Squali bianchi in declino: il collasso silenzioso della catena alimentare marina

Squali bianchi in declino: il collasso silenzioso della catena alimentare marina - immagine di copertina

    Per milioni di anni, gli squali bianchi hanno solcato indisturbati gli oceani del pianeta, incarnando l’archetipo del predatore perfetto. Ma oggi, questa figura maestosa rischia di diventare un ricordo fossilizzato nelle pieghe dell’evoluzione. La scomparsa progressiva di questa specie iconica non è solo una perdita simbolica, ma un vero e proprio terremoto ecologico che minaccia di sconvolgere la struttura stessa degli ecosistemi marini. Non si tratta, infatti, dell’ennesima storia di una specie in pericolo: è l’interruzione di un equilibrio millenario, un crollo al vertice della piramide trofica che si ripercuote, a cascata, su ogni livello della vita oceanica. Comprendere la portata di questo declino significa affrontare con serietà una domanda urgente: che cosa accadrebbe se sparissero gli squali bianchi dall’oceano?

    Una caduta silenziosa ma inesorabile

    Il declino degli squali bianchi è iniziato ben prima che la loro immagine venisse cristallizzata dal cinema nell’immaginario collettivo. A partire dalla seconda metà del Novecento, i numeri hanno iniziato a precipitare. Uno studio del 2016 ha registrato un calo dell’80% in appena 69 anni. Più recentemente, una revisione del 2019 ha aggiornato il dato, attestando una riduzione complessiva attorno al 61%. In ogni caso, si tratta di percentuali catastrofiche per una specie classificata come “vulnerabile” dalla IUCN. Le stime più ottimistiche indicano una popolazione globale di circa 3.500 individui, ma alcune ricerche suggeriscono che il numero reale potrebbe essere ben più basso, complice la natura migratoria e sfuggente dello squalo bianco. La difficoltà nel censire accuratamente questi animali accentua la sensazione di stare osservando un tramonto senza sapere esattamente dove si trovi il sole.

    Le mani dell’uomo dietro il declino

    La causa principale di questa scomparsa è, neanche a dirlo, l’essere umano. La pesca eccessiva ha trasformato l’oceano in una zona di guerra permanente per gli squali: vengono catturati per la carne, l’olio di fegato e soprattutto per le pinne, protagoniste di un macabro mercato alimentare in Asia. A ciò si aggiunge il caos climatico globale. Il riscaldamento degli oceani ha costretto molte popolazioni di squali bianchi a spostarsi verso nord, come accaduto lungo le coste californiane, dove il cambiamento delle temperature ha modificato profondamente le rotte migratorie. Come se non bastasse, l’inquinamento – incluso quello acustico, ancora largamente sottovalutato – interferisce con i sensi raffinati di questi animali, alterandone il comportamento e la capacità predatoria. Si tratta di un attacco su più fronti, una pressione continua che non lascia spazio al recupero.

    Quando cade il predatore apicale, trema l’oceano

    Gli squali bianchi non sono semplici predatori: sono regolatori. In quanto predatori apicali, mantengono sotto controllo le popolazioni di molte altre specie, impedendo il sovrappopolamento e garantendo la salute degli ecosistemi marini. La loro scomparsa apre una voragine nel sistema. Senza squali, le specie preda aumentano, predando a loro volta in modo eccessivo specie ancora più piccole. È un domino che porta rapidamente all’impoverimento della biodiversità. In Sudafrica, la scomparsa degli squali bianchi ha alterato il comportamento delle otarie del Capo, loro prede abituali, che si sono riorganizzate in aree precedentemente evitate, come le foreste di kelp. Il risultato? Un inaccessibile baluardo vegetale che ha compromesso l’accesso al cibo per molte altre specie marine. L’assenza dello squalo ha scardinato l’intero sistema, mostrando quanto sottile e fragile sia l’equilibrio marino.

    Biodiversità a rischio, oceani più poveri

    La perdita degli squali bianchi è solo la punta dell’iceberg di un problema più ampio: il deterioramento sistemico della biodiversità marina. La loro scomparsa non comporta soltanto un vuoto ecologico, ma una perdita di resilienza per tutto l’ecosistema. La catena alimentare diventa più instabile, più vulnerabile agli shock ambientali e meno capace di autorigenerarsi. In un mondo marino sempre più frammentato e inquinato, ogni tassello che si perde aumenta il rischio di collasso dell’intera struttura. Non si tratta di proteggere una singola specie, ma di salvaguardare la complessa rete di relazioni che tiene in vita gli oceani e, indirettamente, anche noi.

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