Mucche con gli zaini anti-peto: una soluzione assurda per un problema reale?

Da oltre dieci anni si sperimentano gli zaini anti-peto per le mucche, allo scopo di limitare le emissioni di metano, considerando come l'allevamento sia la causa del 32% della produzione di gas climalteranti al mondo. La soluzione potrebbe però essere un'altra: un rapporto più sano, e sostenibile, con l'alimentazione.

Dei capienti zaini anti-peto per raccogliere i gas prodotti dalle mucche, così da ridurre le emissioni climalteranti di metano. È questo l’insolito esperimento che, ciclicamente negli ultimi anni, viene condotto in alcuni allevamenti di test in diversi Paesi del mondo, come in Svizzera e in Argentina. Un modo, almeno nelle speranze dei ricercatori, di ridurre l’enorme produzione di anidride carbonica e di metano derivante proprio dal settore bovino: basti pensare che gli allevamenti emettono più del 32% dei gas climalteranti mondiali, una soglia che sfiora il 40% in Italia. E mentre già si pensa ad apposite mascherine per mucche, oltre che agli zaini, il dubbio è più che lecito: non sarebbe più efficace sposare un’alimentazione più sostenibile?

L’esperimento degli zaini anti-peto

Allevamento di mucche

La notizia non è di certo nuova, poiché dal 2014 in poi sono stati diversi gli esperimenti condotti dai più svariati gruppi di ricercatori, alcuni dei quali davvero recenti. Parliamo degli zaini anti-peto che, applicati sulla schiena o a ridosso della coda delle mucche, ne trattengono i gas fisiologici evitando che si diffondano in atmosfera.

Come già accennato, diversi tentativi sono stati condotti in tutto il mondo, in particolare in Argentina e in Svizzera, dove si sono svolti gli studi che maggiormente hanno colto le attenzioni dell’opinione pubblica. Negli intenti dei ricercatori, quello di raccogliere i gas emessi dagli animali per recuperarli in modo utile: d’altronde, un bovino può produrre dai 250 ai 500 litri di metano ogni giorno, a seconda della razza, gas che potrebbe essere impiegato per le necessità di riscaldamento domestico oppure per il trasporto pubblico. A questo si aggiunga che il metano ha un potere climalterante anche di 30 volte maggiore alla CO2 e, di conseguenza, un continuo rilascio in atmosfera non fa altro che accelerare i processi di cambiamento climatico.

Eppure, per quanto l’intento sia nobile, una simile soluzione si scontra con degli evidenti limiti. Innanzitutto, di praticità: i dispositivi impiegati non sono affatto semplici da predisporre e, fatto non meno importante, possono rappresentare un apparecchio invasivo per le mucche, già spesso sottoposte a forti stress, soprattutto negli allevamenti intensivi. Inoltre, vi sono problemi di efficacia: diffondere gli zaini anti-peto su larga scala è decisamente complesso, non a caso nell’arco di dieci anni le sperimentazioni non si sono mai trasformate in prodotti di massa per gli allevatori.

Dagli zaini alle mascherine

In tempi più recenti, l’attenzione dei ricercatori non si è concentrata unicamente sui peti dei bovini, ma anche sui gas digestivi che questi animali emettono dalla bocca a causa della ruminazione. A questo scopo, sono stati presentati dei progetti – alcuni anche al vaglio della Commissione Europea – di mascherine high-tech, da applicare sul muso delle mucche, affinché si possano catturare grandi quantità di metano. Bisogna infatti considerare che, di quei 250-500 litri di metano prodotti al giorno da questi animali, più della metà viene emessa dalla bocca.

Anche in questo caso, gli ostacoli sono i medesimi già elencati: da un lato la praticità, con un dispositivo che potrebbe limitare le normali abitudini degli animali, dall’altro le possibili difficoltà di implementazione su vasta scala.

Nuove soluzioni per un problema globale

Carne rossa

Per quanto insoliti e curiosi, questi esperimenti hanno però avuto il merito di accendere l’attenzione pubblica su un problema spesso sottovalutato: l’enorme impatto ambientale degli allevamenti per carne, latte o derivati, soprattutto se intensivi. Come accennato in apertura, alle mucche è attribuibile oltre il 32% del metano emesso a livello globale, a cui si aggiunge anche il peso delle deiezioni. I rifiuti fisiologici dei bovini rilasciano infatti grandi quantità di protossido di azoto, un altro gas serra dall’enorme potenziale climalterante, di ben 265 volte superiore a quello dell’anidride carbonica.

La soluzione a quello che, di fatto, è un problema mondiale – l’inquinamento atmosferico dovuto agli allevamenti è del tutto paragonabile, in termini di intensità ed estensione, a quello del traffico stradale – potrebbe però essere assai diversa dall’uso di appositi dispositivi cattura-gas.

È indispensabile agire sul lungo periodo, ripensando il rapporto tra l’uomo e l’alimentazione, affinché la richiesta di carne e latticini scenda a livello mondiale, con innegabili vantaggi per l’ambiente. Ciò non vuol dire necessariamente sposare le diete vegetariane e vegana, bensì optare per un regime alimentare più vario, il più possibile a chilometro zero, riducendo il consumo settimanale dei cibi che hanno il maggior impatto in termini di emissioni.

Limitare il consumo di carne e derivati a solo due volte alla settimana – contro le 4-5 di media mondiale attuale – permetterebbe infatti di abbassare le emissioni del settore zootecnico del 30-40%. Un piccolo cambio di abitudini che permette, anche per coloro che non vogliono rinunciare ai derivati animali, di avere un impatto significativo sul Pianeta.

Ti consigliamo anche

Link copiato negli appunti