Produrre Bitcoin, la moneta virtuale più usata nel mercato internazionale, ha un impatto ambientale enorme, ma totalmente trascurato. Ogni anno, per il mining di criptovalute si utilizza si usa la metà dell’elettricità consumata in Italia.
A rivelarlo, una ricerca di Kaveh Madani dell’Università delle Nazioni Unite, pubblicata su sulla rivista “Earth’s future”.
Un settore in crescita
Il settore delle criptovalute nell’ambito finanziario globale cresce sempre di più: la transizione verso un’economia digitale, resa possibile da notevoli avanzamenti tecnologici, offre molti vantaggi.
Il problema è che a una crescente domanda di trading e investimenti in bitcoin si accompagna un forte impatto ambientale, spesso trascurato nelle valutazioni generali del settore. L’incremento significativo del valore del Bitcoin (BTC) negli ultimi anni e la conseguente corsa globale al mining (ovvero il processo con cui nuovi Bitcoin vengono messi in circolazione) stanno trasformando il settore delle criptovalute in uno dei principali inquinatori su scala mondiale. Nonostante ciò, le informazioni a nostra disposizione sull’impatto ambientale dell’estrazione di bitcoin sono notevolmente carenti.
Quanto consuma il mining di Bitcoin?
Secondo lo studio condotto da Kaveh Madani dell’Università delle Nazioni Unite, la produzione dei Bitcoin consuma la metà dell’elettricità usata in Italia in un anno, richiede la quantità d’acqua che potrebbe sostenere 300 milioni di agricoltori dell’Africa subsahariana, e per bilanciare le emissioni, sarebbero necessari 3.9 miliardi di alberi.
Nel periodo 2020-2021, il mining dei Bitcoin ha assorbito infatti 173.42 Terawatt ore di elettricità (l’Italia ne consuma il doppio). Inoltre, se questo processo fosse una nazione sarebbe la 27esima nazione al mondo per consumo elettrico, superando il Pakistan con i suoi 230 milioni di abitanti.
Ciò significa un’impronta ecologica rilevante, con emissioni di carbonio equivalenti a quelle prodotte da 190 centrali elettriche a gas naturale. Un impatto che potrebbe essere mitigato dalla piantumazione di 3.9 miliardi di alberi, pari al 7% della Foresta Amazzonica.
Il rapporto mette in evidenza che per produrre l’energia necessaria al mining si impiegano prevalentemente fonti fossili: per il 45% si tratta di carbone, per il 21% di gas naturale. Gran parte di queste attività si concentra in Cina.
Infine, l’impronta idrica globale è stata di circa 1,65 km3 . Un totale che equivale al riempimento di oltre 660.000 piscine olimpioniche, superiore all’attuale consumo idrico domestico di 300 milioni di persone nelle zone rurali dell’Africa sub-sahariana.

Nata a Roma nel 1993, si è laureata in Lettere, con specializzazione in Storia Contemporanea. Attenta al mondo che la circonda, crede fortemente nel potere della collettività: ognuno, a modo suo, può essere origine del cambiamento. Amante del cinema e della letteratura, sogna di scrivere la storia del secolo (o almeno di riuscire a pensarla).