
Negli ultimi mesi, tra proteste di massa, scontri violenti e una crisi economica senza precedenti, il Bangladesh sta attraversando una delle fasi più difficili della sua storia recente.
Le strade si sono riempite di giovani studenti, stanchi di promesse non mantenute e opportunità negate. Le conseguenze? Una repressione brutale: alcune fonti riportano un bilancio di circa 50 morti, mentre altre indicano che il numero totale delle vittime potrebbe essere superiore a 200, con oltre 2.500 arresti tra studenti, disoccupati e attivisti politici.
Il governo di Sheikh Hasina, che sembrava inamovibile dopo oltre un decennio di potere, è crollato sotto il peso della rabbia popolare. A raccogliere i cocci, è stato un governo ad interim, che ora deve tentare di riportare ordine e credibilità in un Paese in ginocchio.
A cosa si devono le rivolte
Tra le principali motivazioni della rivolta popolare, c’è sicuramente la disoccupazione giovanile che sfiora numeri da record: 18 milioni di giovani senza un lavoro o un’istruzione adeguata. A rendere tutto ancora più insopportabile è un sistema delle quote di lavoro riservate ai discendenti dei veterani della Guerra d’Indipendenza del 1971 che bloccano l’accesso ai posti pubblici per la maggioranza dei giovani, alimentando un sentimento di frustrazione e di ingiustizia.
L’aumento dell’inflazione, salito a quasi il 10% a giugno 2024, ha ulteriormente aggravato la situazione. Il costo della vita è diventato insostenibile per gran parte della popolazione, con rincari significativi sui beni di prima necessità, come alimenti e carburante. La crisi economica è stata accentuata dal conflitto tra Russia e Ucraina, che ha colpito l’approvvigionamento di materie prime e ha portato il governo a richiedere un prestito di emergenza al Fondo Monetario Internazionale (FMI).
La situazione economica e sociale ha fatto emergere anche una profonda sfiducia verso le istituzioni. Il governo di Sheikh Hasina è stato a lungo accusato di corruzione e autoritarismo. Dopo 15 anni di potere incontrastato, la frattura tra politica e popolo è diventata insanabile. Le proteste hanno trasformato le accuse in fatti, facendo cadere il governo in un crescendo di scontri e violenze.
Le conseguenze delle proteste in Bangladesh
Le proteste in Bangladesh non hanno lasciato solo morti e feriti: la società bangladese è uscita a pezzi. Le scuole e le università sono rimaste chiuse per settimane, lasciando migliaia di studenti senza un futuro chiaro. Le famiglie colpite dalle repressioni e dagli arresti vivono nel terrore e nella disperazione.
Anche l’economia ne ha pagato le conseguenze: piccoli commercianti e imprese locali hanno subito perdite devastanti a causa dei blocchi stradali e della paralisi del commercio.
La risposta della comunità internazionale
Le Nazioni Unite e Amnesty International hanno alzato la voce chiedendo un’indagine indipendente sulle violenze e sui morti. Alcuni Paesi hanno espresso preoccupazione per la situazione dei diritti umani e hanno invitato il governo ad interim a garantire elezioni trasparenti. Nel frattempo, il Fondo Monetario Internazionale ha imposto condizioni rigide per il prestito richiesto, esigendo riforme economiche immediate.
Cosa dobbiamo aspettarci
Quello che sta succedendo in Bangladesh non è solo una crisi politica o economica. È la dimostrazione di cosa succede quando un’intera generazione si sente tradita e ignorata. Il governo ad interim di Muhammad Yunus ha davanti a sé un compito monumentale: ricostruire la fiducia nelle istituzioni, dare risposte ai giovani e riportare stabilità a un Paese stremato.
Le prossime elezioni saranno decisive. Il Bangladesh può scegliere di uscire da questa crisi con un modello più equo e sostenibile, oppure rischia di sprofondare ancora di più. La scelta non è solo politica, è sociale.