
Il pesce blob è uno degli animali più bizzarri mai osservati dall’uomo, e non a caso è stato eletto “l’animale più brutto del mondo” in un sondaggio internazionale. Ma dietro la sua faccia molle e triste si nasconde un organismo perfettamente adattato a condizioni estreme: questo animale, infatti, vive nelle profondità abissali dell’oceano, dove la pressione è centinaia di volte superiore a quella che conosciamo in superficie. Fuori dal suo ambiente naturale, il pesce blob si sgonfia, collassa e assume un aspetto surreale.
Un corpo molle, gelatinoso e (quasi) senz’ossa: così il pesce blob sopravvive dove noi imploderemmo
Il corpo del pesce blob è una massa gelatinosa a bassa densità, composta per lo più da tessuti molli privi di muscolatura strutturata. Si tratta di una strategia evolutiva per galleggiare senza sforzo nelle profondità oceaniche, dove la pressione schiaccerebbe qualunque struttura ossea normale.
Lungo circa 30 centimetri, ha una testa sproporzionata, occhi piccoli e una bocca rivolta verso il basso, con una fisionomia che, fuori dall’acqua, sembra perennemente sconsolata. Ma nel suo habitat naturale, tra i 600 e i 1200 metri di profondità, il pesce blob mantiene una forma più compatta e meno sciolta, che gli permette di restare sospeso sopra il fondale senza dover nuotare attivamente. Privo di vescica natatoria (che sarebbe pericolosa a quelle pressioni), il pesce blob si muove poco e si affida alla passività: aspetta che le correnti portino cibo alla sua portata, evitando di sprecare energia.
L’aspetto grottesco che lo ha reso celebre è quindi solo una distorsione: fuori dal suo mondo, il suo corpo collassa per mancanza di supporto idrostatico.
Un abitante degli abissi che sfugge alla luce e alle regole della superficie
Il pesce blob vive nei fondali marini profondi, in zone abissali tra Australia, Nuova Zelanda e Tasmania. Gli ambienti in cui si muove sono bui, freddi, silenziosi e sottoposti a una pressione che può superare le 100 atmosfere. Qui la vita scorre al rallentatore, in un equilibrio delicatissimo dove ogni forma vivente ha sviluppato adattamenti estremi.
A differenza di molti pesci di profondità dotati di organi bioluminescenti o dentature esagerate, il blob si distingue per la sua semplicità. Non ha luce propria, non ha armi, non ha pinne sviluppate. Il suo habitat è costituito da fondali fangosi e rocciosi, spesso a margine di dorsali oceaniche o scarpate continentali, dove si aggira in attesa di prede o detriti organici.

Raramente viene osservato vivo nel suo ambiente: la maggior parte degli esemplari noti sono stati recuperati con reti da pesca a strascico, una tecnica invasiva che distrugge l’habitat e danneggia gravemente gli organismi che vi abitano. Il pesce blob, in particolare, non sopravvive alla risalita: la decompressione lo deforma irrimediabilmente, trasformandolo nell’icona gelatinosa che tutti conosciamo.
Un predatore immobile
Il pesce blob è un predatore passivo. Non insegue le prede, non attacca, non lotta. La sua strategia è la pazienza: si posiziona sul fondale o poco sopra di esso e attende che qualcosa di commestibile – crostacei, molluschi, detriti organici – gli arrivi letteralmente davanti alla bocca. A quel punto, apre leggermente la mascella e inghiotte, con un movimento lento e poco energetico.
Questa dieta a basso sforzo è perfettamente coerente con il suo stile di vita. In un ambiente dove il cibo scarseggia e il dispendio energetico può essere letale, ogni caloria è preziosa. Per questo il pesce blob ha sviluppato un metabolismo lento, un sistema muscolare minimo e un comportamento quasi letargico.
Non si conosce molto sulla sua riproduzione, ma si pensa che deponga uova sul fondale, affidando lo sviluppo dei piccoli alle condizioni ambientali piuttosto che a cure parentali attive. Non si muove in gruppo e non mostra segni di comportamento sociale complesso: la sua esistenza è silenziosa, solitaria, in perfetto equilibrio con l’ambiente inospitale in cui abita.
Un’icona involontaria della biodiversità abissale (e della bruttezza utile)
Nel 2013, il pesce blob è stato eletto “l’animale più brutto del mondo” da una campagna della Ugly Animal Preservation Society. Da quel momento è diventato un simbolo globale della biodiversità trascurata, delle creature ignorate perché prive di fascino estetico. Il suo volto molle e perennemente infelice è comparso su pupazzi, meme, tazze e fumetti, trasformandolo in una sorta di mascotte degli animali invisibili.
Eppure, dietro questa fama tragicomica si nasconde una creatura che rappresenta una frontiera biologica fondamentale: gli abissi oceanici. Ambienti ancora in gran parte inesplorati, dove la vita si adatta a condizioni estreme con soluzioni evolutive imprevedibili. Il pesce blob non è un fallimento della natura, ma una sua dimostrazione estrema.
La sua celebrità ha avuto anche un effetto positivo: ha attirato l’attenzione su specie poco conosciute e minacciate dalla pesca intensiva. La sua sopravvivenza dipende non solo dalla salute degli abissi, ma dalla nostra capacità di capire che la bellezza, in natura, è anche questione di funzione. E che un animale brutto, lento e molle può essere, a modo suo, un capolavoro.