Tra le tante minacce che mettono a repentaglio la sopravvivenza della vita marina, vi è un problema spesso invisibile: quello delle reti fantasma. Con questo termine, si identificano tutti gli strumenti da pesca che, per sbaglio o volutamente, vengono abbandonati in acqua. E le conseguenze sono devastanti: non solo causano la morte di milioni di animali ogni anno, ma devastano i fondali, compromettendo la crescita sia di piante indispensabili per l’ossigenazione marina, che dei coralli. Un problema globale di difficilissima soluzione, anche perché non solo è davvero complesso identificare questi oggetti fantasma, ma anche procedere alla loro rimozione.
Cosa sono le reti fantasma

Innanzitutto, è bene specificare cosa si intenda per reti fantasma. A discapito del nome, e così come già accennato, il termine identifica tutti gli strumenti da pesca che vengono abbandonati in mare: oltre alle ovvie reti, anche lenze, ami, ceste, nasse e trappole. Identificati anche come ALDFG – Abandoned, Lost or Discared Fishing Gear, cioè strumentazione da pesca abbandonata, persa o gettata – si tratta di oggetti perlopiù in materiali plastici, come il nylon o il polietilene, dalla ridottissima biodegradabilità.
Si stima che ogni anno vengano abbandonate in mare ben 640.000 tonnellate di questi attrezzi, che rappresentano più del 10% di tutto l’inquinamento da plastica negli ambienti marini. Ma per quale ragione vengono chiamati fantasma? Perché questi strumenti continuano a “pescare”, seppur in modo indiretto, anche al termine del loro ciclo di vita: pesci e animali marini vi rimangono intrappolati, fino a incontrare la morte. Ancora, perché modificano i fondali in modo silenzioso, esattamente come accade per la pesca a strascico, senza che tuttavia vi sia un intervento umano.
I danni causati dalle reti fantasma
Come ogni forma di inquinamento, anche quello causato dalle reti fantasma ha enormi conseguenze sia sugli ecosistemi marini, che sui loro abitanti. E, a differenza della classica plastica – come, ad esempio, quella da packaging – si tratta di attrezzi ben più pericolosi, proprio perché l’impatto sulla fauna acquatica è potenzialmente più grave. Nelle aree più colpite dal fenomeno dell’abbandono della strumentazioni da pesca, il tasso di morte degli animali è infatti dal 5 al 30% più elevato che altrove. Ma quali sono, nel dettaglio, i danni principali rilevati nel corso degli anni?
L’impatto sugli animali marini

Il primo problema è certamente rappresentato dall’impatto sugli animali marini. Le reti fantasma causano infatti la morte di decine di migliaia di esemplari ogni anno, tra specie che vi rimangono intrappolate e altre, che invece, ne ingoiano frammenti scambiandoli per prede. In base a diversi studi scientifici, è infatti emerso che le reti fantasma sono particolarmente pericolose per:
- le tartarughe, la specie che vi rimane più frequentemente intrappolata. Gli esemplari muoiono perlopiù per soffocamento, perché trattenuti troppo tempo sott’acqua, o per strangolamento, in particolare a causa di lenze che rimangono avvolte attorno al collo. Può però anche succede che gli esemplari muoiano di stenti, come ad esempio nel caso di reti che impediscono il movimento o l’alimentazione, causando estreme agonie;
- i cetacei di ogni tipo – delfini, balene, focene, capidogli – anche in questo caso soprattutto per soffocamento, perché bloccati sott’acqua senza possibilità di risalire in superficie;
- gli uccelli marini, poiché vi rimangono intrappolati, trascinati sott’acqua oppure strangolati;
- pesci e crostacei, catturati inavvertitamente anche in acque molto profonde, e pertanto impossibilitati a muoversi e nutrirsi.
Non esistono dati certi sul numero di esemplari uccisi, anche perché le rilevazioni sul campo sono molto complesse e, nella maggior parte dei casi, riguardano aree non raggiungibili dall’uomo o non monitorate. Le stime rientrano nell’ordine delle decine di migliaia per tartarughe, cetacei e uccelli, mentre per pesci e crostacei addirittura di milioni di esemplari ogni anno.
Le conseguenze su fondali e vegetazione
Non è però tutto, poiché le reti fantasma non colpiscono solo le specie animali, ma la biodiversità marina nel suo complesso. Ad esempio, la loro presenza sui fondali inibisce la crescita di numerose specie vegetali – in particolare, alghe – che producono ossigeno essenziale per la sussistenza di questi ecosistemi. Ad esempio, la Posidonia – una pianta acquatica fondamentale, capace di creare estese praterie subacquee e indispensabile per la sopravvivenza di moltissime specie marine – viene letteralmente strappata dal passaggio di questi rifiuti, spinti dalle correnti.
Allo stesso modo, le attrezzature abbandonate non solo inibiscono la formazione di nuovi coralli – indispensabili sia per la vita marina che per la protezione di fondali e coste dall’erosione – ma accelerano il processo di sbianchimento di quelli già esistenti. Per non parlare, poi, della questione microplastiche: il killer silenzioso dei mari, poiché entrano facilmente nella catena alimentare, sia determinando accumuli nei tessuti che disturbi al sistema endocrino, fino a sfociare nell’infertilità. Coinvolte vi sono virtualmente tutte le specie marine, dal plancton ai grandi predatori.
Un problema risolvibile?

Quello delle reti fantasma è un problema di difficile, se non quasi impossibile, risoluzione. La reale ampiezza del fenomeno non è infatti nota: come già accennato, esistono solo stime e bisogna considerare che questi rifiuti vengono trasportati anche a enorme distanza dai luoghi originali di abbandono, alcuni pressoché irraggiungibili dall’uomo. Nel corso degli ultimi decenni sono state avviate diverse campagne di identificazione e raccolta, alcune anche pionieristiche come la Global Ghost Gear Initiative, ma si tratta di piccola frazione della strumentazione effettivamente presente in mare, per quanto questi progetti siano estremamente utili.
È necessario cambiare approccio, sia con una maggiore sensibilizzazione e leggi esemplari per l’abbandono volontario, che incentivando l’uso di materiali da pesca più sostenibili. Ad esempio, la ricerca scientifica ha dimostrato l’efficacia degli attrezzi da pesca realizzati in materiali biodegradabili nel ridurre l’impatto ambientale anche in caso di abbandono.
