
Nascere maschio di mantide religiosa non è esattamente come nascere leone nella savana o gufo nei boschi. Il mio mondo è fatto di cespugli fruscianti, cieli che si tingono di ambra nelle sere d’estate, e un destino che potremmo definire… poco longevo. Non siamo creature longeve, noi maschi, e ancora meno lo diventiamo se ci innamoriamo nel momento sbagliato. Essere maschio di mantide religiosa significa vivere sotto la costante minaccia di diventare nutrimento per una compagna affamata, ma anche partecipare a uno degli ingranaggi più affascinanti e spietati dell’evoluzione. Ma andiamo con ordine. La mia vita è cominciata all’interno di un’ooteca — una capsula di uova dalla consistenza spugnosa e resistente — deposta con meticolosa cura dalla mia futura carnefice: mia madre. Non l’ho mai conosciuta, e forse è meglio così.
Adolescenza tra mimetismo e fame
Appena schiuso, sono lungo pochi millimetri, trasparente, fragile. Ma già ho fame. La prima legge della mia vita è semplice: mangia o sarai mangiato. Non abbiamo tempo per fraternizzare tra fratelli; se mi distraggo un istante, rischio di diventare spuntino per qualcuno dei miei simili. La selezione naturale tra le mantidi è un fatto brutale, istintivo, e la sopravvivenza è una danza costante tra il restare immobili e il colpire con precisione. Fortunatamente, sono nato con un dono che rasenta la magia: il mimetismo. Sui rami verdi o tra le foglie secche, riesco a confondermi così bene da sembrare un pezzo di corteccia o una venatura vegetale. Questo mi salva da molti predatori, e mi permette di avvicinarmi a piccoli insetti ignari, come mosche e cavallette, che afferro con quelle che voi chiamate “zampe rapitrici”. Un colpo secco, e la preda è mia.
La vita in agguato
Non sono un tipo particolarmente attivo. Vivo in attesa. Fermo, paziente, invisibile. È un’esistenza contemplativa, se vogliamo. Un misto tra meditazione e caccia spietata. Ogni movimento deve essere calcolato, ogni spostamento valutato. Un passo falso e potrei finire tra le fauci di un uccello o sotto la zampa di un riccio curioso. E poi c’è il vento: anche quello è un nemico. Troppo forte, e rischio di essere sbalzato via dal mio fragile appiglio. Ma in questa immobilità forzata, io trovo una forma di pace. Respiro l’aria tra le foglie, sento i minuscoli segnali chimici delle piante, percepisco il battito delle ali delle mie potenziali prede. Il mondo per me non è rumore: è vibrazione.
Il richiamo dell’amore (e il rischio della decapitazione)
Arriva un momento in cui il mio corpo cambia: le ali si fanno più robuste, il torace più definito, e una nuova pulsione si fa strada nei miei neuroni elementari — il desiderio di accoppiarmi. È il richiamo dell’amore, o meglio, dell’istinto riproduttivo. Inizia così una fase pericolosa della mia vita: devo cercare una femmina. Volare alla cieca, spesso di notte, guidato da segnali feromonali impercettibili ai vostri sensi, ma per me irresistibili. Quando finalmente la trovo, l’adrenalina supera ogni logica. È grande, molto più grande di me, maestosa e inquietante. Mentre mi avvicino, so che potrei morire. Non è una metafora: potrei essere decapitato durante l’accoppiamento. Eppure, procedo.
Il grande finale
Se riesco ad accoppiarmi, lascio qualcosa di me nel mondo. Letteralmente. Il mio DNA entra in lei e contribuirà a generare decine, forse centinaia, di piccoli me. Se invece vengo decapitato… be’, a quanto pare, il mio sistema nervoso è così primitivo da continuare l’atto anche senza la testa. Un piccolo trionfo dell’evoluzione sul terrore. Alcuni di voi umani leggono in questa dinamica una metafora sull’amore tossico, sul sacrificio maschile o sulla crudeltà femminile. Ma la verità è che non c’è crudeltà: solo strategia. Per la mia compagna, nutrirsi della mia testa significa avere energia per generare nuova vita. La mia morte è un’offerta, non un’ingiustizia.
Eternamente effimero
Sono un maschio di mantide religiosa: morire per amore è il mio destino, e non ne sono affatto dispiaciuto. In un certo senso, il mio ciclo vitale è perfetto nella sua semplicità brutale. Nascere, mangiare, evitare di essere mangiato, amare e dissolversi. In fondo, la mia vita — per quanto breve — contribuisce a qualcosa di infinitamente più grande. E questa è una forma di eternità.