Conigli Frankenstein: altro che fake! Possono aiutarci nella ricerca contro una nota malattia

I conigli Frankenstein del Colorado, resi celebri dai social per le loro protuberanze, sono in realtà colpiti dal Papillomavirus di Shope. Una condizione non pericolosa per l’uomo, ma preziosa per la ricerca scientifica sull’HPV e sullo sviluppo di vaccini e terapie.

Conigli Frankenstein: altro che fake! Possono aiutarci nella ricerca contro una nota malattia - immagine di copertina

    Negli ultimi giorni, alcune immagini dei conigli frankenstein del Colorado hanno catturato l’attenzione del web, animali con strani rigonfiamenti su muso e testa, dall’aspetto quasi surreale. I social, dove le immagini sono diventate virali, hanno trasformato queste creature comuni in veri e propri fenomeni virali, con soprannomi come Frankenstein bunnies, demon rabbits o zombie rabbits. Ma dietro l’apparenza sorprendente si nasconde una realtà biologica e scientifica che merita di essere compresa, ben oltre il clamore dei social.

    Il virus che trasforma i conigli in Frankenstein

    Le protuberanze dei conigli non sono corna magiche, ma papillomi cheratinizzati provocati dal Papillomavirus di Shope, scoperto nel 1933 dal virologo Richard E. Shope della Rockefeller University. Il virus si trasmette principalmente tra conigli, attraverso pulci, zecche o contatti diretti, e predilige la stagione estiva quando i parassiti sono più attivi. Nella maggior parte dei casi, le escrescenze sono benigne e regrediscono spontaneamente. Se crescono vicino agli occhi o alla bocca, però, possono interferire con l’alimentazione e il movimento, causando sofferenza reale agli animali. Le escrescenze possono avere forme differenti, piccole e rotonde, più coniche o simili a tentacoli, dando a ciascun coniglio un aspetto unico.

    L’influenza dei social e il prezzo della viralità

    I social hanno reso i conigli Frankenstein star involontarie. Foto e video vengono condivisi per stupore o ironia, ma raramente si considera il dolore reale degli animali. L’empatia rischia di perdersi dietro il click, mentre il messaggio scientifico che la condizione non è contagiosa per l’uomo ma significativa per la ricerca, passa spesso in secondo piano. Gli avvistamenti a Fort Collins e nei dintorni di Denver sono frequenti, ma la popolarità sui social ha amplificato l’attenzione sul fenomeno, portando molti a contattare il dipartimento Colorado Parks and Wildlife per segnalazioni. In questi casi, gli operatori raccolgono informazioni sullo stato di salute degli animali, sul loro comportamento e sulla loro capacità di nutrirsi, valutando rapidamente se necessitano di interventi.

    Un modello per la ricerca umana

    Il Papillomavirus di Shope non è solo una curiosità animale. Studiando questi conigli Frankenstein, i ricercatori hanno acquisito conoscenze preziose sull’HPV umano, responsabile di tumori come quello cervicale. La malattia nei lagomorfi ha fornito un modello fondamentale per lo sviluppo di vaccini e terapie, dimostrando che dietro l’inquietudine delle immagini virali si nasconde un contributo scientifico concreto. Pur non rappresentando alcun rischio per l’uomo né per gli animali domestici, il virus resta al centro dell’interesse scientifico proprio per la sua somiglianza con l’HPV. Analizzarne i meccanismi ha permesso di comprendere meglio come le infezioni virali possano trasformarsi in processi tumorali.

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