo non incide sullo statuto interno dell’istituto familiare ma serve a permettere la fruizione dei diritti derivanti dalla cittadinanza europea.

    In questa cornice emergono limiti chiari: la sentenza non introduce obblighi relativi all’adozione, non impone modifiche alla struttura del diritto di famiglia nazionale, non estende automaticamente la disciplina matrimoniale a settori non collegati alla libera circolazione. Gli Stati possono mantenere impostazioni differenti, purché non cancellino gli effetti essenziali del matrimonio celebrato altrove. L’Unione, in questo modo, consolida un’area di protezione minima che unisce i Paesi membri senza annullarne le peculiarità.

    L’impatto politico sui vari Paesi

    matrimonio egualitario in Europa

    Gli effetti politici emergono con particolare chiarezza nei Paesi in Europa dove il matrimonio egualitario non esiste, come l’Italia, che riconosce solo le unioni civili. La necessità di trascrivere matrimoni celebrati altrove introduce una tensione con l’assetto normativo nazionale, creando una condizione in cui cittadini europei sposati all’estero godono di uno status più ampio di quello riconosciuto internamente alle coppie italiane dello stesso sesso.

    La sentenza produce quindi un dibattito destinato ad ampliarsi, perché la coesistenza di modelli differenti genera un confronto costante tra giurisprudenza europea e politica domestica. Nei Paesi più conservatori, come Polonia o Ungheria, il riconoscimento imposto dall’Unione rappresenta una svolta che modifica l’approccio alla famiglia arcobaleno, pur senza toccare la definizione interna del matrimonio. L’impatto a lungo termine potrebbe condurre verso forme di convergenza spontanea, nate dall’esigenza di gestire situazioni sempre più frequenti di famiglie transfrontaliere.

    Lo spazio giuridico europeo sembra orientarsi verso una logica di tutela uniforme della vita familiare quando questa sia già validamente costituita, creando condizioni favorevoli a un futuro in cui il diritto di circolazione non richiede sacrifici identitari né rinunce ai legami riconosciuti altrove.

    Concludendo

    La sentenza C-713/23 ridisegna quindi il panorama europeo dei diritti familiari, stabilendo che i confini nazionali non possono interrompere la continuità del matrimonio legalmente riconosciuto in un altro Stato membro. Il principio non altera le legislazioni interne, eppure determina un passo fondamentale nella costruzione di uno spazio europeo in cui la mobilità non comporta la perdita dei propri diritti affettivi e giuridici.

     

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