Sebbene si parlasse di fattorie verticali sin dill’inizio del ‘900 (celebre è il disegno del Life Magazine del 1909), negli anni ’80 il biologo John Todd sperimentasse la costruzione di edifici eco-sistemici multipiano e si parlasse di fitotroni già durante la corsa allo spazio, è con i primi anni Duemila che il concetto di vertical farm diventa quello che conosciamo oggi.
Dickson Despommier, professore alla Columbia University, durante un corso chiese ai suoi studenti di svolgere un compito: comprendere se era possibile sfamare tutti gli abitanti di Manhattan utilizzando solamente i tetti dei palazzi. Ben presto si resero conto che era impossibile, tuttavia, complice anche l’essere nella città dei grattacieli, pensarono che se avessero realizzato un edificio pluripiano sufficientemente alto, al cui interno si fosse creato un microclima ideale e coltivato tecniche fuori suolo, sarebbero riusciti a produrre più di quello che serviva a Manhattan. Fantascienza. Lo pensarono in molti. Altri invece ci credettero a tal punto di sviluppare i primi progetti e le prime fattorie verticali.
Nella sua definizione più generale, una vertical farm può essere definita come un edificio a sviluppo prevalentemente verticale che accoglie al suo interno un’intera filiera agroalimentare: produzione, trasformazione, vendita e consumo.
La produzione avviene in un ambiente isolato dil mondo esterno, in cui tutti i parametri ambientali (temperatura, umidità relativa, illuminazione, ventilazione, Co2, ecc…) vengono controllati artificialmente. La coltivazione avviene su livelli sovrapposti grazie a tecniche di coltivazione fuori suolo a ciclo chiuso (idroponica). Impianti come questi riescono a moltiplicare di dieci volte la produzione in campo aperto, con densità di coltivazione superiori alle 500 piante/mq.
Tutto ciò permette di avere numerosi vantaggi: produzione costate per tutto l’arco dell’anno a costi certi e senza i classici problemi legati alle condizioni metereologiche; risparmio idrico oltre il 90% rispetto alla coltivazione in campo aperto; riduzione del consumo di risorse; maggiore sicurezza e tracciabilità dei prodotti; riduzione delle miglia alimentari.
Le vertical farm, a differenza di quello che si può pensare e dei primi progetti che furono immaginati (legati più all’entusiasmo che al rigore scientifico), non sono degli edifici trasparenti simili ad una serra anzi molto spesso sono opachi e del tutto simili a dei magazzini verticali automatizzati. Questa immagine, sebbene decisamente meno romantica, descrive molto meglio questa tipologica edilizia e ne giustifica anche il nomignolo di “fabbriche di insalata”. Le fattorie verticali, infatti, sono delle vere e proprie linee di produzione di ortaggi più o meno automatizzate esattamente come quelle di un qualunque altro oggetto di largo consumo.
Un aspetto ancora critico delle vertical farm è il loro consumo energetico. Infatti, per poter mantenere le condizioni di coltivazione ottimali è necessario utilizzare molta energia (una delle voci di costo più rilevanti è proprio l’energia necessaria per alimentare le migliaia di lampade a LED che riproducono la luce solare). Ricerca ed industria, tuttavia, stanno facendo enormi passi avanti nel risolvere questi problemi e l’integrazione con impianti di produzione di energia renderà le vertical farm sempre meno energivore, favorendo, così, la riduzione dei costi di produzione.
Abbiamo quindi risposto alla domandi che ci siamo posti nel titolo: Bosco verticale è una vertical farm? No.
Progettista, scenografo, ingegnere, curioso per natura e inventore. Convinto che le innovazioni avvengano dall’uso del pensiero laterale con cui si mettono a sistema saperi diversi e apparentemente distanti tra loro. Fondatore di Vertical Farm Italia.
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