
Tre Comuni italiani – Spoltore (Abruzzo), San Vito al Tagliamento (Friuli Venezia Giulia) e Castenedolo (Lombardia) – hanno approvato una mozione per bloccare l’espansione degli allevamenti intensivi. L’iniziativa nasce dalla collaborazione con associazioni ambientaliste come Greenpeace, WWF, ISDE, Lipu e Terra! e punta a trasformare il sistema zootecnico locale, giudicato insostenibile per ambiente, salute pubblica e giustizia sociale.
I tre territori chiedono una riconversione verso modelli agroecologici e lanciano un messaggio forte al governo nazionale: la transizione ecologica del settore non può più aspettare.
Gli allevamenti intensivi: un modello da superare
Il Nord Italia è il cuore pulsante della zootecnia intensiva. In particolare, la Lombardia ha il primato per numero di bovini e suini, mentre il Veneto è al primo posto per il pollame. Si tratta di sistemi ad alta densità: tanti animali stipati in spazi ristretti, con gravi conseguenze per l’ambiente.
Circa due terzi delle emissioni nazionali di ammoniaca derivano proprio da questi allevamenti, e l’ammoniaca è un precursore delle polveri sottili. Questo fenomeno contribuisce in modo determinante all’inquinamento atmosferico, soprattutto nella Pianura Padana, una delle aree più inquinate d’Europa. Le conseguenze sulla salute pubblica sono gravi: ogni anno in Italia si registrano decine di migliaia di morti premature legate alla cattiva qualità dell’aria. A tutto questo si aggiunge l’impatto su suolo, acqua e biodiversità, che rendono sempre più evidente l’urgenza di cambiare rotta.
La mozione dei 3 Comuni Italiani che chiede una svolta concreta nella gestione degli allevamenti intensivi
Il documento approvato dai tre Comuni italiani non è solo simbolico: chiede una moratoria immediata sull’apertura di nuovi allevamenti intensivi e sull’aumento del numero di capi in quelli già esistenti.
Il cuore della proposta è una transizione ecologica del comparto zootecnico: sostenere le piccole aziende agricole, garantire cibo sano e accessibile, rispettare i diritti dei lavoratori e tutelare gli ecosistemi. È una presa di posizione che si ricollega ai principi della Costituzione italiana e agli impegni assunti a livello internazionale in materia di clima e salute. Il modello attuale, infatti, penalizza le realtà rurali più piccole, concentrate sulla qualità e sulla sostenibilità, mentre favorisce una produzione industriale che spesso scarica sull’ambiente e sulle comunità locali i propri costi.
Una proposta di legge che spinge verso la transizione
A livello nazionale, intanto, è stata depositata in Parlamento la proposta di legge Oltre gli allevamenti intensivi. Il testo, sostenuto da una rete di associazioni ambientaliste e animaliste, propone un piano di riconversione del settore finanziato con fondi dedicati e il coinvolgimento attivo dei Comuni.
Tra i punti principali: una moratoria nazionale sui nuovi impianti, incentivi per le pratiche agroecologiche e la promozione di politiche locali in linea con gli obiettivi climatici. La legge è attualmente in attesa di discussione alla Commissione Agricoltura, ma rappresenta già un passo importante: offre uno strumento concreto per tutelare la salute pubblica, difendere la biodiversità e aiutare le aziende agricole a cambiare modello, puntando su un’agricoltura più resiliente e rispettosa degli equilibri naturali.
Il cambiamento parte dai territori
Le scelte coraggiose di Spoltore, San Vito al Tagliamento e Castenedolo dimostrano che il cambiamento è possibile, e può partire dal basso. Le amministrazioni locali, se ben coordinate e supportate, possono dare un contributo decisivo alla trasformazione del sistema alimentare.
Le associazioni promotrici insistono sull’importanza di sostenere le piccole aziende agricole, che spesso rappresentano l’unica alternativa sostenibile al modello intensivo. Il messaggio è chiaro: garantire un ambiente sano e un’alimentazione di qualità è un diritto per tutti, e non un lusso per pochi.
Perché questo passo è solo l’inizio
In un momento segnato da emergenze ambientali e sanitarie sempre più pressanti, l’iniziativa di questi tre Comuni italiani è un segnale forte e coraggioso che dimostra che la transizione verso una zootecnia sostenibile non solo è auspicabile, ma è anche possibile e già in corso, grazie all’impegno dei territori. Ora la sfida è estendere questo dibattito a livello nazionale e garantire il sostegno politico necessario per trasformare queste esperienze locali in un modello replicabile e virtuoso.