
Poche città al mondo evocano un immaginario potente come Pripyat, in Ucraina. Fondata nel 1970 per ospitare i lavoratori della centrale nucleare di Chernobyl, oggi è un luogo abbandonato, sospeso nel tempo. Le immagini della ruota panoramica ferma, delle aule scolastiche con i quaderni ancora sui banchi e delle case invase dalla vegetazione raccontano una storia di improvvisa interruzione, di esodi forzati e di un ritorno impossibile. Un simbolo del disastro nucleare più noto della storia e una testimonianza tangibile della natura che si riappropria degli spazi umani.
La nascita di una città modello sovietica
Pripyat nacque per accogliere gli operai della centrale nucleare di Chernobyl, e crebbe rapidamente fino a superare i 49.000 abitanti. Era una città giovane, moderna per gli standard sovietici: scuole, ospedali, palestre, un centro culturale, un cinema, persino un parco dei divertimenti. Tutto era progettato per dare una vita comoda e ordinata a una popolazione composta soprattutto da tecnici, ingegneri e famiglie. Il modello era quello della città del futuro, con grandi viali alberati e una rete di servizi capillare. La sua esistenza, però, era legata indissolubilmente al reattore numero 4 della centrale V.I. Lenin, situata a pochi chilometri.
La notte del 26 aprile 1986 cambiò tutto. Dopo l’esplosione del reattore e il rilascio di materiale radioattivo, l’evacuazione di Pripyat avvenne in meno di tre ore. Ai cittadini fu detto che sarebbero tornati dopo pochi giorni. Nessuno è mai più tornato a viverci. La città fu abbandonata in fretta: molti oggetti personali, documenti, vestiti sono rimasti lì, congelati in un eterno presente.

Un ecosistema radioattivo che sfida le previsioni
Oggi Pripyat è al centro della zona di alienazione di 30 km, istituita dopo il disastro. In quest’area la natura ha preso il sopravvento: alberi crescono nei palazzi, volpi e lupi si aggirano nelle strade, e si contano oltre 200 specie di uccelli. Nonostante le radiazioni, molti animali sembrano prosperare. Alcuni studi hanno rilevato effetti sulla genetica e sulla fertilità di alcune specie, ma nel complesso, l’area è diventata una delle riserve naturali più particolari d’Europa.
Questo paradosso ha attirato l’attenzione di ecologi e scienziati. La domanda è: la natura si sta davvero adattando alla radioattività? Oppure il ritorno della biodiversità è solo apparente, un fenomeno temporaneo dettato dall’assenza dell’uomo più che da una vera capacità di adattamento? A oggi, non c’è una risposta definitiva. Ma Pripyat mostra quanto rapidamente l’equilibrio tra uomo e natura possa cambiare, e quanto la resilienza della biosfera sia ancora in parte sconosciuta.
Tra turismo, propaganda e tutela difficile
Negli ultimi anni, la zona di Pripyat è diventata una destinazione per il turismo dell’estremo. Documentari, serie tv come Chernobyl di HBO, reportage e fotografie hanno riacceso l’interesse per il luogo. Oggi è possibile partecipare a tour guidati, con misure di sicurezza, per visitare l’area. Questo ha sollevato una serie di interrogativi: è etico promuovere il turismo in un luogo legato a una tragedia ambientale e umana? Come evitare che la memoria si trasformi in folklore?

L’Ucraina ha cercato di bilanciare interesse e tutela. La zona di esclusione è oggi riconosciuta come riserva naturale radioecologica e sito di interesse storico. Ma la guerra in corso ha riportato l’incertezza: nel 2022, durante l’invasione russa, l’area di Chernobyl è stata occupata temporaneamente dalle forze armate, con gravi rischi per la sicurezza e l’integrità del sito. Gli impianti sono stati riconsegnati, ma l’evento ha evidenziato la fragilità della gestione di aree già compromesse, esposte a nuove minacce.
Cosa rappresenta oggi Pripyat
Pripyat non è solo una città abbandonata: è un simbolo potente della storia contemporanea. Ricorda quanto sottile sia la linea tra progresso e catastrofe, e quanto lunga possa essere l’ombra lasciata da un errore umano. Ma è anche un luogo dove la natura sfida le regole, dove la memoria resta visibile in ogni dettaglio.