Nine Perfect Strangers ci ricorda che la natura guarisce (e anche Nicole Kidman)

Nine Perfect Strangers è un viaggio tra dolore e rinascita, dove la natura non fa solo da sfondo, ma diventa parte attiva della cura. Una serie potente, esteticamente raffinata e sorprendentemente profonda.

Nine Perfect Strangers ci ricorda che la natura guarisce (e anche Nicole Kidman) - immagine di copertina

    Ogni tanto la serialità contemporanea riesce ancora a sorprenderci non con colpi di scena, ma con il coraggio di prendersi sul serio. Nine Perfect Strangers, tratto dal romanzo di Liane Moriarty, è una di quelle rare serie in cui l’intrattenimento si concede il lusso di parlare alla psiche, alla carne e – cosa oggi quasi sospetta – all’anima. Ambientata in un centro benessere di lusso immerso nella natura, la serie affonda le mani nel terreno instabile della vulnerabilità umana, seminando domande più che risposte. E lo fa mentre il bosco intorno respira, osserva e – in qualche modo – partecipa.

    Una natura che non fa da sfondo, ma da specchio

    Il Tranquillum House, santuario minimalista diretto dalla misteriosa Masha (Nicole Kidman in una delle sue incarnazioni più algide e magnetiche), non è solo una location scenografica: è un organismo vivo. Gli alberi, la luce che filtra attraverso le foglie, i silenzi umidi delle mattine – tutto parla. Anzi, tutto cura. Il contatto con l’ambiente naturale non è un vezzo estetico, ma un elemento terapeutico integrato nella narrazione, un promemoria visivo del fatto che la rigenerazione passa, letteralmente, per il radicamento. Le fragilità emotive dei protagonisti trovano uno spazio di decantazione in quella natura che accoglie tutto.

    Il ritmo della cura: lentezza come provocazione

    In un panorama dominato dalla frenesia narrativa, Nine Perfect Strangers osa prendersi il tempo. I silenzi, le pause, gli sguardi lunghi sono parte integrante del trattamento – per i personaggi e per lo spettatore. È una serie che chiede di restare, di respirare, di guardare le crepe. E questo, in un’epoca dove anche la meditazione è ormai un’opzione su Spotify, è una scelta sovversiva. Lentezza, qui, non è mancanza di ritmo ma forma di rispetto per la complessità del dolore e la possibilità del cambiamento.

    Un cast che non sbaglia un colpo

    Il cast corale è uno degli assi vincenti della serie. Nicole Kidman veste i panni di una guru terapeutica con un passato torbido e un presente altrettanto ambiguo: inquietante e credibile, come un incenso che stordisce prima ancora di rilassarti. Accanto a lei, Melissa McCarthy, Michael Shannon, Regina Hall e Bobby Cannavale danno vita a personaggi sfaccettati, fragili, a volte odiosi ma mai banali. Il risultato è un’umanità spezzata ma non distrutta, che proprio nell’incontro con l’altro – e con la natura – inizia lentamente a ricomporsi.

    Stagione due: non un sequel, ma una nuova immersione

    Con l’arrivo della seconda stagione, già in uscita a puntate, la serie conferma la sua capacità di reinventarsi senza perdere identità. Non è una copia carbone della prima, ma una nuova immersione nell’idea che il benessere non sia un obiettivo da raggiungere, bensì un processo da attraversare. Ancora una volta, è la natura a fare da custode alle trasformazioni interiori. E ancora una volta, la regia accompagna tutto con eleganza, senza mai cadere nel sentimentalismo o nel moralismo da self-help da supermercato.

    tags: serie tv

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