La sopravvivenza di pesci e della fauna marina è sempre più a repentaglio, a causa delle sostanze inquinanti rilasciate dall’uomo nei mari e negli oceani. Dalla plastica agli idrocarburi, passando per pesticidi e molto altro ancora, sono migliaia le specie marine che rischiano di scomparire a causa di contaminazioni, aumento della temperatura e crescita delle concentrazioni di anidride carbonica in acqua. Ma quali sono gli inquinanti più pericolosi?
Secondo uno studio pubblicato su Science, siamo praticamente sull’orlo di un’estinzione di massa a livello marino, poiché virtualmente tutta la fauna subacquea – nessuna specie esclusa – è minacciata sia dall’inquinamento che dai cambiamenti climatici, seppur con intensità diversa. Per questo è utile conoscere quali siano le principali fonti di inquinamento e, soprattutto, adottare politiche internazionali per calmierare gli effetti delle modifiche del clima.
Plastica: il principale pericolo per la fauna marina
Il principale nemico di praticamente ogni specie marina è oggi rappresentato dalla plastica. Se si considera che, ai livelli attuali di produzione – l’UNEP stima che, ogni giorno, nel Mediterraneo finiscano 730 tonnellate di plastica – nel 2050 potrebbero esservi più rifiuti che pesci negli oceani, ne emerge un quadro davvero preoccupante.
La plastica presente in mare si suddivide essenzialmente in due grandi gruppi:
- rifiuti integri, o parzialmente integri;
- microplastiche, ovvero frammenti infinitesimali del materiale.
Stando alle rilevazioni di Greenpeace Italia, un gran numero di specie marine presenta grandi quantità di plastica nei loro apparati digerenti, in particolare balene, delfini, tartarughe, capodogli e zifi. Questi animali scambiano spesso frammenti di plastica per prede e, una volta all’interno dei loro stomaci, questi rifiuti si accumulano impedendo la normale digestione, portando gli esemplari alla morte.
Quali sono i rifiuti di plastica più pericolosi
Ma quali sono i rifiuti di plastica più pericolosi per la fauna marina? In linea generale:
- ami, lenze, reti, palloncini e piccoli oggetti: i rifiuti di medie e piccole dimensioni sono i più pericolosi per gli animali marini, poiché il rischio che vengano ingoiati è maggiore. Questi oggetti non vengono però solo ingoiati, spesso si trasformano in vere e proprie trappole mortali. È il caso delle reti da pesca abbandonate, che intrappolano i delfini sui fondali impedendo loro di risalire in superficie per respirare. Oppure delle lenze da pesca, o dei laccetti per lattine, che si attorcigliano attorno i colli di tartarughe e uccelli, strangolandoli;
- microplastiche: i frammenti di plastica di minuscole dimensioni sono ormai ubiquitari, tanto da essere stati rinvenuti anche nella profondità della Fossa delle Marianne. Le microplastiche vengono ingerite sia dai crostacei che dai pesci, così come dai grandi predatori, ed entrano così nella catena alimentare anche umana. I danni sono ancora oggetto di studi: da disturbi alla fertilità per le specie marine più conosciute a interferenti endocrini per l’organismo umano.
Petrolio e idrocarburi: un dramma per la fauna marina
Tra gli inquinanti più pericolosi per pesci e fauna marina rientrano di certo il petrolio e tutti gli idrocarburi, spesso rilasciati in mare per incidenti sulle piattaforme petrolifere o, ancora, per sversamenti dovuti a guasti o affondamenti di petroliere.
Le enormi macchie di petrolio che si vengono a formare portano rapidamente alle morte di una grande varietà di pesci e crostacei e, fatto non meno importante, limitano la proliferazione della flora marina, indispensabile per l’ossigenazione delle acque. Questo perché, rendendo la superficie dell’acqua scura e opaca, rendono impossibile la fotosintesi.
Il dramma più evidente, però, è sulle specie che vivono sia sulla terraferma che in acqua: a ogni fuoriuscita di petrolio sono migliaia le specie di uccelli marini che trovano la morte, così come anche un numero considerevole di tartarughe.
Vestiti, l’inquinante di cui spesso non si parla
Quando si pensa al mare inquinato, alla mente non possono che apparire le immagini delle grande distese di plastica che galleggiano in superficie o, ancora, alle macchie degli sversamenti di petrolio. Ma c’è un rifiuto altamente inquinante di cui si parla ancora poco: i vestiti.
Proprio così: la maggior parte degli indumenti dismessi – o, peggio ancora, invenduti – finisce nei corsi d’acqua, per poi scaricarsi in mare. Alcuni casi mondiali sono emblematici: in Bangladesh, uno dei mercati produttivi più gettonati dalla fast-fashion, interi fiumi sono sommersi da capi che non sono mai nemmeno giunti alle catene di produzione. In alcune nazioni africane, come il Ghana o il Kenya, ogni giorno arrivano quintali di abiti usati o invenduti da tutto il Pianeta e, nella maggior parte dei casi, questi indumenti finiscono abbandonati nell’ambiente o gettati in mare.
Una volta in acqua, i vestiti danneggiano la fauna marina perché non solo vengono ingoiati dai grandi cetacei – tanto da bloccare il loro apparato digerente, fino a condurli alla morte – ma possono anche intrappolare e strangolare uccelli, delfini, tartarughe e molte altre specie ancora.
Mercurio e altre sostanze chimiche: l’inquinamento da scarichi industriali
Se plastica, petrolio e abiti sono di certo le due fonti di inquinamento marino più evidenti, ve ne sono altre silenziose, ovvero non immediatamente identificabili. È il caso delle sostanze chimiche dovute agli scarichi industriali.
Uno dei problemi maggiori è dovuto al mercurio, che si sta accumulando sempre più nelle acque marine, contaminando una lunga schiera di specie ittiche e, di conseguenza, anche l’uomo con l’alimentazione. Una certa quantità di mercurio è fisiologica in acqua, ad esempio a causa delle attività vulcaniche o del sottosuolo, ma per la gran parte è rilasciato da miniere, trivelle e scarichi di processi industriali.
E proprio in merito agli scarichi, oggi giorno finiscono in acqua – soprattutto in quei Paesi che non si sono dotati di rigide normative sul filtraggio delle acque – moltissime sostanze pericolose diverse. Elencarle tutte è praticamente impossibile, perché si tratta di centinaia di composti diversi, tuttavia i più diffusi sono fluoro e derivati, composti del cloro, bromo, iodio, ftalati e ritardanti di fiamma bromurati. Tutte sostanze che possono inibire il normale sviluppo delle specie marine, quando non addirittura condurle alla morte.
Pesticidi: dei veri killer per la fauna marina
Tra le sostanze chimiche più pericolose oggi presenti nei mari e negli oceani, i pesticidi meritano un approfondimento separato. Questi composti sono infatti quelli dalle concentrazioni più elevate nelle acque, nonché quelli dalle conseguenze più gravose per gli animali marini.
Secondo uno studio apparso su Nature, ogni anno ben 72.000 tonnellate di 92 pesticidi intaccando le falde acquifere, per poi giungere al mare tramite i fiumi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di sostanze che vengono scomposte una volta giunte nelle acque, spesso rilasciando metaboliti stabili o, addirittura, perenni. E sulla durata della contaminazione da pesticidi da tempo la scienza cerca di trovare una soluzione: a titolo di esempio, basti pensare che nel Mediterraneo si rilevino ancora alte concentrazioni di DDT, nonostante sia stato vietato nel 1972 negli Stati Uniti e nel 1978 in Italia.
I pesticidi hanno spesso effetti nefasti sulla fauna marina: possono portare alla morte improvvisa di migliaia di pesci o, ancora, inibire la loro fertilità o il corretto sviluppo della prole.
Anidride carbonica, la responsabile dell’acidificazione degli oceani
Infine, un altro killer silenzioso della fauna marina è rappresentato dall’anidride carbonica. Questa sostanza inquinante, il primo tra i gas climalteranti, viene emessa in atmosfera a ormai ritmi insostenibili. Parte di questa CO2 viene poi assorbita dagli oceani, con conseguenze tutt’altro che da sottovalutare:
- danni alla barriera corallina;
- inibizione dello sviluppo di molluschi e crostacei;
- riduzione dell’ossigenazione dell’acqua;
- alterazione dei processi di fotosintesi;
- limitazione delle capacità di orientamento dei grandi cetacei.
Ancora, elevate concentrazioni di anidride carbonica in acqua facilitano lo sviluppo di alcune alghe marine infestanti, che sottraggono ossigeno ed elementi nutritivi sia alle altre specie vegetali che alla fauna.
In definitiva, l’impatto delle attività umane su mari e oceani sta avendo conseguenze catastrofiche per la sopravvivenza dei pesci e della fauna marina e, per questa ragione, è necessario adottare non solo politiche di riduzione degli inquinanti, ma anche di recupero di rifiuti e sostanze già presenti nelle acque.
Giornalista pubblicista dal 2012, collabora con diverse testate in qualità di Digital Content Specialist, concentrandosi soprattutto su due delle sue grandi passioni: l’ambiente e la tecnologia. In particolare, negli anni si è occupato di fonti rinnovabili, risparmio energetico, tecnologie per batterie e sistemi d’accumulo e mobilità sostenibile, non disdegnando alcune incursioni nell’universo della tutela della biodiversità, del giardinaggio e dei rimedi naturali.