
Siamo abituati a pensare alla schiavitù come a una ferita chiusa della storia, confinata ai secoli in cui l’essere umano poteva essere venduto, scambiato o ereditato. Ma nel cuore dell’economia globale di oggi — tra miniere, fabbriche, case private e frontiere invisibili — milioni di persone vivono ancora senza libertà. La schiavitù non è scomparsa: ha solo cambiato forma, divenendo più silenziosa e difficile da riconoscere.
Oggi si parla di schiavitù moderna, un sistema complesso di sfruttamento che si manifesta attraverso il lavoro forzato, la servitù domestica, i matrimoni coercitivi, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, la schiavitù per debito e lo sfruttamento minorile. Tutti fenomeni interconnessi, alimentati da povertà, conflitti, discriminazioni e disuguaglianze economiche.
Secondo le più recenti stime della Walk Free Foundation, elaborate con il contributo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), oltre 50 milioni di persone nel mondo sono oggi vittime di schiavitù moderna: 28 milioni sottoposte a lavoro forzato e 22 milioni coinvolte in matrimoni imposti. Numeri che non appartengono a una sola area geografica ma che si distribuiscono, con forme differenti, in ogni continente.
Dall’Asia meridionale alle coste africane, dai campi di prigionia nordcoreani alle Capitali europee, la schiavitù sopravvive nei margini dell’economia legale, dove l’assenza di diritti e la necessità quotidiana rendono le persone merce di scambio. Quello che segue è un viaggio attraverso i luoghi in cui la libertà, oggi, resta un privilegio negato.
Le forme della schiavitù moderna

La schiavitù contemporanea non si presenta come nel passato: non è definita da legami giuridici di proprietà assoluta, ma da rapporti di coercizione, minacce, ricatto economico o sociale, inganno. Tra le varie forme, ricordiamo:
- Lavoro forzato: sia nell’economia privata (agricoltura, manifattura, edilizia, industria tessile, miniere), sia in settori come servitù domestica, lavoro migrante, attività informali.
- Servitù per debito (debt bondage): persone costrette a restituire prestiti o debiti attraverso lavoro, spesso con condizioni impossibili da soddisfare.
- Traffico di esseri umani: spostamento forzato con finalità di lavoro coatto, sfruttamento sessuale, prostituzione, lavoro domestico.
- Matrimoni forzati o servili: spesso imposti a minorenni o a persone senza possibilità di rifiutare, legati a pressioni familiari o tradizionali.
- Sfruttamento minorile: bambini e adolescenti costretti a lavorare o a entrare in matrimoni forzati. Secondo i rapporti più recenti, tra le vittime della schiavitù moderna vi sono milioni di minori.
Queste forme di schiavitù moderna sono spesso intrecciate: un bambino può essere vittima di debt bondage, lavoro forzato e sfruttamento sessuale; una donna migrante può finire in servitù domestica o nella tratta per lavoro. La radice comune è la perdita di libertà — ovvero l’impossibilità di scegliere, di dire “no”, di lasciare un lavoro o un rapporto imposto.
Paesi in cui la schiavitù moderna è ancora diffusa
Ecco alcuni dei Paesi nel mondo in cui la libertà personale di milioni di individui è quotidianamente calpestata.
India
Secondo l’ultima edizione del Global Slavery Index (GSI), circa 11 milioni di persone in India vivono in condizioni riconducibili a schiavitù moderna: il numero assoluto più alto al mondo. Il fenomeno fa riferimento a lavoro forzato con debito-bondage, lavoro minorile, servitù domestica, sfruttamento in filiere tessili e minerarie, prostituzione forzata, matrimoni coercitivi e traffico di esseri umani. Spesso le vittime provengono da caste o comunità marginalizzate e vivono in condizioni di estrema povertà.
Cina
La Cina figura tra i Paesi con un numero elevato di persone in condizione di schiavitù moderna, soprattutto nei settori manifatturiero e minerario. Nella regione autonoma dello Xinjiang, la minoranza musulmana degli uiguri subisce una sistematica repressione: secondo l’ONU, più di un milione di persone sarebbero detenute in “centri di formazione” che operano come luoghi di coercizione e lavoro forzato. A ciò si aggiunge un controllo demografico imposto, con sterilizzazioni e limitazioni alle nascite che hanno ridotto del 60% i tassi di natalità tra il 2015 e il 2018. Nel Paese si verifica un meccanismo di coercizione che intreccia produzione industriale, sorveglianza e repressione etnica.
Pakistan
In Pakistan la schiavitù moderna assume prevalentemente la forma della servitù per debito. Milioni di persone (contadini, manovali, lavoratori dell’edilizia e delle fornaci di mattoni) vivono in condizioni di sfruttamento cronico, costrette a ripagare attraverso lavoro non retribuito prestiti che si rinnovano all’infinito. La vulnerabilità economica si intreccia con la discriminazione sociale e di genere: nelle province del Sindh, del Belucistan e del Khyber Pakhtunkhwa, donne e bambini vengono impiegati in attività usuranti o ceduti in matrimoni forzati come compensazione dei debiti familiari.
Le autorità hanno introdotto normative contro il lavoro forzato e la tratta di esseri umani, ma la loro applicazione è irregolare, spesso ostacolata da corruzione, potere locale e scarsità di controlli effettivi. In molte aree rurali, la dipendenza economica si trasforma così in una forma di schiavitù ereditaria, che si tramanda di generazione in generazione.
Bangladesh
In Bangladesh, il lavoro forzato e lo sfruttamento minorile si manifestano nei settori tessile, agricolo, dell’edilizia e nella servitù domestica. Migliaia di bambini e donne sono vittime di traffico a fini sessuali o costrette a lavorare in condizioni di coercizione e pericolo. La povertà cronica, unita alla fragilità delle tutele legali, mantiene intere famiglie intrappolate in cicli di dipendenza economica. Nelle periferie urbane, la libertà è spesso scambiata con la sopravvivenza quotidiana.
Uzbekistan
In Uzbekistan, la schiavitù moderna è legata al lavoro forzato nelle piantagioni di cotone, una pratica radicata dai tempi dell’Unione Sovietica. Ogni anno migliaia di studenti, insegnanti e impiegati pubblici vengono costretti a partecipare alla raccolta, spesso sotto minaccia o pressione amministrativa. Negli ultimi anni il governo ha avviato riforme per ridurre lo sfruttamento, ma in molte regioni persiste un sistema di coercizione economica che trasforma il cotone — simbolo nazionale — in strumento di assoggettamento sociale.
Mauritania
In Mauritania la schiavitù non è un ricordo storico, ma una realtà ancora radicata. Nonostante l’abolizione formale nel 1981, migliaia di persone vivono in condizioni di servitù ereditaria, soprattutto tra le comunità haratin, discendenti di schiavi. Donne e bambini lavorano senza salario né libertà, privati dell’istruzione e di ogni tutela legale. Le pene previste contro i padroni raramente vengono applicate, e il silenzio sociale perpetua un sistema di dominio che attraversa le generazioni.

Corea del Nord
In Corea del Nord il lavoro forzato è parte integrante dell’apparato politico. Migliaia di persone, comprese intere famiglie, vengono inviate nei campi di prigionia o obbligate a lavorare in miniere, cantieri e fabbriche statali in condizioni disumane. Ogni infrazione, anche minima, può portare a punizioni collettive o deportazioni. Il lavoro coatto diventa così una forma di sorveglianza totale, dove la produttività serve a garantire obbedienza e la schiavitù coincide con la sopravvivenza.
America Centrale e Caraibi
Nell’area dell’America Centrale e dei Caraibi, matrimoni forzati, tratta di minori e sfruttamento sessuale rappresentano le violazioni più diffuse, spesso gestite da reti criminali transnazionali che prosperano su povertà e instabilità politica. Più del 60% delle vittime identificate sono minorenni, reclutati attraverso inganni o coercizione economica. Nei territori rurali e nei quartieri marginali delle grandi città, la mancanza di protezioni sociali e di istruzione trasforma la vulnerabilità in una merce, alimentando il ciclo di sfruttamento.
Africa Sub-Sahariana
Nell’Africa Sub-Sahariana, tra lavoro coatto, matrimoni infantili e reclutamento armato dei minori, milioni di persone vivono senza libertà. L’assenza di istruzione e la precarietà alimentano un’economia sommersa fondata sulla forza fisica e sulla sottomissione. Qui la schiavitù assume il volto della quotidianità: non una prigione visibile, ma una condizione tramandata, radicata nel bisogno e nell’oblio.
Europa
Francia, Germania e Romania registrano tassi preoccupanti di tratta di esseri umani e sfruttamento minorile, con percentuali di vittime under 18 che raggiungono il 29,4% in Francia, il 17,7% in Germania e il 16,3% in Romania. Le reti criminali si intrecciano ai flussi migratori e alle economie informali, generando un mercato clandestino di corpi e lavoro. Nei cantieri, nei campi agricoli e nella prostituzione forzata, la libertà è spesso un privilegio riservato a chi può permetterselo.
Il volto invisibile della schiavitù odierna

Le storie delle vittime di queste nuove forme di schiavitù si mescolano a quelle di migranti, lavoratori salariati, famiglie rurali, comunità emarginate. Non si parla più di schiavitù nei termini di proprietà fisica di un individuo, è vero, ma si riconosce chiaramente in un sistema di sfruttamento che si nutre di debiti, paura, discriminazione, dipendenza economica. E i minori rappresentano una fetta drammatica di questa realtà: milioni di bambini sono costretti a lavorare, a sposarsi, a vivere in situazioni di servitù.
Una ferita globale che chiede attenzione
I numeri parlano di decine di milioni di esseri umani in tutto il mondo privati della libertà, della dignità, dei diritti fondamentali. L’economia globalizzata, le catene produttive internazionali, le pressioni del mercato, le disuguaglianze strutturali — tutti elementi profondamente legati — alimentano un sistema di sfruttamento che resta nascosto, ma non per questo meno reale.
Ogni oggetto di uso quotidiano — un capo di abbigliamento, un telefonino, il cibo — potrebbe nascondere il lavoro coatto di qualcuno. Chi consuma, chi acquista, chi importa prodotti dall’Asia, dall’Africa, dall’America Latina o da qualsiasi altra parte del globo, dovrebbe essere consapevole che dietro molti beni e servizi potrebbe esserci una storia di coercizione, povertà e violazione dei diritti umani.
Parlare di schiavitù moderna, oggi nell’epoca dell’economia globalizzata e interconnessa, non significa evocare fantasmi storici: significa riconoscere una piaga contemporanea, spesso invisibile, ma profondamente reale.