
In un’epoca in cui la narrazione dell’autonomia femminile passa anche attraverso la monetizzazione del proprio corpo, OnlyFans si è imposto come simbolo ambiguo di presunta libertà. Il sito, nato come piattaforma per contenuti esclusivi a pagamento, è rapidamente diventato sinonimo di pornografia amatoriale, sovente venduta con il sigillo dell’autoaffermazione. Ma cosa c’è davvero dietro questa nuova economia della seduzione? È lecito chiedersi se la diffusione capillare di questo modello non sia altro che un sintomo di fragilità culturale, mascherata da empowerment. Soprattutto quando le cifre raccontano una storia ben diversa da quella venduta nei reels motivazionali: la stragrande maggioranza dei creator guadagna meno di una pizza al mese. E a fronte di simili ricavi, resta indelebile il marchio digitale di un corpo esposto, spesso in situazioni intime difficilmente reversibili. L’ideale femminista, quello autentico, si perde così tra le ombre sfuocate di una webcam.
Il femminismo piegato all’algoritmo
Un certo segmento del femminismo contemporaneo ha abbracciato la retorica secondo cui vendere immagini esplicite del proprio corpo costituirebbe una forma estrema ma legittima di autodeterminazione. Secondo questa prospettiva, la donna che guadagna capitalizzando il desiderio altrui è padrona del proprio destino e finalmente libera dal giogo patriarcale. Ma basta grattare la superficie per intravedere una verità più scomoda: l’emancipazione che si fonda sulla performatività sessuale in ambiente digitale è spesso una trappola semiotica, dove la libertà coincide col soddisfacimento di uno sguardo maschile travestito da algoritmo. In nome della libertà di scelta, molte giovani donne finiscono per uniformarsi a standard estetici feroci e per accettare dinamiche di consumo che riducono il corpo a prodotto. Il paradosso si consuma quando l’atto di vendersi viene presentato come un atto rivoluzionario, mentre in realtà perpetua le logiche del mercato più spietato.
La retorica del guadagno facile
Dietro l’apparente oro digitale promesso dai guru dell’internet – che mostrano dashboard esagerate e sorrisi plastificati sotto il sole di Dubai – si nasconde una realtà ben più misera. Secondo dati ufficiali, oltre il 95% dei profili OnlyFans guadagna meno di 24 euro al mese. Eppure, la retorica del ce la puoi fare anche tu ha attecchito profondamente nella Generazione Z, per la quale l’ascensore sociale sembra ormai guasto. In questo scenario, OnlyFans diventa l’equivalente erotico del dropshipping o delle criptovalute improvvisate: un sogno di riscatto economico costruito sull’effimero. Il capitale iniziale non è una skill, una competenza, un’idea: è il corpo. E proprio per questo, l’investimento ha un costo che raramente viene messo a bilancio. Perché se i ricavi sono incerti, le tracce digitali restano scolpite nel tempo.
L’impronta indelebile del corpo online
Il dato più inquietante non è la sproporzione tra aspettative e guadagni, ma l’irreversibilità dell’esposizione. Immagini e video, anche se pubblicati dietro paywall, circolano con facilità disarmante. Screenshot, archiviazioni non autorizzate, vendite illecite su forum paralleli: ciò che oggi viene venduto come contenuto premium, domani può trasformarsi in arma di ricatto o fonte di disagio psicologico profondo. Non si tratta solo di privacy violata, ma di identità manipolata. A vent’anni un contenuto può sembrare innocente, malizioso e redditizio. Più avanti negli anni però – cambiando prospettiva – può diventare motivo di difficoltà di inserimento sociale, vergogna, ripensamenti. In breve: una gabbia. Le cicatrici non sono fisiche, ma esistono, e parlano la lingua della memoria digitale.
Quando l’emancipazione è un travestimento
OnlyFans non è, di per sé, il male assoluto. Come ogni strumento, può essere usato in molti modi. Ma spacciare per emancipazione ciò che spesso è solo un tentativo disperato di sopravvivere nel caos del fare soldi facili è un’operazione pericolosa. Le donne meritano più di una piattaforma che premia la nudità e condanna all’oblio chi non si conforma al desiderio del pubblico. L’emancipazione vera passa da un’altra strada: quella della consapevolezza, dell’istruzione, dell’autonomia autentica, non dalla monetizzazione del proprio corpo in saldo. Ma pur non volendo fare del moralismo, che almeno le scelte siano reversibili. Il corpo, una volta consegnato alla Rete, non torna mai più indietro.