Un gesto quotidiano e apparentemente innocuo: masticare un chewing gum. Ma cosa accade realmente nella nostra bocca durante quei minuti?
Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista “Science of the total environment”, ha aperto uno scenario allarmante: alcune gomme da masticare rilasciano fino a 3.000 microplastiche nella saliva in appena 10 minuti. I ricercatori hanno analizzato prodotti comunemente presenti sul mercato europeo, rilevando la presenza di polimeri plastici che si degradano meccanicamente sotto l’azione dei denti e della saliva.
Il dato è chiaro: il chewing gum è una fonte insospettata di esposizione quotidiana alle microplastiche, direttamente nella bocca umana.
Chewing gum: i risultati principali dello studio sulle microplastiche
Lo studio, realizzato da un team di scienziati europei, ha analizzato cinque chewing gum presenti in commercio, rappresentativi di diversi marchi venduti sul mercato dell’Unione Europea. L’obiettivo era comprendere se, durante la masticazione, la “gomma base” – ovvero il componente principale del chewing gum – rilasciasse microplastiche nella saliva.
La risposta è stata inequivocabile. In tutte le gomme testate, i ricercatori hanno riscontrato il rilascio di microplastiche con dimensioni comprese tra 2 e 350 micrometri, per un totale che ha raggiunto, in alcuni casi, 3.000 particelle in soli 10 minuti di masticazione.
La gomma base, di composizione non divulgata per motivi industriali, si è rivelata contenere polimeri plastici come polietilene e poliisobutilene, materiali comunemente usati per pneumatici e plastiche industriali. Questi polimeri, sottoposti all’azione meccanica della masticazione, si frammentano in particelle minuscole che vengono immediatamente veicolate nella saliva. Non è escluso che molte di queste vengano ingerite in modo inconsapevole.
L’entità del rilascio dipende sia dalla marca della gomma che dalla durata della masticazione. Le gomme che contengono quantità maggiori di polietilene nella gomma base sono risultate quelle più problematiche. Ma nessuna delle marche testate è risultata priva di rilascio.
Un ulteriore dato significativo riguarda la morfologia delle particelle: i frammenti risultavano prevalentemente irregolari e angolari, caratteristiche che – come spiegano i ricercatori – potrebbero favorire una maggiore aderenza ai tessuti molli del cavo orale e un transito potenzialmente più problematico attraverso il tratto gastrointestinale.
La misurazione è stata condotta con una tecnica chiamata µFTIR Imaging, che consente di identificare e quantificare particelle microplastiche nei campioni biologici. La saliva, raccolta subito dopo la masticazione, è stata filtrata e analizzata con strumenti ad alta precisione: questo ha permesso di confermare con esattezza la composizione polimerica delle particelle.
Un’esposizione diretta e quotidiana
Quello che rende questi risultati particolarmente rilevanti è la modalità di esposizione. A differenza delle microplastiche che ingeriamo tramite cibo contaminato o acqua in bottiglia, quelle rilasciate dai chewing gum entrano direttamente in contatto con le mucose orali, in condizioni ideali per un rapido assorbimento.
Le dimensioni estremamente ridotte delle particelle – alcune inferiori a 10 micrometri – le rendono potenzialmente capaci di penetrare nei tessuti o di superare barriere fisiologiche, soprattutto in soggetti vulnerabili, come bambini e donne in gravidanza.
Le microplastiche, permanendo per diversi minuti nel cavo orale, possono essere trasportate nei polmoni tramite il respiro o entrare in circolo attraverso microlesioni delle gengive. Sebbene lo studio non abbia esaminato direttamente gli effetti sanitari, gli autori suggeriscono che si tratti di una fonte significativa di esposizione interna, finora trascurata.
Un altro aspetto preoccupante emerso dallo studio riguarda l’accumulo potenziale. Se una singola gomma da masticare può rilasciare 3.000 particelle, è facile intuire l’ordine di grandezza dell’esposizione per chi mastica gomme più volte al giorno. A livello settimanale o mensile, il numero di microplastiche ingerite potrebbe raggiungere decine di migliaia di unità, tutte provenienti da un unico prodotto.
Il rischio tossicologico delle microplastiche è ancora oggetto di studio, ma diversi lavori scientifici hanno già associato queste particelle a stress ossidativo, infiammazione cellulare e disturbi endocrini. A ciò si aggiunge il rischio veicolato dagli additivi chimici usati nella produzione della gomma base – plastificanti, stabilizzatori, aromi – che possono interagire con l’organismo in modi non ancora pienamente compresi.
Uno studio che cambia la percezione di un gesto quotidiano
L’impatto di questo studio va oltre i dati numerici. Per la prima volta, viene dimostrato che un prodotto di consumo quotidiano come il chewing gum può essere una fonte attiva e significativa di microplastiche, con esposizione diretta attraverso la bocca. Un’ipotesi che finora era stata esclusa dai principali report internazionali sull’inquinamento da microplastiche.
I ricercatori concludono sottolineando che “il chewing gum rappresenta una categoria di prodotto finora non regolamentata rispetto alla presenza e rilascio di plastica, ma che merita un’attenta valutazione di rischio”. L’assenza di obblighi di etichettatura sulla composizione della gomma base rende difficile per i consumatori fare scelte consapevoli.
Secondo i dati raccolti, anche le gomme etichettate come “senza zucchero” o “per l’igiene orale” rilasciano microplastiche, a conferma che la funzione dichiarata non è correlata al profilo di sicurezza del materiale base. Un chewing gum masticato per un alito più fresco o per combattere lo stress potrebbe, in realtà, essere una fonte costante di contaminazione interna, invisibile ma persistente.
Questo studio segna dunque una svolta scientifica importante: sposta il focus delle microplastiche da ambienti esterni (oceani, cibo, aria) a una dimensione interna e personale, che riguarda il corpo umano nella sua quotidianità.