
Nei giorni scorsi, la Camera ha approvato con 227 voti a favore la modifica dell’articolo 609-bis del Codice Penale, introducendo in modo esplicito la nozione di “consenso libero e attuale” negli atti sessuali. Si tratta di un passaggio che allinea l’ordinamento italiano alle richieste delle istituzioni europee e agli obblighi previsti dalla Convenzione di Istanbul, che stabilisce che un atto sessuale costituisce violenza quando manca il consenso della persona coinvolta, anche in assenza di coercizione fisica.
La riforma si inserisce in un contesto in cui molti episodi di abuso si consumano senza segni fisici e in situazioni di forte vulnerabilità emotiva o psicologica, rendendo spesso difficile dimostrare l’assenza di consenso con gli strumenti tradizionali.
Il precedente impianto normativo, concentrato soprattutto su minaccia e coercizione, finiva per non riconoscere molte forme di violenza meno evidenti ma altrettanto gravi, quelle che si consumano nel silenzio, nella paura o nella vulnerabilità emotiva. La nuova legge interviene proprio su queste zone d’ombra: con la centralità del consenso, non sarà più possibile giustificare un atto sessuale sostenendo che “non c’è stata opposizione” o che “la vittima non ha detto no”. Sentenze che in passato avevano creato indignazione perché basate sull’assenza di una resistenza esplicita non troveranno più appiglio nella norma riformata. La valutazione non si baserà più sul comportamento della vittima, ma sull’effettiva presenza di un sì chiaro, consapevole, libero e attuale.
Perché la riforma del 2025 segna un punto di svolta nel modo di definire la violenza sessuale
La nuova legge italiana sulla violenza sessuale nasce da un’esigenza precisa: rendere centrale il consenso nella definizione giuridica del reato. Fino a oggi, l’articolo 609-bis puniva soprattutto condotte basate sulla forza, la minaccia o l’abuso di autorità. Eppure, molti casi di abuso avvenivano senza violenza fisica evidente, lasciando le vittime in un limbo probatorio complesso.
Con la riforma, il Parlamento recepisce finalmente gli standard della Convenzione di Istanbul, secondo cui un atto sessuale è violenza quando manca un consenso espresso, libero e verificabile. La nozione di consenso diventa quindi articolata: deve essere libero da pressioni o manipolazioni, consapevole, attuale — cioè valido solo in quel momento — e revocabile in qualunque istante.
La norma specifica inoltre che il silenzio, la paura, lo shock o uno stato di turbamento non costituiscono consenso. Neppure la relazione di coppia, la convivenza o il consenso espresso in passato possono essere interpretati come un sì automatico. La riforma include anche una disciplina più ampia delle condizioni di vulnerabilità, offrendo maggiore protezione alle persone che non possono esprimere volontà autentica.
Cosa cambia davvero nel passaggio al modello basato sul consenso
Prima della riforma, dimostrare una violenza sessuale richiedeva spesso che la vittima provasse di aver subito forza fisica o minaccia, o di non essere stata in condizioni di opporsi. Questo approccio lasciava scoperte situazioni tipiche della violenza contemporanea, come coercizione psicologica, paura paralizzante o manipolazione emotiva.
La novità più significativa della legge del 2025 è il ribaltamento della logica probatoria: non è più necessario dimostrare un “no” o una resistenza, ma l’assenza di un “sì” chiaro. In altre parole, senza consenso esplicito, qualunque atto sessuale è automaticamente violenza sessuale. Questo spostamento tutela maggiormente le vittime e chiarisce che il fulcro del reato è la volontà della persona coinvolta.
Il nuovo testo prevede tre condotte punite in assenza di consenso: compiere atti sessuali, far compiere atti sessuali o far subire atti sessuali. La distinzione tra violenza per costrizione e violenza per induzione rimane, ma si amplia la tutela nelle condizioni di vulnerabilità, incluse quelle psicologiche o sociali.
Di fatto, la riforma afferma un principio inequivocabile: la libertà sessuale è inviolabile e può esistere solo dove c’è un consenso esplicito.
Pene, tutele e nuovi criteri di valutazione: come si ridisegna il quadro giuridico dopo la riforma
La riforma non modifica l’impianto sanzionatorio già rivisto dal Codice Rosso nel 2019: la pena per chi compie atti sessuali senza consenso libero e attuale rimane compresa tra 6 e 12 anni di reclusione. È inoltre confermata la possibilità di una diminuzione fino a due terzi della pena nei casi di minore gravità, una clausola pensata per distinguere le diverse forme di condotta illecita senza ridurre la tutela delle vittime.
Il nuovo quadro richiede però un adeguamento delle prassi investigative e processuali, poiché la valutazione del consenso implica un’analisi più attenta del contesto emotivo, relazionale e comunicativo. Questa evoluzione giuridica mira a tutelare la libertà sessuale come diritto fondamentale, rendendo il sistema più coerente con gli standard internazionali.