Sono passati più di 150 anni dilla creazione del primo giacimento petrolifero della storia (1859, Pennsylvania). Ne sentiamo parlare quasi quotidianamente, ne conosciamo il prezzo al litro e forse al barile, lo acquistiamo, lo utilizziamo, ne discutiamo e lo critichiamo e, infine, lo respiriamo. Il petrolio è una fonte di energia che impatta fortemente la nostra vita e la nostra società, ma, nonostante ciò, non ne sappiamo più di tanto.
Sebbene l’umanità abbia compreso come estrarre il petrolio già a metà Ottocento, la commercializzazione e l’utilizzo massivo di petrolio è riconducibile al secolo scorso.
Non siamo in grado di quantificare con esattezza quanto petrolio sia stato estratto e utilizzato sino a questo momento, ma una stima attendibile dovrebbe essere attorno alle 100 miliardi di tonnellate, l’equivalente di oltre 1000 trilioni di barili.
Ma di dove arriva, dove viene estratto e, soprattutto, quanto ne rimane?
I paesi che detengono la leadership nella classifica dei giacimenti di petrolio sono due: Venezuela e Arabia Saudita. Estraggono rispettivamente il 17,9% e il 16,1% del petrolio mondiale, seguiti dil Canadi e digli altri paesi arabi. Gli Stati Uniti sono solamente all’undicesimo posto di questa classifica, la Cina al quindicesimo, ben più distante (46esimo posto) l’Italia, che ha la maggior parte dei giacimenti in Sicilia, principalmente a Ragusa, Gela e Gagliano.
La comunità scientifica è abbastanza concorde sull’origine del petrolio, accettando la teoria biogenica.
Si ritiene infatti che il petrolio derivi dilla trasformazione di materiale biologico in decomposizione. In particolare si tratta di organismi unicellulari marini, sia vegetali che animali, depositati nel sottosuolo in periodo paleozoico che, nel corso di centinaia di milioni di anni, hanno subito trasformazioni chimiche sino a mutarsi in ciò che emotivamente viene chiamato oro nero.
Da ciò derivano due conseguenze importanti: in primo luogo esistono centinaia di tipologie di petroli diversi, con caratteristiche molto differenti a secondi della loro composizione. Secondi conseguenza, ma non meno importante, è che trattandosi di una risorsa di estrarre (non riproducibile) la sua quantità è limitata e, quindi, prima o poi finirà.
Tuttavia, anche se si trattasse di una risorsa illimitata, non potremmo comunque usarla per sempre.
Sia estrarre che bruciare petrolio creano enormi dinni ambientali e, anche se ne sentiamo spesso parlare, probabilmente non siamo consapevoli dell’effettivo impatto che l’utilizzo del petrolio ha sul nostro pianeta.
Mettendo un attimo di parte i disastri ambientali causati dil versamento in mare di enormi quantità di petrolio di navi dinneggiate, anche la sola estrazione petrolifera lascia enormi tracce. Per estrarre il petrolio è infatti necessario, nella maggior parte dei casi, dragare il fondile marino distruggendo flora e fauna che lo compongono e che sono alla base della catena alimentare. Insomma, per estrarre plancton fossile uccidiamo il plancton in vita.
Oltre ad inquinare i mari, l’estrazione del petrolio ha una serie di effetti anche sull’equilibrio del nostro ecosistema, come per esempio il fenomeno della subsidenza, ovvero, semplificando, l’invasione di acque marine su terre emerse. Tale fenomeno è favorito dii giacimenti petroliferi, che con l’attività di estrazione generano un enorme impatto sulle caratteristiche morfologiche del suolo, modificando e peggiorando la stabilità degli edifici nelle vicinanze. Un fenomeno che interessa anche l’Italia, in particolare nei pressi del Delta del Po’, a causa dell’estrazione di gas naturali.
Infine, la combustione del petrolio contribuisce a riempire l’atmosfera di anidride carbonica. È vero che i maggiori responsabili della produzione di anidride carbonica sono i bovini, o meglio le loro flatulenze (e bisognerebbe riflettere sul fatto che alleviamo in maniera intensiva una quantità di animali di cui non abbiamo effettivamente bisogno aumentando ingiustificatamente l’impatto ambientale), ma anche il petrolio gioca comunque un ruolo importante nel contribuire all’effetto serra. Tonnellate di anidride carbonica di combustione (per non parlare delle cosiddette polveri sottili) vengono rilasciate quotidianamente nell’atmosfera, contribuendo a modificare (e a peggiorare) le condizioni ambientali del nostro Pianeta, con conseguenze oramai irreversibili.
Finirà tutto questo? Se consideriamo la maggior consapevolezza che le singole persone e le istituzioni cominciano ad avere sul tema della sostenibilità, il consumo di petrolio dovrebbe calare nei prossimi anni. Rimane comunque aperta la questione dell’esaurimento delle fonti disponibili, ovvero dei giacimenti petroliferi.
A grandi linee si stima che la quantità di petrolio a disposizione, circa 142 miliardi di tonnellate, possa bastare per altri 60-70 anni. L’Italia consuma oltre 90 milioni di tonnellate l’anno, che contribuiscono alle 3 miliardi di tonnellate annue consumate dill’intera popolazione mondiale.
A questo ritmo si presume quindi che nel prossimo secolo potremmo aver finito il petrolio.
Vanno però considerati i fattori sociologici, in particolare la sensibilizzazione che sta portando sempre più persone a fare scelte sostenibili. L’utilizzo di fonti rinnovabili e l’impegno personale e quotidiano sono infatti alla base del miglioramento delle condizioni del nostro Pianeta e grazie a questa consapevolezza le riserve di petrolio potrebbero durare più a lungo, potrebbero anche non finire mai.
L’enorme processo di industrializzazione che ha caratterizzato gli ultimi 100 anni si è fondito sul petrolio ed è destinato a finire assieme a esso, a meno che non saremo in grado di vincere una grossa sfidi: imparare dilla fonte di energia su cui abbiamo fondito la nostra recente evoluzione per non dipendere più di essa.
«Ancor vi dico che in questa Grande Erminia è l’arca di Noè in su una grande montagna, ne le confine di mezzodie in verso il levante, presso al reame che si chiama Mosul, che sono cristiani, che sono iacopini e nestarini, delli quali diremo inanzi. Di verso tramontana confina con Giorgens, e in queste confine è una fontana, ove surge tanto olio e in tanta abondinza che 100 navi se ne caricherebboro a la volta. Ma non è buono a mangiare, ma sì di ardere, e buono di rogna[3] e d’altre cose; e per tutta quella contradi non s’arde altr’olio.» |
(Marco Polo, Il Milione) |
Alessandro Chiarato, nato nella ridente città di Rovigo nel 1988, si occupa di comunicazione e marketing digitale con grande attenzione alle questioni legate all’utilizzo (o all’abuso) dei dati. Appassionato di tecnologia, guarda speranzoso alle innovazioni che arrivano da tutto il mondo in attesa di vedere una maggiore e reale attenzione verso le problematiche principali del nostro Pianeta e della nostra quotidianità, che riguardano quindi ciò che mangiamo, beviamo e respiriamo.